COPPOLI, Francesco
Nacque verso la fine del sec. XIV da Raniero, appartenente a un ramo, quello detto di Ugolino, dei Coppoli, una delle più antiche e nobili famiglie di Perugia presenti in epoca moderna anche a Roma e Firenze, e da Giovanna di Conte di Sacco.
Il C. è stato confuso dal Vermiglioli e da altri con due personaggi omonimi: il primo è Francesco Coppoli di Simonello, del rione di Porta Eburnea, iscritto alla corporazione dei mercanti, priore delle arti nel 1407 e nel 1413, morto nel 1434; l'altro è l'avo del C., Francesco di Bettolo, autore di un consiglio giuridico De contractu simulato, compreso tra i consilia di Baldo (IV, ed. Venetiis 1575, c. 65rv) e di un altro sull'arbitrato.
Per quanto nulla si sappia della sua educazione e formazione culturale né della università frequentata, è tuttavia certo che la giovinezza del C. fu assai movimentata, dato che suo padre Raniero, dopo l'ascesa al Potere dell'esponente popolare Biordo Michelotti (1393), fu condannato al confino e mai riammesso in Perugia, nemmeno dietro preghiera della Repubblica fiorentina, che lo aveva avuto giudice degli Appelli.
La prima notizia dell'attività politica e amministrativa del C. risale al 1416 quando, quasi all'indomani della vittoria di Braccio da Montone su Perugia nella battaglia di "S. Giglio" (12 luglio 1416), fu ammesso nel Collegio della mercanzia. Dopo due anni, nel 1418, fu console dei mercanti e nel 1420 priore delle arti per il bimestre luglio-agosto. Tra le iniziative prese da Braccio da Montone a Perugia fu quella della riparazione della chiesa di S. Francesco al Prato, alla cui soprintendenza fu posto il C., che per tutto l'anno 1421 attese all'incarico con grande impegno, data la complessità dei lavori. Nel mese di giugno del 1424, mentre presso L'Aquila Braccio Fortebracci era sconfitto, a Perugia il C. veniva estratto al consolato della Mercanzia: sono i giorni nei quali i documenti ufficiali della Cancelleria perugina scrivono, a fianco della datazione, "Perusia, mortuo Braccio, ad gremium Ecclesie".
Ma il C. superò facilmente il momento di crisi e, anzi, consolidò la propria posizione nella vita cittadina, divenendo uno dei principali interpreti della politica promossa dall'ofigarchia aristocratica che assunse il potere nel Comune alla morte di Braccio (si ricorda che C. F. Black, The Baglioni as Tyrants of Perugia, 1488-1540, in The English Historical Review, LXXX [1970], p. 255 n. 2, indica i Coppoli tra le famiglie più vicine a quelle dell'oligarchia al governo). Al C. fu, ad esempio, affidata la guida della ambasceria inviata da Perugia al papa Martino V alla fine del 1424 per discutere dell'onere tributario dovuto dal Comune alla Camera apostolica.
La questione rivestiva particolare importanza nel momento del ritorno della città al dominio diretto della Chiesa. Dopo una laboriosa trattativa, il C. riuscì a concludere un "importante e particolareggiato accordo" (Partner) con la S. Sede. In base ad esso Perugia accettava di versare il sussidio annuo richiestole dalla Camera apostolica, in misura non inferiore ai 12.000 fiorini; in compenso otteneva l'abolizione, o una sensibile riduzione, di antichi carichi tributari - come la tassa sui pesi e misure, quella sul grano, quella sul sale - nonché la piena disponibilità dei beni dei ribelli. L'accordo entrò in vigore nel marzo del 1425; nel 1426 il C., dopo aver condotto una missione a Niccolò Piccinino, fu eletto conservatore della Moneta, principale organo finanziario del Comune, probabilmente perché ritenuto il più idoneo a controllare l'esatta applicazione degli accordi da parte della Camera apostolica.
Non aveva compiuto il semestre dell'ufficio di conservatore della Moneta, quando nel novembre del 1426 fu nominato podestà di Firenze. Durante questa podesteria strinse legami di amicizia e rapporti epistolari con Giovanni Toscanella, Giovanni Aurispa e altri umanisti del cenacolo fiorentino.
In una lettera al Toscanella, scritta il 1° novembre, promette che farà di tutto per convincerlo a rimanere in Firenze in compagnia dell'Aurispa, che voleva andare a Genova allettato dalla speranza di grandi guadagni: Il Toscanella, nella risposta di pochi giorni dopo, gli comunica che i suoi buoni consigli sono stati accettati e che entrambi sono rimasti a Firenze, trattenuti anche dalla grande ricchezza di libri che la città poteva offrire a chi aveva amore allo studio (Sabbadini, pp. 114 s.). Sempre durante questo incarico (o in quello successivo del 1439), egli tenne un discorso, tramandatoci da pochi codici, che potrebbe considerarsi la contio ufficiale dell'ingresso della podesteria o anche il discorso nell'assunzione delle insegne cavalleresche, data l'insistenza dei riferimenti all'ordoequestris dell'antica Roma e le apostrofi retoriche all'ordoprincipum dei Fiorentini. Due versi, apposti alla fine dell'oratio dall'ignoto ordinatore della silloge umanistica contenuta nei codici, inneggiano al successo del C. a Firenze (Vat. lat. 8088, c. 44r).
Nel 1427 fu nominato senatore di Roma, incarico ricoperto dal 10 luglio al 10 novembre, e l'anno successivo, in luglio, fu inviato ambasciatore a Martino V per trattare, fra molte questioni, i problemi connessi con le "novità" di Bologna. Nel 1429 fu di nuovo a capo del Collegio della mercanzia, poi capitano del contado di Porta San Pietro, nuova istituzione di carattere poliziesco creata dal governo aristocratico ed ecclesiastico per sorvegliare il territorio, pieno di covi di ribelli. L'esperienza giuridica del C., la sua conoscenza profonda dei problemi concernenti i rapporti tra città e contado, si desumono anche dal fatto che qualche anno dopo, nel 1433, fu designato a studiare le pene particolari da infliggersi ai contadini macchiatisi di colpe e delitti a danno degli abitanti della città.
Dal mese di luglio 1430 per un anno intero, fu podestà di Siena e al ritorno in Perugia fu per la seconda volta priore delle arti per il bimestre settembre-ottobre 1431, svolgendo, contemporaneamente, un'intensa attività diplomatica come ambasciatore al papa e a Nicolò Fortebracci, capitano generale della Chiesa. Negli anni 1432 e 1433 espletò vari servizi e incarichi minori nell'ambito della vita cittadina e qualche missione extra moenia, il tutto puntualmente registrato dalle fonti ufficiali e dalle cronache locali.
È questo il tempo in cui poté dedicarsi anche all'amministrazione dell'ingente patrimonio immobiliare, cresciuto già al tempo di suo padre con vistosi apporti dotali della madre e situato, quanto ai terreni, nella fertile pianura del Tevere, contado di Porta San Pietro. Terre e case godeva anche per concessione a livello dell'abbazia di S. Pietro, beni amministrati dal nipote Carlo (figlio del fratello Carlo), forse già da questo tempo designato erede universale, dalla moglie Leonarda e, più tardi, dalla figlia Elena e dal genero Rodolfò; alle volte suo procuratore figura un certo Luca da Roma, studente universitario a Perugia, forse il precettore della figlia.
Nel maggio del 1434 fu eletto, insieme con Tancredi Ranieri, ambasciatore a Eugenio IV con il mandato di farsi mediatore e garante, a nome di Perugia, della piena disponibilità di Niccolò Piccinino verso la Chiesa e di interporre ogni buon ufficio per il riavvicinamento dei papa a Francesco Sforza, allo scopo di avviare una pacificazione generale; nello stesso tempo i legati dovevano pregare il papa di recarsi a Perugia. Ma durante la permanenza del C. presso il papa, il 4 giugno scoppiò la famosa rivolta popolare, in seguito alla quale Eugenio IV fuggì precipitosamente da Roma, rifugiandosi a Firenze, e i curiali si dispersero. Narra un cronista perugino che gli ambasciatori "se retornavano a Peroscia e fuor prese per la via essi e chi era con loro; pure essi furon lassate, e li altri remasero pregioni, e chi robbate". In effetti era accaduto che un disertore della compagnia di Nicolò Fortebracci, il perugino Angelo di Antonio, detto della Senola, datosi al banditismo stradale, aveva sequestrato a Ponte Caldaro, presso Narni, tutti i componenti della ambasceria, una quarantina di persone, quantunque muniti di salvacondotto del capitano generale della Chiesa acquartierato a Tivoli. Tra loro c'era il segretario papale Poggio Bracciolini, che per alcuni giorni rimase in balia del bandito, trasferito prima a Capitone poi a Collemaggio, tra i boschi della zona; alla fine fu liberato, spogliato d'ogni cosa.
La brutta avventura fu presto dimenticata dal C., incalzato da nuovi impegni: conservatore della Moneta prima, poi la nomina da parte di Eugenio IV a senatore di Roma, ufficio espletato dal 10 dic. 1435 fino al 31 maggio 1436, nonostante che il 1° gennaio di quest'anno fosse estratto a console della Mercanzia.
Nel susseguirsi ininterrotto di questi incarichi costituisce un piccolo problema la podesteria di Bologna che, secondo il breve di nomina di Eugenio IV, fu esercitata nel semestre agosto 1434-gennaio 1435, forse insieme con quella di capitano del Popolo secondo la "intitulatio" della lettera al Toscanella. La questione sarebbe risolta se, accettando le indicazioni di alcune cronotassi di podestà di Bologna, si assegnassero al C. due podesterie nella detta città: una da aprile a novembre del 1426, l'altra indicata dal breve di Eugenio IV. Ma in entrambi i casi si dovrebbero considerare cassati gli incarichi di conservatore della Moneta, ai quali sì è accennato. In conclusione, giova ricordare che anche il Pellini, sulla testimonianza dei cronisti perugini del Quattrocento, scrive che il C. fu due volte senatore di Roma, due volte podestà di Bologna, due di Firenze e una dì Siena.
Completato il semestre del senatorato romano, il C. ritornò a Perugia dove, l'anno successivo, per la terza volta fu eletto priore delle arti per il bimestre settembre-ottobre. Nel 1439 andò a Rieti, "luogotenente del papa", secondo il fugace accenno di un cronista, poi di nuovo podestà a Firenze nel 1439 fino al febbraio del 1440. Di ritorno a Perugia il 3 marzo, fu estratto per la quinta volta console della Mercanzia e dal 10 ottobre capitano del contado per Porta San Pietro.
Morì di peste a Perugia, il 27 luglio 1441; quando il 21 agosto fu estratto il suo nome come priore delle arti per il bimestre settembre-ottobre, secondo la norma statutaria fu surrogato con il nipote Carlo, suo crede universale.
Il C. aveva sposato Leonarda di Contuccio Ramazzani nel 1415 (il contratto dì dote, costituita dalla consideravole somma di 1.000 fiorini è del 1° febbraio di quell'anno) e dal matrimonio nacque una figlia dì nome Elena nel 1426. Ebbe anche un figlio illegittimo, Andrea, che divenne frate dell'Osservanza.
La figlia del C. è nota non già col nome di battesimo, bensì con quello di Cecilia che assunse quando divèntò clarissa. Secondo la Vita narrata nella Cronaca del monastero di S. Lucia di Foligno, la rradre, sterile, l'avrebbe avuta per le preghiere di s. Bernardino da Siena, che aveva predicato a Perugia l'anno precedente. Comunque sia, la cultura di Elena, la sua perizia nel greco, i suoi versi latini elogiati dal Porcellio stanno a testimoniare che la casa del C., prestigiosa e opulenta, situata nel "Colle Landone", nel centro aristocratico della "Terra vecchia", detto anche "Rimbocco di messer Francesco Coppoli", era un cenacolo di letterati e di artisti. L'alto livello culturale e il clima umanistico in cui il C. aveva fatto crescere la flglia trovano una conferma nella singolare e curiosa notizia della suddetta Vita, che cioè il padre di Elena, non avendo più speranza di figli maschi legittimi, "volse fare di lei come de uno figlio maschio", procurandole maestri in casa, avviandola allo studio delle lettere, "e come era de età la voleva conventare" o addottorare. Invece la fanciulla, benché sposata con il nobile Rodolfò Signorelli, ai primi di febbraio del 1446, aiutata dai francescani dell'Osservanza, fuggì a Foligno, accolta nel monastero di S. Lucia, dove prese l'abito delle clarisse. Il monastero seguiva la seconda regola urbanista (quella approvata da Urbano IV nel 1264) e Cecilia si impegnò, con grande fervore religioso, a imporre l'osservanza della disciplina che la stessa prescriveva. Il suo impegno per l'attuazione della povertà insegnata da s. Chiara fu notevolissimo in tutti i monasteri nei quali operò. Nel 1448 fu inviata dal pontefice Niccolò V a riformare il monastero di S. Maria di Monteluce a Perugia; l'anno successivo tornò a Foligno come badessa; nel 1456 andò di nuovo nel monastero di Monteluce, sempre come badessa. A partire dal 1460 fu ancora, per lungo tempo, badessa della comunità di Foligno ed operò per ottenere il ritorno del monastero alla prima regola clariana. Nel 1476 Sisto IV accolse la richiesta, ma Cecilia era stata già trasferita (1475) al monastero di Urbino, in seguito a contrasti con Fortunato Coppoli, suo parente e vicario provinciale degli Osservanti, contrario alla richiesta. Rientrò dopo qualche tempo a Foligno, ove morì il 2 genn. 1500.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Perugia, Offici, 6, c. 95v; 7, cc. 11r, 34r, 50r, 69v, 87r; 8, cc. 13r, 24r, 40r, 61v, 65r, 74r; Ibid., Consigli e riformanze, 34, c. 59v; 38, c. 128v; 40, c. 182r; 66, cc. 3r, 129r; 67, cc. 38r, 117r; 69, c. 218r; Ibid., Catasti, I, 11, cc. 298r-299v; Ibid., Giudiziario, Podestà 1431-36, reg. 123, c. 10v; 1435-36, reg. 123, cc. 53r-55r; reg. 124, cc. 1r-2v; Perugia, Collegio della Mercanzia, Matricole, II, cc. 121r, 124r; Perugia, Archivio di S. Pietro, Contratti, 502, cc. 8rv, 13v-15v, 16v-17r, 18v, 29rv, 38r, 72v; Arch. Segr. Vatic., Reg. Vat. 366: c. 6r; Reg. Vat. 373, cc. 19v-20r; Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 8088, cc. 43r-44r; Ibid., Vat. lat. 2638, cc. 44r-46r; Ibid., Barb. lat. 1410, cc. 249r-251r; Ibid., Barb. lat. 1399, c. 105r (Francesco Bettoli); Roma, Biblioteca Vallicelliana, ms. F 20, c. 229r; Bologna, Biblioteca universitaria, Miscellanea Tioli, ms. 2948, vol. 4, cart. misc. XVIII, p. 177; Ravenna, Bibl. Classense, cod. 349, cc. 167r, 170r; Archivio di Stato di Siena, Podestà, Libri [3] dei malefici, di F. C., 1430-31; Bologna, Bibl. dell'Archiginnasio, ms. B 505: Podestà di Bologna estratti da un simile libro composto da G. N. Pasquali Alidosi nel 1600, p. 81; Ibid., ms. B. 470, ad annum;P. Pellini, Dell'historia di Perugia, II, Venezia 1664, p. 474; A. Oldoini, Athenaeum Augustum, Perusiae 1678, p. 109; G. B. Vermiglioli, Biografia degli scrittori Perugini, I, Perugia 1828, p. 343, n. 5; R. Sabbadini, Un biennio umanistico (1425-1426) illustrato con nuovi docum., in Giorn. stor. della lett. ital., suppl. 6, Torino 1903, pp. 114-17; G. Degli Azzi, Le relazioni tra la Repubblica di Firenze e l'Umbria, I, Perugia 1904, p. 200; Cronache e storie inedite della città di Perugia, in Arch. stor. ital., XVI (1850), I, pp. 289, 302 s., 309, 319, 329, 330 s., 333-36, 351, 377, 381, 391 s., 403, 405, 408, 416, 423, 434 s., 437 s., 442, 449, 452, 455, 457, 463 s., 469, 600; V. Alfieri, L'amministrazione economica dell'antico Comune di Perugia, in Bull. della R. Deput. di st. patria Per l'Umbria, II (1896), pp. 462-467; Inventario del Consiglio generale, in Bull. senese di storia patria, XXI (1914), 2, App., p. 74; A. Fantozzi, De fr. Angelo Christophori Perusino ministro generali Ordinis docum. (1413-1453) in Archiv. franc. hist., XI (1918), p. 202; Id., Docum. intorno alla beata Cecilia Coppoli clarissa (1426-1500), ibid., XIX (1926), pp. 194-225, 357; A. Salimei, Senatori e statuti di Roma nel Medioevo, Roma 1935, pp. 172, 182; P. Partner, The Papal State under Martin V, London 1958, p. 173; Il notariato a Perugia, a cura di R. Abbondanza, Roma 1973, p. 276; C. Cenci, Documentazione di vita assisana, I, Grottaferrata 1974, p. 559; Id., Il testamento della b. Cecilia Coppoli da Perugia e di Battista (Girolama) di Montefeltro, in Archivio franc. hist., LXIX (1976), pp. 219-26; C. Tabarelli, Documentazione notarile perugina sul convento di Monteripido nei secc. XIV e XV, Perugia 1977, p. 48; A. Bartoli Langeli, La famiglia Coppoli nella società perugina del Duecento, in Francescanesimo e società cittadina: l'esempio di Perugia, Perugia 1979, p. 89; V. I. Comparato, Il controllo del contado a Perugia nella prima metà del Quattrocento. Capitani, vicari e contadini tra 1428 e 1450, in Forme e tecniche del Potere nella città (secc. XIV-XVII), in Annali della Facoltà di scienze politiche dell'Università di Perugia, anno accad. 1979-80, p. 16; (Materiali di storia), 4, p. 154; A. Grohmann, Città e territorio tra Medioevo ed età moderna (Perugia, secc. XIII-XVI), Perugia 1981, p. 941, s.v.; M. E. Cosenza, Biographical and Bibliographycal Dictionary of the Italian Humanists ..., II, Boston 1962, pp. 1094 s.; P. O. Kristeller, Iter Italicum, II, pp. 133-385, 498.