ESTE, Francesco d'
Nacque a Ferrara il 10 nov. 1516, da Alfonso I duca di Ferrara e da Lucrezia Borgia. Gli fu imposto il nome di Francesco in onore del re di Francia, vincitore a Marignano. Rimasto orfano della madre a soli tre anni, divenne il preferito del padre. Come i suoi fratelli maggiori Ercole, erede al ducato, e Ippolito, il futuro cardinale, ricevette una raffinata educazione letteraria, in linea col costume estense, sotto la guida di Antonio Acciaiuoli. Giovanissimo, entrò in familiarità con Ludovico Ariosto, per il quale ebbe sempre grande venerazione; nel carnevale del 1528 recitò nel prologo delle Lena, e l'anno successivo in quello della Cassaria, in occasione del matrimonio di Ercole con Renata di Francia.
Nel 1533 si recò, peraltro di mala voglia, a La Spezia, per ossequiare Clemente VII Medici, acerrimo nemico, lui e la sua famiglia, degli Este. Nel maggio dell'anno successivo accompagnò a Venezia Renata di Francia. Nel settembre del 1534 fece un colpo di testa di cui pagò per lungo tempo le conseguenze finanziarie. Infatti, forse per le lusinghe di alcuni cortigiani francesi che circondavano Renata e per ambizione di gloria e onori, si recò alla corte di Francia, arrecando profondo disappunto al padre, che in quel momento ricercava l'appoggio dell'Imperos tanto da indurre Alfonso I ad apportare alcune sostanziali modifiche al testamento redatto l'anno precedente in termini assai favorevoli all'Este.
Di fatto, col testamento del 28 ag. 1533 il padre gli aveva lasciato, oltre a molti possedimenti immobiliari e alla villa di Medelena, il castello di Massa Lombarda presso Lugo e il palazzo Schifanoia con un legato di 13.000 scudi per arredarlo. Nel 1534, dopo l'andata dell'E. in Francia, il padre vincolò tutti questi beni con un fidecommesso che lo teneva soggetto al fratello Ercole e che impediva all'E. di disporre liberamente di essi.
Il soggiorno dell'E. alla corte francese ebbe però breve durata: la notizia della morte del padre (31 ott. 1534) lo raggiunse ad Amboise; il 17 dicembre. era di nuovo a Ferrara.
Il nuovo duca Ercole II, fratello dell'E., non poteva che proseguire la politica di equilibrio del padre, e mentre mandava il fratello cardinale Ippolito alla corte del re di Francia, già nel maggio del 1536 inviò l'E., come comandante di un corpo di cavalleria, al campo imperiale in Lombardia. Carlo V ricevette l'E. con molta familiarità e nello stesso anno gli dette in moglie la ricca vedova Maria di Cardona, marchesa di Padula nel Principato Citra e contessa di Avellino, dalla quale non ebbe figli e che morì nel 1563.
Fatte le prime esperienze militari nella fallimentare campagna di Provenza (1536), l'E. passò poi con l'imperatore in Spagna e lo seguì nel 1538 al congresso di Nizza, voluto da Carlo V per tenere a bada la Francia e potersi dedicare alla lotta contro gli eretici in Germania e contro i Turchi nel Mediterraneo. Nel 1541 seguì le truppe imperiali nella spedizione di Algeri, dove si salvò a stento dall'uragano che nella notte tra il 24 e il 25 ottobre distrusse ben centocinquanta navi con vettovaglie, munizioni ed equipaggi.
Nel 1542 fece parte della missione inviata in Inghilterra per ricercare l'alleanza di Enrico VIII contro Francesco I. In tale occasione un poeta della corte di Ferrara, Girolamo Falletti, esaltò la figura dell'E. quale prototipo di vero principe nell'encomiastico De bello sicambrico. Negli stessi anni il duca Ercole affidò all'E. alcune missioni di una certa rilevanza, d'altronde consone al suo status. Nel 1539 fu inviato presso Paolo III per sancire la riconciliazione tra Chiesa e Este; ed il pontefice, grazie anche all'intervento di Carlo V, concesse l'investitura di Ferrara ad Ercole in cambio di 180.000 ducati.
Nel 1543, divenuto capitano della cavalleria leggera nell'esercito imperiale - non fu mai un condottiero vero e proprio, ma certamente un brillante capitano - l'E. prese parte alla spedizione punitiva contro Guglielmo III duca di Cleve, reo di essere francofilo e di avere aderito alla Lega di Smalcalda. Marciò successivamente contro Gand, che si era sollevata contro la reggente, e che da tempo si ribellava al fatto di essere stata soppiantata da Anversa quale centro commerciale ed economico dei Paesi Bassi. L'occupazione del Lussemburgo da parte del re di Francia allargò il conflitto tra quest'ultima e l'Impero. Carlo V fu costretto a ripiegare nel Belgio. Nel corso delle operazioni l'E. fu fatto prigioniero dai Francesi di Charles conte di Brissac. La prigionia durò tre mesi; l'E. fu quindi liberato, senza il pagamento di un riscatto, per intervento del fratello, cardinale Ippolito.
Nel 1544, sempre al comando della cavalleria leggera, prese parte all'impresa di Saint-Dizier. In quel periodo infatti Carlo V aveva divisato di marciare su Parigi; varcò il Reno, invase la Champagne. mentre il suo alleato Enrico VIII d'Inghilterra assediava Boulogne. Gli Imperiali trovarono ostacolo nella resistenza di Saint-Dizier, che i Francesi rifornivano di uomini, munizioni e viveri da Vitry, piccolo villaggio tra Saint-Dizier e Châlons-sur-Marne, difeso dal Brissac, lo stesso che l'anno precedente aveva fatto l'E. prigioniero. L'E., incaricato di bloccare l'approvvigionamento di Saint-Dizier, nella notte del 23 luglio 1544 marciò su Vitry costringendo il Brissac a ritirarsi sulla via di Chálons-sur-Marne, dove, raggiunto dall'E., il suo esercito venne annientato. Vitry fu incendiata; l'E. catturò otto bandiere della fanteria francese e due stendardi della cavalleria che furono inviati ad ornare il castello di Massa Lombarda.
L'E. racconta la giornata di Vitry in una lettera al fratello duca Ercole, particolarmente ricca di dettagli e trasudante orgoglio (Rozet-Lembey, pp. 67 ss.). La lettera costituisce la relazione più importante e completa che possediamo sull'argomento; tuttavia non vi sono indicati né i luoghi ove l'azione si svolse, né i fiumi, né i villaggi incontrati, né dove l'E. sistemò tatticamente le sue truppe. Ma come ad alcuni ambasciatori e cronisti contemporanei all'E. faceva difetto la precisione o l'interesse nei confronti del teatro degli avvenimenti raccontati.
Dopo il successo ottenuto a Vitry l'E. aspettava da Carlo V consistenti segni di riconoscimento. L'imperatore gli offri 3.000 scudi che furono maldestramente rifiutati. Carlo V rimase offeso da tale comportamento e due anni più tardi, nel giugno del 1546, distribuendo a Ratisbona gli incarichi nell'esercito per la campagna contro i protestanti, non rinnovò il comando per la cavalleria leggera all'E., che riteneva gli spettasse avendolo così brillantemente esercitato. Quindi il 17 giugno l'E. lasciò il servizio presso l'imperatore, ma solo due mesi più tardi, forse perché non sopportava l'inattività o forse perché si era reso conto di aver compiuto una mossa sbagliata, chiese di poter prendere parte comunque alla campagna. La sua richiesta fu accettata, ma, essendo caduto ammalato a Mantova, l'E. poté arrivare a Ingolstadt solo l'8 settembre. Addetto come consigliere militare allo stato maggiore di Carlo V, seguì il duca d'Alba contro Giovanni di Sassonia. In seguito militò in Piemonte come generale della cavalleria e della fanteria italiana e qui la sua permanenza fu punteggiata da numerosi attriti, dovuti anche ai loro caratteri dispotici e violenti, con Ferrante Gonzaga, governatore di Milano.
Fu in seguito a ciò che l'E. trascorse quattro anni in Italia, visitando finalmente i feudi della moglie e occupandosi di Massa Lombarda, di cui Paolo III lo aveva creato marchese l'8 ag. 1544, con diritto di trasmettere titolo e giurisdizione agli eredi maschi e con facoltà di battere moneta.
L'E. infatti vi aprì la zecca e fece coniare monete con la propria effige. Se ne conservano esemplari nella collezione di Vittorio Emanuele III di Savoia al Museo regionale romano. Non rifuggì tuttavia dall'imitare e falsificare monete di altri Stati, cosa assai frequente peraltro in quel periodo; ciò è testimoniato da una lettera scritta da Massa Lombarda al duca di Ferrara nella quale lamentava che le sue monete non fossero accettate sul mercato di Lugo. La zecca però non ebbe lunga vita se nel testamento del 19 ag. 1573 l'E. lasciava alla figlia primogenita Marfisa "quelli casamenti dove fu già fatta la Zecca" (Lazzari, p. 17). Dedicò a Massa Lombarda molte cure: la circondò di robuste mura, concorse alla costruzione della chiesa di S. Paolo, aprì nuove strade e piazze, e donò all'Arciconfraternita di Maria Assunta un trittico di Dosso Dossi, del quale rimangono le due tavole laterali con S. Giovanni Battista e S. Giorgio, che è il ritratto dell'E., ora a Brera.
Non avendo l'E. eredi legittimi, alla morte di Alfonso II Massa Lombarda tornò alla S. Sede.
Un episodio occorsogli nel 1551 mette in luce il carattere violento ed irruente dell'E.: recò offesa (pare gli strappasse addirittura i peli della barba) al podestà di Ferrara, che si era rifiutato di ridurre la pena inflitta a un suo familiare. Senza l'intervento di alcuni gentiluomini, l'E. avrebbe finito il podestà a colpi di pugnale. In seguito a ciò fu bandito dalla città e poté farvi ritorno solo sotto Alfonso II. Ciò che accadde può essere messo in rapporto con l'attrito che si era creato tra l'E. e il duca suo fratello, a causa del fidecommesso sui suoi beni impostogli dal padre. Tale fidecommesso decadde alla fine del 1553 per diretto intervento di Carlo V.
Finita la parentesi italiana, intorno agli anni 1554-55, forse a causa dell'ascesa delle fortune di Enrico II di Francia, forse per le pressioni del fratello cardinale Ippolito ("il cardinale mi ha fatto molta instantia che per le cose che possono accadere in questo Regno io mi vogli restare di quà in servizio di Sua Maestà": Lazzari, p. 18), forse anche per i rinnovati legami con la corte francese seguiti al matrimonio, avvenuto nel 1549, della figlia di Ercole, Anna, con il futuro duca di Guisa Francesco di Lorena, maturò la rottura dei rapporti dell'E. con Carlo V. Rottura non solo dell'E., ma di tutta la casa d'Este; nel 1556 infatti Ercole aderirà alla lega antiasburgica formata da Paolo IV ed Enrico II. Alla fine del 1554 correva voce che l'E. cercasse di passare al servizio della Repubblica di Venezia: "Il signor don Francesco da Este risolutamente ha fatto domandar licenza a S. M.stà ' volendola ad ogni modo. Si dice che servirà la S.ma Signoria di Venetia" (Nuntiaturberichte, erste Abtl., XIV, p. 116). Le trattative non si concretizzarono, e nel 1557 l'E. seguì i suggerimenti del cardinale Ippolito, dall'ottobre 1553 al giugno 1554 luogotenente del re di Francia a Siena, e passò al servizio della Francia. Enrico II gli conferì l'Ordine supremo di S. Michele, una pensione annua e la carica di luogotenente generale in Toscana con una provvigione di 80.000 franchi l'anno e 300 franchi al mese di indennità.
Nel luglio del 1552 Siena aveva cacciato il presidio imperiale con l'appoggio francese e il contributo dei fuorusciti fiorentini. Nel 1555 la Repubblica senese aveva però dovuto capitolare di fronte alle forze medicee e imperiali. Ma seicentocinquanta famiglie si ritirarono a Montalcino, dove la Repubblica, primo esempio di Stato in esilio, resistette fino al 1559, sotto la protezione della Francia.
La nomina dell'E., che in quel periodo si trovava a Saint-Germain-en-Laye, a luogotenente di Enrico II a Montalcino, e datata 28 ott. 1557, ma egli lasciò passare l'inverno e arrivò a Montalcino cinque mesi-più tardi, il 18 marzo 1558, scortato da venticinque alabardieri.
I rapporti dell'E. con i fuorusciti senesi, che avevano creduto possibile garantire la loro indipendenza mettendosi nelle mani del re di Francia, si rivelarono fin dall'inizio piuttosto diflicili, un po' per il carattere dispotico del luogotenente, un po' perché i capi di Montalcino non potevano non sospettarlo di doppio gioco. Era difficile infatti per i Senesi aver fiducia in un fratello di quel duca di Ferrara che le contingenze politiche portavano in quel momento a ricercare l'alleanza di Cosimo de' Medici, la cui figlia Lucrezia, essendo state finalmente superate le questioni relative alla precedenza, era promessa sposa all'erede al trono di Ferrara, Alfonso. Contemporaneamente i Francesi si trovavano nella necessità di allentare la loro presenza sia militare sia finanziaria in Italia, abbandonando al loro destino quanti erano sotto la loro protezione, e nel caso di Montalcino speravano di darla al papa in cambio di Avignone e del Contado Venassino, o a Cosimo de' Medici.
Infatti all'E. ben poco denaro arrivava dalla Francia: egli aveva già anticipato ingenti somme e dovette ricorrere alla decimazione per porre fine all'ammutinamento delle truppe che non ricevevano il soldo da circa quindici mesi. Difficile situazione per il luogotenente, che si trovava a governare uno Stato in esilio e senza nessuna prospettiva di futuro, in nome di un re che non vedeva l'ora di disfarsene, contro un nemico, il Medici, che non poteva assolutamente inimicarsi per interessi familiari. Dopo aver tentato inutilmente di volgere a proprio vantaggio la situazione, offrendo al re di Francia 350.000 scudi in cambio dei territori della Repubblica di Montalcino che, nel 1558, aveva già perduto Talamone e Castiglion della Pescaia, conquistate da Cosimo, nell'autunno del 1558 l'E. pensò bene di andare a svernare a Grosseto e di chiedere l'autorizzazione a Enrico II di tornare a corte.
Il governo dell'E. fu deplorevole; egli si comportò da tiranno più che da luogotenente generale, tanto che gli abitanti, visti i propri raccolti requisiti dai soldati, si rifiutarono di fare nuove semine. Pochi giorni prima di partire da Montalcino, lasciandovi come sostituto Cornelio Bentivoglio, l'E. corse il rischio di essere assassinato. La pace di Cateau-Cambrésis (3 apr. 1559) segnò la vittoria della Spagna e il fallimento della politica francese in Italia. E segnò anche il fallimento delle aspettative dell'E. che aveva guadagnato ben poco nel passaggio al partito francese. Di qui l'origine di un tentativo di tornare al servizio della Spagna: è del 26 apr. 1559 una lettera diretta a Madrid: "in quanto le piacerà comandare, mi troverà sempre pronto ad ubbidire" (Cantagalli, p. 552, n. 156).
Nel settembre dello stesso anno l'E. si recò a Parigi nel vano tentativo di riavere la somma che la Corona gli doveva per le spese sostenute in Toscana. Durante il soggiorno a Parigi mori Ercole II e nel Ducato di Ferrara successe il nipote dell'E., Alfonso II. Il nuovo duca lo tenne in considerazione: lo volle come suo consigliere, e quando si assentava gli affidava la reggenza. Nel 1560 l'E. fece parte del corteggio che accompagnò a Ferrara la sposa del nuovo duca, Lucrezia de' Medici.
A Ferrara l'E. acquistò il palazzo Diotisalvi-Negroni; e già dal 1559 aveva dato inizio ai lavori per la palazzina cosiddetta di Marfisa, dal nome di una delle sue due figlie naturali (una seconda figlia era stata chiamata Bradamante e entrambi i nomi erano stati naturalmente ispirati dalle due figure femminili dell'Orlando furioso). La palazzina fu fatta decorare dall'E. da un allievo del Dossi. Camillo Filippi e dai suoi due figli, Sebastiano e Cesare, con scene ed episodi tratti dall'antichità, conosciuti probabilmente attraverso le Metamorfosi di Ovidio. L'E. fu inoltre il committente del complesso di edifici noto come "casini di S. Silvestro", che furono sua residenza abituale a Ferrara.
Nel 1566 fu a Roma per un'ambasceria di obbedienza a Pio V e nel marzo del 1573 il duca lo nominò nella commissione incaricata di dirimere la questione dei confini tra il Ducato e Bologna, rappresentata dal cardinale F. Orsini.
L'E. morì a Ferrara il 22 febbr. 1578 e, per sua volontà, fu sepolto nella chiesa di S. Paolo a Massa Lombarda.
Oltre al già citato ritratto di Dosso Dossi, l'E. è effigiato con barba e corazza in una medaglia (datata 1554) di Pastorino di Giovan Michele de' Pastorini, medaglista che molto lavorò per casa d'Este. Non conosciamo però dove attualmente sia conservata.
L'E. ebbe con Battista Guarini, il poeta, ambasciatore e segretario di Alfonso II, lunghe controversie giudiziarie relative ad alcuni possedimenti di terreni, che continuarono poi con Marfisa e Bradamante.
Fonti e Bibl.: Nuntiaturberichte aus Deutschland, erste Abtl., 1553-59, IV-XIV; Gotha-Tübingen 1893-1971, ad Indices; Nunziature di Venezia, a cura di A. Stella, Roma 1977, in Fonti per la storia d'Italia, X, ad Indicem; Relaz. degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di E. Alberi, s. 2, II, Firenze 1841, p. 426; Documenti risguardanti la Repubblica senese ritirata in Montalcino, in Arch. stor. ital., s. 1, App., VIII (1850), pp. 389-488 passim; P. Giovio, Lettere, a cura di G. G. Ferrero, I-II, Roma 1956-58, ad Indices; A. Rozet-J. F. Lembey, L'invasion de la France et le siège de Saint-Didier... d'après les dépéches italiennes de F. d'E., Paris 1910, ad Indices; C. Kunz, Monete inedite o rare di zecche ital., Massalombarda, in Archeografo triestino, s. 2, IX (1877), pp. 166ss.; G. Castellani, Quattrino inedito di F. d'E. per Massalombarda, in Riv. ital. di numismatica, VII (1894), pp. 91-97; G. Gruyer, L'art ferrarais, I-II, Paris 1897, ad Indices, ad voces Este (François d') fils d'Alphonse I, e Este (François d'E.), marquis de Massalombarda; L. Romier, Les origines politiques desguerres de religion, I-II, Paris 1913-4, ad Indices; A. Lazzari, Don F. d'E., marchese di Massalombarda, Bologna 1942, pp. 1-24; R. Cantagalli, La guerra di Siena, Siena 1962, adIndicem; L. Chiappini, Gli Estensi, Varese 1967, pp. 277 s.; Ferrara, Palazzina Marfisa, Bologna 1980, ad Indicem; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Este, tav. XIII.