CORNER, Francesco
Nato a Venezia il 6 marzo 1585, ottavo dei tredici figli di Giovanni di Marcantonio e di Chiara di Lorenzo di Giovanni Dolfin, sposò il 25 febbr. 1609 Andriana di Antonio Priuli.
Ebbe nove figli: Chiara, Elena, Lucrezia Giovanni, Giorgio, Federico, Marcantonio, Marco ed Alvise. Inoltre egli prese sotto la sua protezione Cornelia, figlia naturale del fratello Giorgio, che diede in sposa al "cittadino" Simone Aleandri, concedendole, alla sua morte, un assegno vitalizio.
Il C. apparteneva al ramo Corner di S. Polo, tra i più facoltosi di Venezia: il padre e i fratelli avevano denunciato nella redecima del 1582 una rendita annua di circa 4.500 ducati. Del patrimonio familiare il C. fu diligente e avveduto amministratore e ad esso, con cura, dedicò molti anni della sua vita. A differenza dei fratelli Alvise e Giorgio, che assunsero importanti e dispendiosi incarichi all'estero, e dei fratelli Federico e Marcantonio che intrapresero la carriera ecclesiastica, il C. limitò la propria attività politica a compiti di natura interna; e il padre, nel testamento del 1623, volle ricompensarlo concedendogli per venti anni un assegno annuo di 1.000 ducati.
Le vicende di questa famiglia, che nel corso di un secolo avrebbe annoverato tra i suoi membri ben tre dogi, esemplificano bene l'oculata gestione del potere da parte del patriziato veneziano più cospicuo e dovizioso, in cui la rigida suddivisione dei compiti, subordinata all'interesse familiare, si accompagnava all'inalienabilità dei patrimonio, salvaguardato, soprattutto, dal numero limitato dei matrimoni. Il C., infatti, terzogenito maschio, fu l'unico fra i fratelli a sposarsi, e dei figli il solo Federico si unì in matrimonio nel 1639 con Cornelia Contarini "dagli scrigni". Il padovano Ludovico Grota, nel 1600, in un'orazione dedicata al padre del C., allora podestà a Padova (L'honorata giostra fatta in Padova ... l'anno 1600, Padova 1600), celebrando il suo "animo pudico", lo definiva, ancora quindicenne, "atto a regger altrui se ben adulto". E il padovano Benedetto Salvatico, in un'orazione, composta in onore del padre del C. eletto doge di Venezia (Oratione ... per l'assontione del Sereniss. Giovanni Cornaro al principato, Padova 1625), avrebbe lodato la prudenza da lui dimostrata nell'attività politica e o nell'economica republica della doviciosissima sua famiglia".
Se l'amministrazione del patrimonio familiare costituì il suo primario interesse, non per questo il C. trascurò l'attività politica, ritenuta essenziale allo status sociale preminente goduto dal patrizio veneziano. Il 6 dic. 1615 viene eletto camerlengo di Comun, ma rifiuta. Nel maggio 1618 accompagna il suocero Antonio Priuli, eletto doge di Venezia, nel suo ingresso trionfale in piazza S. Marco, gettando monete d'oro e d'argento alla folla acclamante. Nell'agosto del 1618 è provveditore al Cottimo di Londra e il 9 nov. 1618 provveditore alle Rason vecchie; nell'ottobre del 1619, 1622, 1623 e 1624 entra nel Consiglio dei pregadi; il 2 marzo 1624 è consigliere delle leggi e l'11 aprile successivo depositario del Banco del giro. Nel dicembre 1624, alla morte del doge Francesco Contarini, il C. è tra i quarantuno elettori del nuovo doge.
La successione si presentava difficile, a causa delle posizioni inconciliabili dei due contendenti principali, Agostino Nani e Francesco Erizzo. Dopo numerose ballottazioni, intervallate dalle pressanti ammonizioni della Signoria, si fece lentamente strada il nome del padre del C. che, per le sue simpatie papaliste, non era malvisto dal patriziato più conservatore. All'elezione di Giovanni Corner si opponevano però i fratelli del C., Alvise e Giorgio i quali, a causa delle leggi che vietavano ai figli del doge l'assunzione di cariche politiche, si sarebbero visti preclusa la via degli onori. Il C., però, a differenza dei fratelli, non era contrario all'elezione del padre, che avrebbe dato nuovo lustro e prestigio alla famiglia, e certamente non fu estraneo alla decisione di porlo in lizza, sfruttando i dissensi che passavano tra il Nani e l'Erizzo. Così Giovanni Corner, che nel trentatreesimo scrutinio aveva ottenuto solo tre voti, nei successivi si poneva alla pari degli avversari e al quarantaduesimo veniva eletto doge di Venezia (4 genn. 1625).
La preclusione del C. e del fratello Alvise, entrambi senatori, alla vita politica fu risolta da una terminazione della Signoria, cui il nuovo doge s'era rivolto per chiarire i dubbi inerenti alla promissione ducale: il 7 genn. 1625 i sei consiglieri risposero in senso positivo alla richiesta e il C. poté rimanere nel Consiglio dei pregadi con possibilità di voto. Nel luglio dello stesso anno, all'approssimarsi di nuove elezioni, la petizione fu ripresentata e la Signoria stabilì definitivamente che i figli del doge potevano entrare nel Consiglio dei pregadi e nella zonta "con balla". Ciò nondimeno, il C. non si offrì, a beneficio del fratello Alvise, come candidato al Consiglio dei pregadi del settembre 1625; si presentò, invece, ottenendo i voti necessari, nel settembre dell'anno seguente.
In realtà, l'acquiescenza della classe dirigente veneziana verso i Corner non aveva mancato di suscitare una certa opposizione tra il patriziato più povero, che mal sopportava gli abusi e le violazioni delle leggi compiuti da una potente oligarchia e dall'organo che più la rappresentava, il Consiglio dei dieci. L'opposizione, che raggiungerà i più acuti momenti di tensione nel 1628, con la correzione del Consiglio dei dieci, ricordava molto da vicino quella sorta nel 1582; ma, a differenza della precedente, questa aveva trovato un propugnatore e un alfiere in Ranieri Zeno, patrizio ricco e prestigioso.
Quando, nel settembre del 1627, il C. riottenne l'elezione al Consiglio dei pregadi, la situazione era divenuta estremamente tesa. Il 22 ottobre Ranieri Zeno, avvalendosi di una legge che assegnava al Maggior Consiglio il compito di risolvere ogni dubbio concernente la promissione ducale, chiedeva agli avogadori di Comun di intromettere le due terminazioni della Sign6ria, che avevano reso possibile le elezioni del C. e del fratello Alvise. Per evitare il peggio, il giorno seguente, il doge assumeva l'iniziativa, chiedendo egli stesso la revoca dell'elezione dei figli.
Era una cocente sconfitta che non avrebbe mancato di lasciare il segno; e i successivi avvenimenti, tra cui il ferimento dello Zeno, compiuto dal fratello del C., Giorgio, contribuirono a screditare la posizione privilegiata di casa Corner. La stessa elezione al dogado di Nicolò Contarini nel gennaio del 1630 - uomo che, pur prendendo le distanze dallo Zeno, non aveva mancato di manifestare il proprio dissenso nei confronti delle azioni prevaricatrici dei Corner - può forse essere considerata come una decisa reazione all'indisponente procedere di costoro.
Nei decenni seguenti l'attività politica del C. diviene più intensa: il 1° ott. 1630 entra nel Consiglio dei pregadi; dal 10 ott. 1630 al 17 febbr. 1631, quando la peste comincia a mietere le sue prime vittime, è capo del sestiere di San Polo sopra la Sanità; il 9 nov. 1630 è regolatore sopra le Scritture; nell'ottobre del 1631, 1632 e 1633 entra nella zonta del Senato; l'8 genn. 1631 è depositario del Banco del giro; dal 6 giugno 1631 al 5 giugno 1633 provveditore sopra gli Ospedali e i Luoghi pii; dal 27 nov. 1632 al 26 nov. 1634 provveditore in Zecca; il 26 marzo 1634 viene eletto capitano di Brescia.
Il C. fece il suo ingresso in città nel settembre del 1634 e terminò l'incarico nel febbraio del 1636, avendo come colleghi, inizialmente Bartolomeo Gradenigo e poi, dal dicembre 1634, G. B. Querini. Il capitanato del C. si situa in un particolare momento di crisi economica e sociale che colpì la Terraferma veneta negli anni immediatamente susseguenti il periodo 1627-1633, caratterizzato da carestie, epidemie e guerre. Riflesso spontaneo di questa crisi fu l'aumento vertiginoso della criminalità, soprattutto nelle campagne. L'arrivo del C. era stato preceduto, nell'agosto del 1634, dall'invio a Brescia, da parte del Senato, del provveditore generale Zorzi per inquisire sui numerosi delitti. Come non bastasse, nel novembre successivo giungevano in città i sindaci inquisitori in Terraferma, muniti di poteri straordinari. L'intervento di questi magistrati, caratterizzato da una procedura rapida e sommaria, insensibile ai poteri giurisdizionali dei rettori e ai privilegi goduti dalle città suddite, suscitò immediatamente la reazione del C. e del collega, i quali nel dispaccio del 26 nov. 1634 indirizzavano al Senato sdegnate proteste per il procedere intransigente e troppo severo dei sindaci. L'opposizione più decisa sorse però nel seno del Consiglio cittadino, direttamente colpito nei propri privilegi. Infatti, mentre l'attività giudiziaria penale era, a Brescia, di esclusiva competenza dei rettori veneziani, quella civile era affidata in gran parte ai "consoli di quartiere" della città, le cui sentenze cadevano in appello al magistrato del "savio", appartenente al locale Collegio dei dottori. La procedura dei sindaci, che contemplava l'esecuzione immediata delle sentenze e il rinvio in appello a magistrature superiori veneziane, indusse i deputati e il Consiglio della città ad eleggere due oratori con l'incarico di recarsi a Venezia per esprimere al Senato le loro rimostranze. Questa decisione tornò però sgradita a Venezia che, il 14 febbr. 1635, ordinò al C. e al collega Querini di manifestare ai deputati cittadini il proprio disappunto e di impedire la partenza dei due oratori. La vicenda si protrasse fino a maggio quando, nonostante il palese appoggio del C. e del collega alle loro rimostranze, i Bresciani si videro respingere definitivamente la loro richiesta di limitare la ingerenza dei sindaci. In realtà, l'azione ferma e risoluta di questi magistrati aveva il fine principale di dipanare quella ragnatela di corrutele e di favoritismi, attraverso cui la nobiltà locale, avvalendosi soprattutto di un'artificiosa amministrazione della giustizia civile, accentrata nelle proprie mani, si manteneva costantemente al potere. Durante il suo incarico il C. dovette anche occuparsi dell'ordine pubblico. Nel suo ingresso egli proibì il porto abusivo delle armi da fuoco "causa principale de tutti li mali"; nel dispaccio del 13 dic. 1634 egli rileva che i condottieri di milizie interpretano male le leggi che concedono a cinque loro servitori il porto d'arma da fuoco, poiché essi scelgono loro "adherenti" e persone che di queste licenze o si servono per soli lor privati rancori et interessi". Visitò poi le fortezze e il territorio che, dopo la trascorsa epidemia, stava ripopolandosi in modo tale "che può di breve sperarsi ... restituito il numero della primiera popollatione". Passò inoltre in rassegna le milizie e si occupò delle miniere di salnitro. Nella relazione, presentata il 19 febbr. 1636, pone in evidenza di essersi occupato con diligenza dell'esazione delle decime del clero, il cui estimo non era rinnovato dal 1564, riuscendo a far entrare nelle pubbliche casse la somma di lire 99.813. Infine egli osserva che i Bresciani, pur lasciandosi "fuorviare dai delitti" e "trascorrer nelle relassationi", sono pronti a ritornare all'ubbidienza, incontrando una "volontà rissoluta in chi li governa". In occasione della sua partenza dalla città, Andrea Falli, membro della Accademia degli Erranti, pubblicò in suo onore un'orazione piena di lodi esagerate, con un seguito di poesie che trattavano delle qualità del capitano. Nell'orazione in funere, pubblicata a Venezia nel 1656, alla morte del C., il medico Sebastiano Torresini avrebbe ricordato i suoi meriti acquistati nel capitanato di Brescia.
Ritornato a Venezia, nell'ottobre 1636 il C. entrò nel Consiglio dei pregadi; il 19 giugno 1637 era depositario in Zecca; dal 3 dic. 1636 al settembre 1637 provveditore sopra i Monti; il 22 luglio 1637 consigliere per il sestiere di San Polo; il 15 sett. 1638 consigliere dei Dieci; nell'ottobre 1639 e 1640 entra nel Consiglio dei pregadi; il 27 ott. 1639 è inquisitore alle Legne; dal 6 ott. 1640 al settembre 1641 savio alla Mercanzia; il 22 nov. 1640 tansadore del sestiere di Santa Croce; dal 23 apr. 1641 al 22 giugno 1641 depositario in Zecca; nell'ottobre 1641 e 1642 entra nella zonta del Senato; dal 16 nov. 1641 al 15 maggio 1642 è provveditore in Zecca; il 31, maggio 1642 provveditore sopra i Denari; il 19 ag. 1642 esecutore contro la Bestemmia; nell'ottobre 1644 nuovamente del Consiglio dei pregadi; dal 16 nov. 1644 al 15 nov. 1646 provveditore sopra i Monasteri; il 20 maggio 1645 tansadore del sestiere di San Polo; il 3 sett. 1645 consigliere dei Dieci; viene ripetutamente eletto senatore nell'ottobre del 1646, 1647, 1648, 1650, 1651, 1652, 1653, 1654, 1655; il 17 ott. 1646 è esecutore contro la Bestemmia; l'11 nov. 1645 inquisitore all'Ufficio del sale; il 14 febbr. 1648 provveditore sopra la costruzione della chiesa di S. Maria della Salute; il 20 maggio 1650 provveditore sopra gli Ospedali e i Luoghi pii; il 18 febbr. 1651 giudice di rispetto; il 9 giugno 1651 esecutore contro la Bestemmia; il 15 luglio 1653 riformatore allo Studio di Padova; il 12 giugno 1655 regolatore alla Scrittura; il 25 giugno 1655 savio alle Acque; sempre nello stesso anno è tra i quarantuno elettori del doge Carlo Contarini. Alla morte di costui concorsero al dogado i procuratori Leonardo Foscolo, Bertucci Valier e Giovanni Pesaro. Non ottenendo però nessuno di costoro la maggioranza dei voti, la scelta degli elettori cadde, al ventiseiesimo scrutinio, sul C. che il 17 maggio 1656 venne eletto doge di Venezia. Le testimonianze dei contemporanei attestano che questa elezione, pur salutata dal tripudio dei familiari, che s'erano adoperati per questo, avvenne contro la volontà del C., assai riluttante, per l'età, ad assumere un incarico così impegnativo. Il suo dogado durò però solo pochi giorni, poiché la morte, causata da una "febbre continua", lo colse il 5 giugno 1656.
Il suo corpo venne inumato il giorno seguente nella tomba di famiglia ai Tolentini, accanto al padre. Il Martinoni lo ricorda come "pio e religioso senatore" e lo storico Battista Nani testimonia che "in lui la pietà, non meno che la dignità di Giovanni suo padre... si vedeva trasmessa". Nel testamento del 1656 il C. destinava come suo unico erede il figlio Federico, che aveva avute nove figlie "una sotto l'altra", con la condizione che continuasse l'attività politica, "ancorchè con nottabil dispendi". Le facoltà del C. erano notevolissime: dalla moglie aveva avuto una dote di 6.000 ducati; il figlio Giorgio, vescovo di Padova, fruiva di una rendita annua di 50.000 ducati, "con gran peculio d'oro ... e con supelletele ricchissime", possedendo pure l'abbazia di S. Bona di Vidor, l'abbazia di S. Maria della Vangadizza nel Polesine e il beneficio di S. Vido. Il figlio Federico denunciava nel 1656 oltre 6.700 ducati di rendita, che salivano nel 1661 a 13.392. La famiglia traeva gran parte delle sue rendite dai possedimenti fondiari di Terraferma: centotrentaquattro "campi" nella villa di Martellago (Mestre), circa seicento nel Vicentino (Schiavon e Breganze), quattrocentocinquanta nel Trevisano (Monestier e Poisolo) e seicento nel Polesine (Palazzina). Questi ultimi erano però continuamente danneggiati dalle alluvioni del Po e dell'Adige e sottoposti a "gravissime spese e disgratie", così che l'entrata "diminuisce al sicuro per venti per cento".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, 55 (Libro d'oro nascite, V), c. 75v; 90 (Libro d'oro matrimoni, III), c. 93r; 115 (Contratti di nozze, V), fasc. 1058; 107 (Cronaca matrimoni, II), c. 75r; Ibid., Segretario alle voci, Grazie della Barbarella, reg. 4, e 54v; Ibid., Segretario alle voci, Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 11, c. 19v; reg. 12, cc. 23v, 40v; reg. 16, cc. 2v, 3r, 163v, 164r; reg. 20, c. 1v; Ibid., Segretario alle voci, Elezioni del Pregadi, reg. 10, cc. 25v, 43v, 99r; reg. 12, cc. 56v, 72v, 99r, 177r; reg. 13, cc. 72v, 75v, 85v, 88r; reg. 14, cc. 44r, 71v, 87v, 88v, 163r, 164v, 171v; reg. 15, cc. 28v, 71v, 151v, 161v, 162r, 163v, 171v; reg. 16, cc. 133r, 161v; reg. 17, cc. 35v. 38v, 46v, 53v; Ibid., Segretario alle voci, Elezioni di senatori, di membri della Quarantia e di consiglieri dei Dieci, reg. 1, cc. 56v, 60r, 61v, 76v, 78v, 79v, 81v, 84r, 86v, 87v, 89r, 90r, 91v, 93v, 94v, 95v, 97v, 98v, 100r, 102; reg. 2, cc. 2r, 5r, 7r; Ibid., Cons. dei dieci, Misc. codici, reg. 62, cc. 5v, 9r; Ibid., Cons., Lett. rettori, busta 29; Ibid., Senato. Lettere Bressa e Bressan, filza 36, 37; Ibid., Senato. Terra, reg. 11, c. 94; Ibid., Senato. Relazioni, busta 37; Ibid., Testamenti, busta 806, fasc. 187; Ibid., Provveditori alla Sanità. Necrologi, reg. 878; Ibid., Savi alle decime. Condizioni di decima, busta 223, fasc. 363; Ibid., M. A. Barbaro-M. A. Tasca, Arbori de' patritii veneti, III, c. 47; Ibid., G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, cc. 910-911; Londra, Public Record Office, State Papers 99, busta 28; Arch. di Stato di Modena, Carteggio estero, busta 95; Arch. Segr. Vaticano, Nunz. Venezia, filza 49; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 408 (= 7311): Relatione delli moti interni... sino il 1630, passim;Ibid., Mss. It., cl. VII, 307 (= 8467): Origine della Repubblica veneta... con quello è successo giornalmente nelli quarantuno, cc. 216, 238r, 252r-256v; Ibid., Mss. It., cl. VII 512 (= 8039): Vita dei dogi di Venezia;Ibid.: Mss. It., cl. VII, 2163 (= 7517): A. Barbaro, Storia dei dogi in versi sciolti fino all'anno 1772, cc. 176, 177; Ibid., Mss. It., cl. VII, 1340 (= 8608): Cronaca Berlendis;Ibid., Mss. It., cl. VII, 82 (= 1385): G. A. Modonesi, Cronaca veneta, c. 235; Ibid., Mss. It., cl. VII, 121 (= 8862): G. Sivos, Cronica veneta, c. 112v; Venezia, Bibl. d. Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3274: Raccolta di memorie stor. ed anecdote per formar la storia dell'Eccelso Consiglio dei dieci, passim, Ibid., Cod. Cicogna 3762: Z. A. Venier, Storia delle rivoluz. seguite nel governo della Repubblica di Venezia et della instituzione dell'Eccelso Consiglio di Dieci sino alla sua regolazione, 1628, passim;due volumi di lettere di Federico Corner dirette al C. e al padre Giovanni, Ibid., Mss. P. D. C. 285; Le relazioni degli Stati europei lette al Senato... nel sec. XVII. Spagna, a cura di N. Barozzi, G. Berchet, II, Venezia 1860, pp. 3-5, dove il C. è confuso con l'omonimo Francesco Corner di Girolamo; F. Sansovino, Venetia città nobiliss. et singolare [aggiunte di G. Martinoni, 1663], Venezia 1663, p. 729; A. Macedo, Elogia poetica in sereniss. Rempublicam Venetam, Patavii 1680, p. 113; G. Palazzo, Fasti ducales, Venetiis 1696, p. 273; P. A. Pacifico, Cronaca veneta, Venezia 1697, p. 125; F. Mutinelli, Annali urbani di Venezia, Venezia 1841, p. 547; F. Zanotto, Il Palazzo ducale di Venezia illustrato, IV, Venezia 1861, p. 333; V. Padovan, Le monete dei Veneziani, Venezia 1881, p. 346; C. F. Bianchi, Memorie sull'antichiss. e nobiliss. famiglia patrizia veneta de Cornaro, Zara 1886, p. 14; A. Richardson, The doges of Venice, London 1914, p. 323; L. Fellini, Le contribuzioni di Este a Venezia durante la guerra di Candia, in Nuovo Arch. ven., n. s., XXXV (1918), p. 196; N. Papadopoli Aldobrandini, Le monete di Venezia, Venezia 1919, pp. 313-322; F. Capretti, Mezzo secolo di vita vissuta a Brescia nel Seicento, Brescia 1934, pp. 473-477; H. Kretschmayer, Gesch. von Venedig, III, Stuttgart 1934, pp. 127, 332; A. Berruti, Patriziato veneto: I Cornaro, Torino 1952, p. 38; G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini. Ricerche sul patriziato veneziano agli inizi del Seicento, Venezia-Roma 1958, pp. 246; R. Morozzo della Rocca-M. F. Tiepolo, Cronologia venez. del Seicento, in La civiltà venez. nell'età barocca, Firenze 1959, pp. 278, 280, 294; A. da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Milano 1960, pp. 388 s., dove si attribuiscono al C. incarichi politici sostenuti dall'omonimo Francesco Corner di Girolamo.