CUCCHI, Francesco
Nacque a Bergamo il 17 dic. 1834 da Antonio, agiato proprietario terriero di nobili origini, e da Maria Milesi. Compiuti i primi studi al.collegio dei barnabiti di Lodi, passò al liceo di Bergamo e quindi seguì a Padova per due anni (1853-55) i corsi di matematica che poi abbandonò per darsi ai viaggi. Nel '59 era a Londra dove conobbe Mazzini; fino ad allora non sembra si fosse interessato di politica: alla notizia dello scoppio della guerra tornò in Italia e si arruolò nel corpo dei Cacciatori delle Alpi con i quali, agli ordini di N. Bixio, prese parte a tutta la campagna nel settore nord dello schieramento franco-piemontese. Non ebbe mai modo di segnalarsi particolarmente, ma in verità le virtù del C. erano più quelle del mediatore che del combattente; più che nell'uso delle armi, la sua abilità spiccava nello stringere rapporti, nell'organizzare movimenti d'uomini, nell'intavolare delicate trattative. In particolare fin dall'autunno del '59 Garibaldi gli affidava la gestione dei rapporti con il re, in quella zona di politica segreta - fatta di contatti informali e di missioni ufficiose - che il C. mostrava di prediligere.
Non sempre questa attività fu coronata dal successo; alla vigilia della spedizione dei Mille, ad esempio, fallì il tentativo di ottenere da M. d'Azeglio, governatore di Milano, le armi acquistate con il fondo per il milione di fucili. Il contributo del C. all'impresa garibaldina fu comunque notevole: circa centottanta furono infatti i volontari arruolati da lui e da F. Nullo a Bergamo e condotti a Genova alla vigilia della partenza da Quarto. Gravemente ferito ad una spalla durante i combattimenti per la presa di Palermo, dopo una lunga convalescenza il C. rientrò nell'esercito garibaldino in tempo per essere promosso maggiore e assistere dalle retrovie alla battaglia del Volturno; intanto, consigliere ascoltato di Garibaldi, si batteva con ben altra determinazione per affrettare l'annessione dei Meridione al Piemonte e impedire, anche premendo su Mazzini perché si allontanasse da Napoli, soluzioni sul tipo di quelle auspicate dalle forze rivoluzionarie.
Non è ben chiaro se nella sua opera di mediazione il C. avesse più a cuore gli interessi di Garibaldi o quelli del re; in generale si può affermare che i suoi interventi sul nizzardo tendevano a frenare l'assunzione di iniziative troppo avventate, tali non solo da compromettere il movimento garibaldino, ma anche da coinvolgere la posizione internazionale dell'Italia. Perciò se nel '61, al termine di un lungo viaggio in Grecia e nei Balcani, sconsigliava ogni intervento in soccorso dell'irredentismo greco, nel '62, prima dei fatti di Sarnico, illuminava Garibaldi sul carattere prematuro e sconsiderato di un attacco all'Austria. 16 da credere tuttavia che il ruolo moderatore dei C. non fosse sempre accettato da un Garibaldi combattuto tra la devozione al re e l'esigenza di affermare l'autonomia dell'Italia dalla Francia di Napoleone III: ciò forse può spiegare la partecipazione del C. alla fase iniziale della spedizione di Aspromonte in condizioni di completa disinformazione sui fini della nuova mossa di Garibaldi - il C. pensava ad uno sbarco in Grecia - e può spiegare il suo invio nell'Alta Italia, all'immediata vigilia dell'attraversamento dello Stretto, con il compito di reclutare uomini e di tenere i contatti con la corte.
Superata la crisi, il C. riprese la sua attività di occulto iniziatore di trame nel cui disegno il tentativo di minare dall'interno la solidità del plurinazionale Impero asburgico era difficilmente disgiungibile dal progetto di avviare un'ambiziosa politica d'espansione della monarchia sabauda: di qui molti viaggi all'estero, molti incontri con esuli ungheresi e polacchi, soprattutto nel '64, ma nessun risultato tangibile. Anche allo scoppio della guerra del '66 l'azione di collegamento che il C. svolse tra il re e Garibaldi mirava alla preparazione di uno sbarco in Dalmazia: non se ne fece nulla, ma al momento dell'impiego in battaglia il C. non mancò, e a Bezzecca, per aver raccolto e riportato al fuoco una colonna di sbandati, fu decorato con la medaglia d'argento.
Quest'ultima prova accrebbe la fiducia in lui del generale che nella tarda estate del '67, prima della crisi di Mentana, spedì il C. a Roma perché sanasse il dissidio esploso tra i due comitati ivi operanti - il moderato e il rivoluzionario - e preparasse il terreno all'insurrezione; ma l'invio del C. "non portò affatto a chiarificazioni fra le parti, e acuì forse anche i contrasti" (Bartoccini, p. 507) e ciò non tanto per sue carenze specifiche quanto per la confusione che caratterizzava in quel momento la linea politica del governo. Sollecitato a passare all'azione in una fase che gli appariva prematura, il C. mise in atto tutti quei gesti isolati che tra il 22 e il 23 ottobre avrebbero dovuto, m collegamento con l'iniziativa dei fratelli Cairoli, sfociare in una sollevazione generale: ma lo sfoggio d'audacia anche personale non bastò a fare di tanti piccoli attentati una azione militarmente coordinata capace di scuotere la popolazione romana dalla rassegnata attesa della fine del potere temporale.
Fu a tale prospettiva che negli anni seguenti lavorò il C. nelle vesti ufficiose di diplomatico della Sinistra garibaldina, un diplomatico che ebbe per interlocutore lo stesso Bismarck dal quale, durante una visita al fronte nel momento in cui si scatenava l'offensiva germanica (agosto '70), ricevette, insieme con finanziamenti per la Sinistra italiana, il suggerimento che il governo affrettasse i tempi di soluzione della questione romana approfittando del contemporaneo impegno militare francese. Terminata la missione, il C. tornò in tempo per recarsi a Roma, valutare la situazione della città, inviare informazioni al governo ed assistere all'apertura della breccia di porta Pia.
Col raggiungimento degli ultimi obbiettivi nazionali l'attività del C. si fece meno frenetica. Già dal '67 era arrivato alla Camera in rappresentanza del collegio di Zogno: mantenne la carica fino alla XVII legislatura (dal '76 con i voti di Sondrio), poi, il 10 ott. 1892, fu fatto senatore. Non fu mai un grande oratore e le poche volte che intervenne fu per sollecitare l'estensione dei collegamenti ferroviari alla Valtellina e il completamento delle opere stradali. Incline a evitare le posizioni di primo piano, il C. cercò di trasferire nelle nuove mansioni lo stesso spirito volontaristico del passato, sempre però riservando a se stesso il ruolo di ispiratore e quasi di eminenza grigia.
Anche in lui, come in molti altri esponenti della Sinistra garibaldina, la volontà di agire ad ogni costo passava disinvoltamente sopra contraddizioni e confusioni ideologiche; e l'auspicio di un maggior dinamismo della politica nazionale poteva celare motivazioni poco limpide, tali a volte da giustificare una gestione affaristica del potere. Casi di elezioni contestate o annullate per brogli, pressioni su Garibaldi perché accettasse il "dono nazionale", richieste continue di favori e raccomandazioni, una domanda di autorizzazione a procedere contro di lui per violenze contro un impiegato delle Poste - fu respinta dalla Camera nonostante il parere favorevole di una commissione parlamentare (1888), sono nella carriera del C. la premessa a quel coinvolgimento nelle vicende della Banca Romana che oscurò gli ultimi anni di una vita che la dedizione a Garibaldi e l'opera svolta in favore dei collegi rappresentati avevano degnamente illustrato. Quando infine, nel gennaio del '98, il suo nome apparve sul bollettino dei protesti, un gruppo di senatori segnalò la cosa a D. Farini, presidente del Senato. L'episodio, da collegare presumibilmente con l'attività di impresario di una fornace per materiali edili avviata dal C. dopo il trasferimento a Roma, non ebbe seguito, ma certo, se non altro come sintomo di difficoltà economiche, rattristò gli ultimi anni di una vita resa ancora più penosa dalla perdita della moglie (1903) e di due dei quattro figli da lei avuti.
Il suo declino coincideva con quello del Crispi cui lo avevano unito la scelta monarchica, la francofobia, l'ammirazione per Bismarck - al quale nell'89, durante una visita voluta proprio dallo statista siciliano, aveva espresso i timori italiani d'una aggressione francese - e il radicalismo anticlericale, sentimento, questo, che lo aveva reso molto popolare in Trastevere quando nel '95 vi aveva organizzato a proprie spese una luminaria celebrativa del venticinquesimo anniversario della presa di Roma.
Il C. morì a Roma il 1° ott. 1913: dopo solenni onoranze funebri, la salma fu tumulata nel cimitero del Verano.
Fonti e Bibl.: Molte le lettere del C. custodite nell'archivio dei Museo centr. del Risorgimento di Roma (le più notevoli quelle nelle buste 308/29; 397/25, 27 e 29; 438/13; 546/93); nello stesso archivio, la denunzia anonima da parte di alcuni senatori dalle disavventure economiche del C. e la richiesta a D. Farini di "salvar tutto dignitosamente" (busta 295/59). Due lettere del C. a Depretis in Arch. centrale dello Stato, Carte Depretis, serie I, busta 27/98; scomparse, dallo stesso archivio, le numerose lettere a Crispi di cui si ha notizia dai registri della Corrispondenza segreta degli anni 1887 e 1889. Tra le fonti edite, si vedano quelle relative alla carriera parlamentare: l'Indice gen. degli Atti parlamentari. Storia dei collegi elettorali, II, Roma 1898, pp. 625 e 727; per i discorsi, gli Atti parlamentari, Camera, Discussioni, dalla X alla XVI legislatura, ad Indices. Per il Senato: legislatura XVIII, sessione 1892-94, III, ad Indicem; legislatura XXIV, sessione 1913-14, I, pp. 25 s. (commem. del presidente Manfredi che di lui dice: "... se raramente discusse, spesso interpellò"). Altre fonti: F. Crispi, Carteggi Polit. ined. (1860-1900), a cura di T. Palamenghi Crispi, Roma 1912, pp. 298 s., 468; A. Agazzi, La morte di F. Nullo in un'interessante lett. ined. del C. a Garibaldi, in Bergomum, n. s., XXIX (1955), 1, pp. 39-43; G. Sylva, L'VIII compagnia dei Mille, Bergamo 1959, ad Indicem; D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, I-II, Roma 1961, ad Indicem; G. Asproni, Diario politico, 1855-1876, III-VI, Milano 1980-83, ad Indicem. Delle biografie del C., la più completa, condotta sulle carte conservate dagli eredi, è quella che è stata scritta con accenti sovente encomiastici da P. Capuani per il volume Le 180biografie dei Bergamaschi dei Mille, a cura di A. Agazzi, Bergamo 1960, pp. 137-218. Tra le numerose altre segnaleremo: F. C. nell'epopea garibaldina, Bergamo 1913; G. Locatelli Milesi, F. C., in Bergomum, XXVII (1933), pp. 243-259; Id., La vita gloriosa di un bergamasco dei Mille, in Camicia rossa, XIII(1937), 1, pp. 9-12 e 2, pp. 35-39. Si veda inoltre: P. De Quinelle, F. C., Mentana et Bismarck, in Journal des Débats, 8 dic. 1913; N. Quilici, Fine di secolo. Banca Romana, Milano 1935, ad Indicem; G. Carocci, A. Depretis e la politica interna italiana dal 1876al 1887, Torino 1956, ad Indicem; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, VII, Bergamo 1959, ad Indicem; Storia del volontarismo bergamasco, a cura di A. Agazzi, Bergamo 1960, ad Indicem; P. Capuani, F. C. e l'insurrez. greca..., in Bergomum, n. s., XXXIV (1960), pp. 63-92; Id., F. C. e l'unione di Roma all'Italia, in Atti dell'Ateneo di scienze, lett. ed arti di Bergamo, XXXV (1970-71), pp. 353-390; F. Bartoccini, La "Roma dei Romani", Roma 1971, ad Indicem; R. Mori, La politica estera di F. Crispi (1887-1897), Roma 1973, ad Indicem; Diz. Ris. naz., sub voce.