CORNER, Francesco
Nacque a Venezia il 28 giugno del 1521 da Fantino di Girolamo, del ramo detto della Piscopia, e da Marietta Foscari di Francesco. Il padre fu senatore ed ebbe incarichi di rettore a Cipro; si era sposato nel 1511 ed ebbe, oltre al C., altri tre figli: Alessandro, Girolamo, Giovanni. Alessandro sposò Chiara Morosini e fu padre di Francesco, Alessandro e Fantino, quest'ultimo ambasciatore in Savoia, savio, eletto ambasciatore in Spagna; Giovanni fu genero, avendone sposato la figlia Chiara, del famoso Alvise Corner, fortunato scrittore di agricoltura.
Il C. entrò in Maggior Consiglio a diciotto anni. nel 1539; nel 1546 fu eletto savio agli Ordini, magistratura generalmente riservata ai giovani, che permetteva loro di entrare a far parte del Collegio e di farsi così una ricca esperienza nel maneggio dei più importanti affari di Stato. Fu rieletto savio agli Ordini nel 1547, anno in cui fu anche nominato sopracomito di galea, servizio nel quale meritò le lodi dei massimi organi della Repubblica. Sono così già delineate le due linee della sua brillante carriera pubblica: quella civile e quella militare in mare; nelle fonti genealogico-agiografiche sul patriziato veneziano è infatti ricordato come valoroso capitano e prudente senatore. Nel 1554 fu dei Sedici savi sopra la Tassazione della città; dal dicembre 1556 al maggio 1558 fu provveditore a Peschiera.
L'incarico rivestiva un'importanza soprattutto militare ed il problema principale del governo di Peschiera era rappresentato dalla fortezza, baluardo della difesa dello Stato veneto verso Occidente. Il C. rivela in questo incarico l'attivismo e lo spirito di iniziativa che contraddistinguerà anche in seguito il suo operato; nella sua relazione afferma che la fortezza di Peschiera è ormai "riduta in sigurtà" e che resta da fare solo qualche lavoro di perfezionamento del sistema difensivo; dà inoltre un preciso rendiconto dei lavori da lui fatti eseguire alle mura, della situazione degli alloggiamenti dei soldati con la minuta indicazione delle spese. Al di là di questo efficiente quadro di amministrazione, emerge però lo stato di precarietà e di relativo abbandono che contraddistingue il panorama militare italiano della seconda metà del '500, caratterizzato dalla lentezza operativa e dall'ingovernabilità dei soldati. Il C. lamenta che l'organizzazione è carente; che è impossibile porre fine ai continui furti di legname e ferramenta, porre rimedio alla scarsezza di armi, e di "biave", arginare la fuga dei soldati; contro a tutto ciò il C. dà consigli e fa una serie di proposte destinate al suo successore; ma sono accenti che si ripetono invariati al termine di quasi tutte le relazioni dei rettori veneti, impossibilitati a porre rimedio ad una situazione di crisi strutturale del governo di Terraferma.
Al ritorno a Venezia, nel giugno 1558, il C. fu eletto al Collegio della milizia da Mar; dal gennaio 1560 al settembre 1562 fu patrono all'Arsenale; nel 1564 fu eletto governatore di galea "per sospetto dei Turchi"; dall'agosto 1564 all'agosto 1565 fu dei Dieci savi di Rialto; nel 1566 ebbe un importante rettorato, quello di podestà e capitano di Treviso; al ritorno a Venezia, nel 1568, fu di nuovo governatore di galea, ma non ebbe occasione di uscire in mare e nello stesso anno lo troviamo in Senato; fu inoltre eletto savio di Terraferma, a dimostrazione di un certo prestigio ormai ottenuto e provveditore sopra gli Atti dei sopragastaldi.
Nel 1569 venne nominato bailo e provveditore generale a Corfù, carica di notevole importanza e che assumeva in quei momenti di crisi veneto-turca un rilievo particolare. Nel biennio del suo provveditorato, luglio 1570-luglio 1572, il C. si distinse in campo militare, così da ottenere quella serie di riconoscimenti semiufficiali, in campo pittorico e storiografico, che lo fecero entrare in quella galleria di "eroi" citati di generazione in generazione in una Repubblica come quella veneta, così attenta a costruirsi un suo sistema di mitologie e glorie sul modello classico.
Il C. fu protagonista di varie azioni militari; si distinse nella difesa di Praga e fu l'animatore della resistenza di Corfù ai Turchi, durante la quale prese anche iniziative di sortite ed inseguimento del nemico. Egli fu uno dei perni del sistema navale veneziano in quei momenti; da bailo a Corfù si affiancò a Iacopo Soranzo provveditore generale da Mar, Sebastiano Venier capitano generale da Mar, Filippo Bragadin provveditore generale in Golfo. I problemi per Venezia, e per Sebastiano Venier in particolare, non venivano solo dal nemico, bensì anche dagli alleati pontifici e spagnoli: ai problemi della gestione militare e politica della guerra si affiancavano le rivalità personali e le complesse questioni di gerarchia e di precedenze. Il C. ricevette da Sebastiano Venier l'incarico di assaltare la fortezza turca di Margariti ma, nel momento in cui riteneva di poterla prendere di forza ricavandone un congruo bottino di armi, la resa della fortezza venne patteggiata dai capitani della fanteria Paolo Orsini e Prospero Colonna, salve le persone e le armi degli assediati; il tutto all'insaputa del Corner. Quest'azione contro Margariti comporto anche la resa della fortezza di Sopotò agli Albanesi, i quali la consegnarono a Venezia il 16 nov. 1571. La presa di Margariti da parte del C., che ne fu il principale protagonista, entrò nell'agiografia patria di Venezia e fu effigiata in palazzo ducale; ma l'esame delle fonti, delle lettere di Sebastiano Venier e del C. stesso rivela una realtà più amara ed una serie di delusioni, di sconforti, di contrasti e di risentimenti. Lo sforzo militare, essenzialmente veneziano, era stato concluso dal patteggiamento unilaterale degli alleati ed era doloroso, scrive il C. al Consiglio dei dieci, lasciare salvi tanti turchi, indegni di ogni pietà. Del resto i contrasti con il Colonna e l'Orsini non finivano lì, essendo i due capitani contrari ad ogni impresa o iniziativa offensiva.
Al suo ritorno in patria, mentre la guerra aveva ormai preso quella piega che avrebbe condotto di lì a poco alla vituperata pace separata veneto-turca, il C. ci appare ormai entrato nel novero di quel ristretto numero di oligarchi che dominò la vita politica veneziana negli anni '70, ricoprendo a ripetizione le massime cariche politiche fino alla crisi del decennio successivo. Già in sua assenza era stato eletto savio del Consiglio; nel 1573 venne eletto consigliere per il sestiere di San Marco. Dal dicembre 1574 all'aprile '76 fu governatore alle Entrate, carica che ricoprì nuovamente nel 1581; nel gennaio 1577 fu nuovamente consigliere per il sestiere di San Marco e savio del Consiglio. Come consigliere più giovane incoronò il doge Sebastiano Venier. Nel 1578 fu nominato capitano a Padova.
Il rettorato padovano era uno dei più importanti, con Brescia e Verona, tra quelli di Terraferma e veniva affidato generalmente a patrizi di una certa età e di elevato prestigio; il capitano si affiancava al podestà e le sue mansioni erano prevalentemente di carattere militare e di polizia. La documentazione del governo del C. è piuttosto scarsa; ci resta un gruppo di lettere dove si parla di un problema tipico per un rappresentante del potere pubblico nella seconda metà del 1500, quello delle lotte tra grandi famiglie nobili cittadine, che si portavano dietro la città divisa in fazioni; famiglie che erano spesso in grado di mettere in campo forze più potenti di quelle a disposizione del rettore veneziano. La divisione tra Dotti e Zabarella, scrive il C. ai capi del Consiglio dei dieci, mette a repentaglio la tranquillità di tutta la città, perché dietro di essa c'è la divisione di tutta la città "per le dipendenzie de parentadi et amicitie"; all'origine di tutto c'è il ferimento di uno Zabarella da parte di un Dotti ed il C. non riesce a far fare loro pace ed a ristabilire l'ordine.
Nel dicembre 1580 il C. venne nuovamente eletto savio del Consiglio; nel 1581 fu consigliere sempre per il sestiere di San Marco; in quegli stessi anni fu membro del Consiglio dei dieci e della sua zonta, a sanzione della posizione di preminenza assunta dal C. nell'ambito del patriziato. Fu ancora savio del Consiglio dal settembre 1583, ed il 25 luglio 1584 raggiunse il culmine della sua carriera politica essendo eletto procuratore di S. Marco della procuratia de supra. Il 30 ott. 1584 morì a Venezia, con "grande rimpianto del suo valore"; fu sepolto ai Frari.
Fonti e Bibl. Arch. di Stato di Venezia:, Avogaria di Comun, Nascite libro d'oro, reg. 51/I, c. 69v; Ibid., Misc. cod., I, Storia veneta, 19: M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti, III, cc. 4, 17; Ibid., Segretario alle voci, Elezioni Maggior Consiglio, regg. 2-5; Ibid., Segretario alle voci, Elezioni Pregadi, regg. 1-5; Ibid., Capi del Consiglio dei dieci, Lettere di rettori, b. 84, ff. 42-48; b. 292, ff. 48-49, 60, 62-68. 70, 71; Venezia, Bibl. d. Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, c. 192rv; Ibid., Mss. P. D., 606 c/XVI (8); Ibid., Misc. Correr 540, 783, 1190, 2285, 2401, 2608, 2722; Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 926 (= 8595), cc. 8v-9r; Ibid., Mss. It., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, c. 325v; Ibid., Mss. It., cl.VII, 205 (= 7463), cc. 134v-135; Nunziature di Venezia, a cura di A. Stella, Roma 1963, in Fonti per la storia d'Italia, VIII, p. 255; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma,III, Podestaria e capitanato di Treviso, Milano 1975, p. LIV; IV, Podestaria e capitanato di Padova, Milano 1975, p. LIV; X, Provveditorato di Salò, Provveditorato di Peschiera, Milano 1978, pp. LXXV, LXXX, 229-231; G. N. Doglioni, Historia vinetiana, Venezia 1598, p. 880; P. Paruta, Dell'historia vinetiana, II, Storia della guerra di Cipro, Venezia 1718, p. 265; A. Morosini, Historiae venetae, II, Venezia 1719, pp. 331, 410, 500, 501; P. Molmenti, Sebastiano Veniero dopo la battaglia di Lepanto, in Nuovo Archivio veneto, n. s., XV (1915), p. 15.