DAVERIO, Francesco
Nacque a Calcinate del Pesce, sulla riva settentrionale del lago di Varese, il 3 apr. 1815, da Giovan Battista, agiato agricoltore, e da Maria Cerutti. Compiuti gli studi inferiori a Varese e a Parabiago, nel 1834 si iscrisse all'università di Pavia dove il 4 genn. 1839 ottenne una laurea in ingegneria che gli consentì di stabilirsi a Milano per lavorare nell'ufficio tecnico dell'ospedale Maggiore, attività a cui affiancò presto un'altra quale amministratore e sovrintendente dei beni patrimoniali dei Della Sala, nobile famiglia del Varesotto.
Prima del 1848-49, il biennio di guerre e rivoluzioni in cui il D. avrebbe bruciato la sua esistenza, nulla risulta circa una sua eventuale presenza nei gruppi dei cospiratori lombardi. Molti anni Più tardi G. Mazzini, stendendo le Note autobiografiche, lo avrebbe incluso fra quei giovani ("nostri, esciti pressoché tutti dalla Giovine Italia, amici miei e in contatto con me...") cui spettava il merito della preparazione dell'insurrezione milanese del 18 marzo; ma in proposito c'è da dire che il nome del D. non figura in quel vero e proprio registro degli iscritti che è il Protocollo della Giovine Italia e che nell'Epistolario mazziniano i primi contatti documentati tra i due sono dell'agosto del '48- Quella del D. fu perciò, con ogni probabilità, una maturazione politica molto tarda; è certo comunque che alla vigilia dello scoppio insurrezionale egli gravitava intorno al gruppo del mazziniano A. De Luigi e partecipava alle riunioni in cui i democratici organizzarono il moto antiaustriaco, alla cui esecuzione il D. collaborò, secondo le proprie capacità, nel settore dell'apprestamento delle opere difensive e in quello dell'addestramento di una piccola colonna di volontari reclutati nei suoi luoghi di origine.
Fu a questo punto che nella formazione e nell'atteggiamento del D. si determinò la svolta che fece di lui, all'interno dello schieramento mazziniano, uno dei maggiori esponenti dell'ala militare. Fallita la guerra che si disse regia, entrò coi Mazzini in Svizzera per divenire una pedina importante di quella strategia che vedeva nella ripresa dell'insurrezione armata la sola strada praticabile dai democratici e teorizzava la guerra partigiana come lo strumento di lotta più efficace. Il moto di Vai d'Intelvi, che ebbe per teatro il Comasco ed il Varesotto tra il 31 ottobre e il 2 nov. 1848, fu impostato dal Mazzini sull'azione di tre colonne armate che, sfruttando la conoscenza dei posti e l'agilità degli spostamenti, dovevano ricreare le condizioni per un'insurrezione e fungere da polo di richiamo per l'elemento popolare ancora disposto a battersi. Inoltre, come dimostrarono le vicende della banda guidata dal D., il tentativo mirava ad aprire la via ad una ripresa delle ostilità da parte del Piemonte, osservatore non del tutto distaccato e comunque non assente.
Superato il grave problema della mancanza di armi, il D. svolse la parte assegnatagli impadronendosi il 31 ottobre, con tecnica già sperimentata da Garibaldi, di un vapore adibito al trasporto passeggeri dal versante svizzero a quello italiano del lago Maggiore; sbarcato con 150 uomini a Luino, procedette a requisizioni di denaro e apri le liste di arruolamento: raccolse tre sole adesioni e, al profilarsi della reazione degli Austriaci, peraltro al corrente dei tentativo prima che avesse inizio, con fatica impedì ai suoi uomini di sbandarsi; poi, dopo una breve scaramuccia, preferì riprendere la via dei lago e consegnarsi ai Piemontesi.
Il fallimento di questo tipo di lotta e l'impossibilità di invocare il diritto d'asilo nel Canton Ticino come conseguenza dell'atto compiuto di pirateria, costrinsero il D. a un temporaneo distacco dal Mazzini e posero le premesse per il suo avvicinamento a Garibaldi, che lo aveva conosciuto e ne aveva apprezzato il coraggio nell'agosto del '48, all'epoca della campagna in Lombardia. Proprio dal Mazzini il D. era stato incaricato di raggiungere Garibaldi, che a. Morazzone si era giovato del suo aiuto di guida esperta per sottrarsi all'accerchiamento austriaco e rifugiarsi in Svizzera. Tra Arona e Genova, le località dove visse dopo il moto di Val d'Intelvi, il D. riunì una quarantina di volontari che nel febbraio del '49. su invito di Garibaldi, confluirono nella Legione italiana.
In questa formazione di irregolari accorsa a difendere la Repubblica Romana, il D. svolse un ruolo fondamentale, codificato dalla nomina a capo di Stato Maggiore (3 apr. 1849). 1 rapporti col Triumvirato e segnatamente col Mazzini, fatto quotidianamente oggetto di pressanti richieste di armi, viveri ed equipaggiamento, furono tenuti dal D. che si valse della fiducia meritata in passato per ottenere che la legione garibaldina fosse messa in condizione di operare malgrado la scarsa considerazione degli alti comandi posti in mano a militari di carriera come il gen. P. Roselli e C. Pisacane. D'altra parte, era grazie al D. se il Mazzini poteva in qualche modo controllare che le requisizioni e le razzie effettuate dalla legione nel territorio reatino non arrivassero ad inimicare alla Repubblica le popolazioni rurali.
C'era infatti il pericolo che si cadesse in eccessi che avrebbero compromesso l'immagine della Repubblica Romana nelle sue relazioni con le potenze straniere. Per la verità, un incitamento a ricorrere ai metodi terroristici per domare la crescente reazione interna venne al Mazzini proprio dal D:, ma su questo punto il triumviro fu inflessibile, così come si guardò bene dall'accettare l'altro consiglio, di poco successivo, di armare i popolani di Trastevere. Il D. non ebbe altro tempo per patrocinare la linea dura: con l'arrivo dei Francesi a Roma prima e, quindi, con la breve campagna ai confini col Regno delle Due Sicilie, tornava in primo piano l'aspetto militare.
Impegnato con l'esercito che a Velletri costringeva alla fuga le truppe borboniche (19 maggio 1849). il D., dal 2 maggio promosso maggiore, traeva spunto da questo scontro per criticare aspramente il comportamento del Roselli, reo della mancata invasione del Regno meridionale, e per chiedere al Mazzini che il generale tanto inviso al Garibaldi fosse portato davanti ad un consiglio di guerra o almeno messo in condizione di non nuocere. Per lui, che forse sottovalutava l'impaccio operativo a cui l'insofferenza di Garibaldi verso le decisioni dei comandi esponeva il resto dell'esercito, la rinuncia ad entrare nel Napoletano aveva compromesso le sorti militari della Repubblica: "Non vi posso dire il dolore che mi rimase", scriveva al Mazzini il 22 maggio 1849 (Roma, Museo centrale del Risorgimento, busta 255/18/4).
Con questo senso di delusione tornò a Roma e all'alba del 3 giugno 1849, con la città sorpresa dall'attacco francese, corse a combattere sul Gianicolo: cadde, colpito a morte, durante un assalto alla baionetta lanciato per riprendere quella villa Corsini al cui possesso erano legate le ultime speranze della difesa. Fu sepolto nella chiesa di S. Carlo ai Catinari e ricordato con una lapide che due anni dopo la polizia pontificia fece rimuovere.
Fonti e Bibl.: La scarna document. relativa al D. fu inserita, insieme con altre testimonianze di provenienza memorialistica, nell'opuscolo F. D. Notizie biografiche, Varese 1911, compilato dalla famiglia e pubbl. il giorno dell'inaugurazione del busto a lui dedicato sul Gianicolo (da integrare con G. Beghelli, La Repubblica rom. del 1849, Lodi 1874, 11, pp. 137-40, 221 ss.). Poco aggiungono le altre fonti edite, tra cui vanno ricordate: Ediz. naz. degli scritti di G. Mazzini, XXXV-XXXVII, XL, LXXVII; IV dell'Appendice, ad Indices; G. Garibaldi, Epistolario (ediz. nazionale), II, a cura di L. Sandri, ad Indicem; Id., Le Memorie (ibid.), 11, ad Indicem. Altri documenti e molte notizie in E. Loevinson, G. Garibaldi e la sua Legione nello Stato romano, I-III, Roma 1902-1907, ad Indicem. Per il ruolo avuto dal D. nella prepar. delle Cinque giornate, cfr.: C. Spellanzon, Dai moti mazziniani del 1834 alla vigilia dei lutti, in Storia di Milano, XIV, Milano 1960, p. 231; F. Curato, L'insurrez. e la guerra del 1848, ibid., p. 323. Sulla guerra in Lombardia: G. Martinola, F. D. e il sequestro di un battello sul Verbano nell'autunno del 1848, in Rass. st. del Seprio, IV (1941), pp. 37-46; e soprattutto L. Giampaolo-M. Bertolone, La prima campagna di Garibaldi in Italia .... Varese 1950, pp. 6 s., 71, 83, 88 s., 112, 114, 139, 142, 145 s., 228-38, 256, 367-79, 394-97: Sulla difesa della Repubblica Romana: G. Leti, La rivoluz. e la Rep. Romana (1848-1849), Milano 1913, ad Indicem; E. Loevinson, La tomba di F. D., in Rass. stor. d. Risorg., II (1915), pp. 696-99; F. Fonzi-V. E. Giuntella, La mostra stor. della Rep. Rom. 1849, Roma 1949, ad Indicem. Inoltre, per notizie generali, G. Castellini, Eroi garibaldini, Bologna 1911, ad Indicem; G. Sacerdote, La vita di G. Garibaldi, Milano 1933, ad Indicem; e, per indicazioni bibl., A. P. Campanella, G. Garibaldi e la tradiz. garibaldina. Una bibliografia dal 1807 al 1970, Ginevra 1971, 11, ad Indicem; V. Castaldi, Nel 130°anniversario del sacrificio di F. D. a Villa Corsini, in Boll. stor. d. Svizzera ital., XCII (1980), 1-2, pp. 76-79.