COZZA, Francesco
Nato a Stilo di Calabria (Reggio Calabria) nell'anno 1605 (Pascoli, 1736, p. 65) il C. risulta registrato a Roma, nella parrocchia di S. Andrea delle Fratte, dal 1631 (Roma, Arch. stor. del Vicariato, S. Andrea delle Fratte, Stati d'anime, 1631, f. 139; 1632, f. 174; 1633, f. 238; 1634, f. 290). Tuttavia il suo arrivo a Roma e l'alunnato presso il Domenichino (Pascoli, 1736, pp. 65 s.) sono probabilmente anteriori al 1631, in quanto l'ascendente del maestro è già evidente nella prima opera conosciuta del C., il S. Giuseppe di S. Andrea delle Fratte datato 1632. A un momento immediatamente successivo appartengono gli affreschi di S. Ambrogio della Massima a Roma. Nei pennacchi della cupola il C. raffigurò, seguendo in parte l'esempio del Domenichino a S. Carlo ai Catinari, il Trionfo delle virtù cardinali sui vizi, servendosi delle prescrizioni dell'Iconologia di C. Ripa.
Documentato a Roma fino all'anno 1634, l'artista seguì il Domenichino a Napoli alla fine di quell'anno o l'anno seguente, ma è possibile che ogni tanto tornasse a Roma, come nel 1637, quando firmò una pala per S. Verecondio a Gubbio raffigurante la Madonna col Bambino che appare a s. Stefano (ora nel convento di S. Secondo: cfr. Tiberia, 1977). A Napoli il C. sembra entrare in contatto con il classicismo dello Stanzione e, soprattutto, del De Rosa, la cui produzione era influenzata dalla presenza del Domenichino. La Madonna del cucito nella chiesa di S. Bernardino di Molfetta e la Sacra Famiglia del Museo nazionale di Capodimonte, eseguite verso la fine del quarto decennio, e comunque anteriormente al 1645 per quanto riguarda il primo dipinto (D'Elia, 1964, pp. 164 s.), testimoniano appunto il rapporto con la corrente purista napoletana e la ricerca di una immagine devozionale immediatamente comunicativa nella semplicità del sentimento religioso. La Fuga in Egitto in S. Bernardino a Molfetta (di cui esiste una replica a Roma, chiesa della Madonna di S. Marco) è invece ancora legata agli stilemi del Domenichino, e indica nel pittore un marcato interesse paesistico. Tornato a Roma, il C. dipinse il Crocifisso e s. Francesco di Paola nella sala capitolare della chiesa di S. Francesco di Paola, probabilmente nel 1640-41, data in cui il Sassoferrato eseguì la decorazione della sacrestia, secondo il Pascoli (1736) affidata in un primo tempo al C. stesso.
A questo periodo appartiene la Nascita della Vergine (Roma, Galleria Colonna), in cui il pittore mostra di aderire ai modi del classicismo barocco conservando, dell'esperienza napoletana, un marcato interesse per gli effetti drammaticamente luministici, che rendono quest'opera assai più incisiva di quelle giovanili ispirate al Domenichino. Negli affreschi di S. Andrea delle Fratte, raffiguranti l'Elemosina di s. Carlo Borromeo e l'Apparizione della Vergine a S. Francesca Romana, e nella pala d'altare della stessa cappella, probabilmente del 1656, come pure nella Pietà della Gall. nazionale di Roma, appartenente allo stesso periodo (come mostra il confronto con il Cristo morto, firmato e datato 1657, già Londra, Sotheby's, 10 luglio 1963, n. 155), ilpittore recupera alcuni stilemi del classicismo bolognese, ponendosi quindi nella cerchia di pittori come il Cerrini e il Sassoferrato, che alla metà del secolo, mediante tale recupero, si opponevano in diversa misura all'arte barocca. Negli stessi anni, tuttavia, con l'Apparizione della Madonna a s. Rocco nella sacrestia della chiesa di S. Rocco a Roma, mostra di aderire all'iconografia e allo spirito dell'immagine religiosa barocca codificata dal Lanfranco. Tale adesione a una poetica più attuale è evidente nella Pala del riscatto datata 1660(già in S. Francesca Romana a via Sistina, ora presso il Collegio Nepomuceno di Roma), ricordata dal Lanzi (1809, p. 362)come una delle opere più significative del C., e nella pala in S. Maria della Cima di Genzano, dello stesso periodo. Essa permette al pittore di uscire dal suo parziale isolamento culturale e si configura nel recupero della pittura del Lanfranco nei suoi aspetti compositivi e in particolari accorgimenti stilistici, come l'uso di luci radenti a sottolineare la forma, che lo inducono ad abbandonare i manierismi disegnativi delle opere giovanili. Tale adesione ai modi del Lanfranco viene interpretata in senso classicista dal C. che stabilizza intorno ad un asse di simmetria i dinamici impianti lanfranchiani e non ha seguito in opere immediatamente successive, come gli affreschi nella cappella di S. Giuseppe al Pantheon del 1661 c.(Cunsolo, 1966, pp. 31 s.), o la Madonna col Bambino già a Londra, Arcade Gallery (cfr. Schleier, 1971, pp. 7, 25, tav. 26).
Questo periodo vede inoltre la piena affermazione del C.: Virtuoso del Pantheon dal 1647, accademico di S. Luca dal 1650, a partire dal 1658 esegue per Camillo Pamphili le sue opere di più vasto respiro. Fra il 1658 e il 1661 partecipa alla campagna decorativa dei palazzo Pamphili di Valmontone, affrescando la volta di una delle sale con l'Elemento del fuoco. In quest'opera il C. supera di getto la tradizione decorativa sviluppatasi nella prima metà del Seicento, ponendo le premesse per la decorazione tardobarocca. Fra il 1667 e il 1673 il C. lavora nella biblioteca del Collegio Innocenziano presso il palazzo Pamphili a piazza Navona.
Nella parte centrale del soffitto della sala d'ingresso alla biblioteca il C. raffigura la Giustizia, la Sapienza e la Liberalità, mentre il soffitto del salone presenta agli angoli la raffigurazione dei Quattro elementi e delle divinità ad essi associate, in base alle prescrizioni di C. Ripa (per il bozzetto preparatorio dell'Elemento dell'acqua cfr. Faldi, 1956).Sui lati del soffitto sono raffigurate la Musica, la Poesia, l'Astronomia e la Teologia, affiancate dalle insegne pontificie e dagli stemmi dei Pamphili e degli Aldobrandini, mentre al centro compaiono la Divina Sapienza, e le Virtù teologali. Il programma iconografico di questa decorazione appare quindi un'esaltazione delle virtù dei committenti e si pone in significativo confronto con quello ispirato da G. P. Bellori e in parte realizzato da C. Maratta a palazzo Altieri pochi anni dopo. Entrambi i cicli pittorici risolvono in forma strettamente simbolica e didascalica il compito celebrativo illusionisticamente sviluppato da Pietro da Cortona a palazzo Barberini a Roma. Alle opere eseguite per i Pamphili appartiene anche la decorazione di un corridoio del palazzo di piazza Navona, eseguita nel 1660(cfr. Garms, 1972, n. 959) e, forse, la decorazione della volta della cappella di S. Francesca Romana in S. Agnese in Agone (Schleier, 1971, pp. 6, 13 tav. 6).
Nel 1676 l'artista esegue a palazzo Altieri i due pannelli raffiguranti l'Autunno e l'Inverno, nei quali, come nella Trinità adorata da quattro sante (Berlino ovest, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz, Gemäldegalerie), dello stesso periodo, è evidente la ricerca di moduli espressivi più raffinati nell'uso delle luci e dei colori. A questo momento appartiene il Trionfo di David (già Londra, Christie's, 27 maggio 1977, n. 11 tav. 1), confrontabile stilisticamente con gli affreschi di palazzo Altieri. Intorno al 1665 si situa la produzione del C. nell'ambito della pittura di paesaggio. Nell'Agare Ismaele di Copenaghen (Statens Museum for Kunst) del 1664 mostra di aderire alla corrente classicista e al naturalismo di Gaspard Dughet, mentre nel dipinto di uguale soggetto al Rijksmuseuin di Amsterdam sembra preferire, negli elementi naturalistici e nel taglio del paesaggio, il romanticismo di S. Rosa. Allo stesso periodo appartengono il Ritrovamento di Mosè (Roma, Pii Stabilimenti di S. Maria in Aquiro; Schleier, 1971, pp. 6, 16 tav. 14) e il Figliol prodigo in collezione privata inglese (Salerno, 1976, p. 587). Il C., pittore di figura, privilegia comunque il momento narrativo, subordinando alla disposizione dei personaggi il taglio del paesaggio, che assume di conseguenza un'impronta tutta particolare nell'ambito della pittura paesaggistica del Seicento. Al 1675 risale l'ultima opera certa del C., la Predica del Battista, già in S. Marta al Collegio Romano (Roma, Galleria nazionale: cfr. Acquisti, doni, lasciti, restauri e recuperi, 1962-70, XIII Settimana dei musei, Roma 1970, p. 32), che conclude la sua vicenda artistica tornando ai modi del Domenichino.
Il C. morì a Roma il 13 genn. 1682 (Frangipane, 1929) e fu sepolto in S. Agostino.
Della sua attività di incisore restano cinque acqueforti conservate presso l'Albertina di Vienna. Presso l'Accademia di S. Luca a Roma si conservano undici tavole che illustravano le Lezioni di prospettiva tenute dal C. presso l'Accademia stessa.
Sono da respingere le seguenti attribuzioni: Roma, S. Andrea delle Fratte: pennacchi della cupola (cfr. D'Onofrio, 1971, p. 38); Monterotondo, duomo: Sacra Famiglia con s. Giovannino (cfr. Schleier, 1971, p. 7); Roma, Galleria nazionale: Maddalena (ibid.); Arrone, S. Maria: Madonna in gloria coi SS. Pietro e Paolo (cfr. Pittura del Seicento e del Settecento. Ricerche in Umbria, I, Treviso 1967, ad Indicem);Capranica, S. Maria dei Piano: Nascita e morte della Vergine, affreschi ai lati della cappella maggiore (cfr. Lopresti, 1928-29, p. 334); Leningrado, Ermitage: Giaele (cfr. catal., 1976, n. 112).
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