FRANCESCO da Siena
A eccezione della città di provenienza non si conoscono gli estremi biografici di questo pittore, allievo di B. Peruzzi agli inizi del Cinquecento e attivo a Roma nella prima metà del secolo.
A proposito della sua famiglia sono state avanzate alcune ipotesi: il Milanesi (in Vasari [1568], 1879, p. 604) pensava ai Pomerelli di Siena; Romagnoli (1835, p. 477) individuava il padre in un tal Filippo; infine Guerrini (1982) ha riflettuto sull'indicazione "de vechi" presente in un passo relativo a F. nel Libro degli introiti dell'Accademia di S. Luca. Nelle sue Vite (1568, p. 607) Vasari definì F. "creato e discepolo" di B. Peruzzi, alludendo a un alunnato artistico e a un rapporto più intimo, come di persona allevata in famiglia. F. era a conoscenza di alcuni dati sul maestro senese che, insieme con il ritratto del Peruzzi, forse una medaglia (Binaghi, 1992), aveva messo a disposizione del Vasari per la stesura della seconda redazione delle Vite. Provenendo dallo stesso F., queste informazioni sono utili anche per tracciare un quadro della sua formazione.
Una notizia indiretta lo attesta a Roma prima del 1527. Nel Libro degli introiti, alla data del 1535, venne registrato in qualità di pittore e debitore di uno scudo all'Accademia di S. Luca (Guerrini, 1982, p. 173). Come l'estensore del Libro ricordava, tale era la somma dovuta dagli artisti che a Roma "avevano fatto bottega o preso lavori dimportantia" prima del sacco di Roma del 1527. L'incontro tra F. e Peruzzi dovette avvenire a Siena, e in un momento precedente il 1503. Infatti, in quell'anno Peruzzi, e come lui altri artisti suoi concittadini, si sarebbe trasferito a Roma in seguito all'elezione al soglio pontificio del senese Francesco Todeschini Piccolomini (Pio III) e, dopo il sacco, avrebbe fatto ritorno a Siena, dove sarebbe rimasto solo per un breve periodo.
F. riferì al Vasari notizie talmente dettagliate su alcune delle prime opere romane del Peruzzi da far presupporre una sua presenza all'interno di quei cantieri. È il caso di S. Onofrio al Gianicolo, dove la bottega peruzziana realizzò gli affreschi dell'abside. Il committente, Bernardino De Cupis, era maestro di casa di Girolamo Basso Della Rovere, nipote di Sisto IV e cugino di Giulio II (Testa, 1989). Forse proprio attraverso la sua mediazione il Peruzzi acquisì credito presso la corte papale. Certamente F. - se è giusta l'ipotesi della sua presenza a S. Onofrio - si assicurò un contatto prezioso dal momento che Bernardino de' Cupis era padre di quel Gian Domenico, cardinale e amministratore della diocesi di Trani dal 1517, con il quale in seguito intrecciò rapporti di committenza.
I documenti consentono di verificare la presenza di F. nuovamente a Roma almeno dal 1535; sempre il Libro degli introiti di S. Luca lo menziona alle date 1537 e 1538 per ben tre volte (Guerrini, 1982, p. 173). Nel 1536 morì Peruzzi, lasciando eredi dei suoi disegni Sebastiano Serlio, Iacopo Meleghino e lo stesso F. (Vasari, 1568; Puppi, 1987). Nel 1544 F. firmò e datò la sua prima opera nota, la pala per l'altare maggiore della chiesa di S. Maria in Trivio a Velletri. Si tratta di una commissione solo apparentemente marginale: dopo la cattedrale, S. Maria in Trivio era infatti la chiesa più importante e rappresentativa della cittadina laziale.
I committenti vollero celebrare la Vergine Assunta alla quale era dedicato l'altare e, con la presenza dei santi Pietro e Paolo, esprimevano anche un attestato di fedeltà alla Chiesa di Roma. Una lealtà testimoniata dalle fonti, riconosciuta dai pontefici e tributata al cardinale De Cupis, che, probabilmente, fu il diretto responsabile della scelta di Francesco. Per lui questi eseguì, certamente prima del 1550, data della prima edizione delle Vite vasariane, l'arme, oggi perduta, per il palazzo cittadino a piazza Navona.
Tra il settembre del 1544 e il gennaio 1545 è documentato il pagamento per un quadro con la Vergine, oggi perduto, collocato in una cappella, di imprecisata ubicazione, all'interno degli appartamenti farnesiani di Castel Sant'Angelo (Gli affreschi, 1981, p. 86). F. fu dunque a contatto con le maestranze che fin dal 1543 erano impegnate nell'impresa voluta da Paolo III; i lavori iniziarono sotto la supervisione di Luzio Romano (o da Todi) che F. conosceva almeno dal 1535 (Guerrini, 1982, p. 173). Nel periodo in cui F. è documentato a Castello la bottega di Luzio stava portando a termine le decorazioni nella loggia di Paolo III e nelle sale della Biblioteca, dell'Adrianeo e dei Festoni, secondo la più tipica tradizione ornamentale antiquariale romana di impronta raffaellesca: uso degli stucchi, della grottesca, del fregio, della narrazione storica e mitologica.
La verifica della presenza di F. nel cantiere del Luzio è determinante per comprendere un'opera che egli avrebbe realizzato qualche anno più tardi. Nel 1547 infatti eseguì gli affreschi, firmati e datati, di una sala del palazzo abbaziale di Grottaferrata, commissionati da un altro illustre membro della nobiltà romana, l'abate commendatario Fabio Colonna, patriarca di Costantinopoli e nipote del cardinale Pompeo. Nell'intento di celebrare il committente F. concepì una decorazione del tutto aderente ai codici della tradizione figurativa romana. Al centro della volta rappresentò una scena, di difficile decifrazione iconografica, in un riquadro incorniciato da stucchi. Arricchì il soffitto di grottesche, simili a quelle che aveva visto compiere dal Peruzzi o dalle maestranze di Castel Sant'Angelo, oppure vicine a quelle che aveva potuto studiare direttamente alla Domus Aurea, se è lui quel "Francesco da Siano" graffito su una delle pareti delle sale neroniane (oggi non più leggibile; Dacos, 1969, p. 158).
Come era avvenuto in alcuni palazzi romani, nella parte alta delle pareti della sala dipinse un fregio articolato in otto scene raffiguranti altrettanti episodi della Vita di Fabio Massimo il Temporeggiatore, basati sul racconto di Plutarco. In questi affreschi F. mise a frutto tutte le precedenti esperienze: dalla formazione senese all'alunnato presso Peruzzi, dalla frequentazione delle botteghe eredi della lezione ornamentale raffaellesca alla conoscenza del repertorio di soluzioni che caratterizzavano il manierismo romano ed europeo. Nel 1540 era giunto a Roma il Primaticcio, portando con sé la testimonianza della grande impresa decorativa realizzata nella dimora reale di Fontainebleau. La forte impressione suscitata negli ambienti artistici condizionò anche F., che con il fregio di Grottaferrata avrebbe dato prova di saper cogliere i fermenti presenti nel mondo artistico contemporaneo. Come quest'opera dimostra, era sufficientemente aggiornato da poter essere attivo nel campo della decorazione antiquaria celebrativa, così richiesta negli ambienti pittorici romani, ed era capace di produrre un ornamento pittorico che sovrapponesse il capriccio della grottesca alla gloria dell'emblema, dove lo stemma patrizio fosse mezzo e fine dell'esaltazione del signore.
Dopo gli affreschi di Grottaferrata non si conoscono altri lavori di F.; alcune delle sue "altre opere" citate dal Vasari potrebbero corrispondere alle decorazioni graffite su diverse facciate di palazzi romani riferite al pittore dal Mancini (1620, p. 38). Nel 1552 F. è citato nel Libro degli introiti dell'Accademia di S. Luca (Guerrini, 1982). Nel 1835 il Romagnoli (p. 483), basandosi su una tradizione locale, lo riteneva autore nel 1557 di alcune opere di scultura a Siena, tra le quali il sepolcro di Celia Petrucci, posto nella cripta di S. Bernardino dell'Osservanza. Nel 1568, infine, nella seconda redazione delle Vite, il Vasari scrive che dei disegni del Peruzzi "ancor oggi se ne vede una parte appresso Francesco" (p. 604).
Ignoto è l'anno della sua morte.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, IV, Firenze 1879, pp. 604, 607; G. Mancini, Considerazioni sulla pittura… (1620), a cura di A. Marucchi, I, Salerno 1956, p. 38; E. Romagnoli, Biografia cronologica de' bell'artisti senesi (1835), VII, Firenze 1976, pp. 477-483; Le case romane con facciate graffite e dipinte (catal.), a cura di C. Pericoli Ridolfini, Roma 1960, pp. 55, 84, 88; N. Dacos, La découverte de la Domus Aurea et la formation des grotesques à la Renaissance, London 1969, p. 158; Gli affreschi di Castel Sant'Angelo… (catal.), a cura di F.M. Aliberti Gaudioso - E. Gaudioso, I, Roma 1981, p. 86; R. Guerrini, Il "creato" di Baldassarre Peruzzi. Testimonianze su F. da S. (ed altri artisti senesi del Cinquecento), in Bullett. senese di storia patria, LXXXIX (1982), pp. 155-195 (con bibl. e antol. degli scritti su F.); Id., Plutarco e il ciclo pittorico di F. da S. nel palazzo abbaziale di Grottaferrata, in Athenaeum, LXII (1984), pp. 78-104; Id., Plutarco e l'iconografia umanistica a Roma nel Cinquecento, in Roma e l'antico nell'arte e nella cultura del Cinquecento, a cura di M. Fagiolo, Roma 1985, pp. 87-90; Id., Plutarco e la cultura figurativa nell'età di Paolo III: Castel Sant'Angelo, Sala Paolina, in Racar, XII (1985), 2, pp. 2 s.; Id., Contributo alla conoscenza di F. da Siena. Documenti e opere, in B. Peruzzi: pittura, scena e architettura nel Cinquecento, a cura di M. Fagiolo - M.L. Madonna, Roma 1987, pp. 503-536; L. Puppi, Il problema dell'eredità di B. Peruzzi: Iacopo Meleghino, il "mistero" di F. Sanese e S. Serlio, ibid., pp. 491-501; L. Testa, Gli affreschi absidali della chiesa di S. Onofrio al Gianicolo…, in Storia dell'arte, 1989, n. 66, p. 182; R. Binaghi, Il ritratto di B. Peruzzi nell'edizione delle Vite di G. Vasari…, in Paragone, XLIII (1992), 513, pp. 60-66; V. Farinella, Archeologia e pittura a Roma tra Quattrocento e Cinquecento, Torino 1992, pp. 67, 120, 136-139, 149, 155; M. Carminati, Cesare da Sesto, Milano-Roma 1994, p. 65.