COLETTI, Francesco
Nacque a Livorno il 27 luglio 1821. Ammesso all'età di nove anni nel R. Collegio di Lucca, vi compì gli studi letterari fino al 1838; ma la precaria condizione economica della famiglia lo indusse presto a cercare un'occupazione che gli garantisse una rendita sicura. Tale preoccupazione dominerà quasi ininterrottamente la vita del C., costretto a intraprendere varie attività, spesso molto inferiori alle sue attitudini, per mantenere se e la figlia, dopo la morte precoce della moglie, avvenuta a soli dieci mesi dal matrimonio. Per un certo periodo il C. prestò servizio come stenografo presso il giornale La Gazzetta dei tribunali, in seguito si adattò a svolgere l'umile mansione di copista all'Accademia fiorentina di belle arti, finché ottenne la carica di vice ispettore all'accademia e l'insegnamento di stenografia all'istituto tecnico di Firenze, Tuttavia le frequenti difficoltà economiche del vivere quotidiano e il grave lutto familiare non gli impedirono di comporre commedie piene di brio, piacevoli scherzi comici e popolarissime farse.
Il C. cominciò la sua attività teatrale nel 1845 con lo scherzo comico in un atto Una serata di due scolari (Teatro comico, I, Milano 1869), rappresentato con successo al teatro degli Arrischiati di Firenze. Il facile umorismo del lavoro si fonda quasi esclusivamente sugli abili stratagemmi escogitati da Adriano e Pietro, studenti squattrinati, per eludere le insistenti richieste dei creditori comprese quelle della padrona di casa, Maddalena a cui da mesi Adriano non paga l'affitto. La situazione sembra precipitare anche per l'inopportuna presenza di Silvestro, padre della nuova fidanzata di Adriano, Annina, la quale si illude di amare un giovane ricco e affascinante. Silvestro scopre, infatti, la reale condizione economica del sedicente giovanotto, ma prontamente interviene a sbrogliare l'intricata vicenda il provvidenziale arrivo di Luigi, inviato dallo zio di Adriano per saldare i debiti dello scapestrato nipote.
I lavori teatrali che seguirono a breve distanza l'uno dall'altro rivelano le notevoli doti inventive del C. nel rinnovare il genere ormai cristallizzato della farsa ottocentesca con la rappresentazione ilare e garbata di un piccolo mondo popolato di personaggi tratti dalla vita quotidiana: studenti, impiegati, giovani coppie, i cui innocenti sotterfugi destavano nel pubblico una divertita complicità.
In Il maestro del signorino (Firenze 1857; Teatro comico, I) il tema non nuovo delle ripicche e complicazioni che nascono dalle infondate gelosie di una coppia, Marianna e Cesare, è animato con la divertente serie di equivoci che provoca la presenza di un saccente maestro, chiamato da Marianna per istruire un nipotino, ma soprattutto con la spassosa caricatura del borioso istitutore, il quale decanta il proprio impareggiabile metodo educativo a Cesare, furioso perché convinto di parlare con l'amante della moglie. Due anime in un nocciolo (Lucca 1859; Teatro comico, I) propone un altro quadro di vita familiare in cui l'autore rappresenta con sorridente ironia gli stizzosi alterchi di Carlo e Cesira, novelli sposi, i quali ogni giorno contraddicono con il loro comportamento quell'immagine idilliaca e romantica che di sé esibiscono nelle lettere spedite al ricco zio da cui sperano di ereditare un cospicuo patrimonio.
Ma l'opera più conosciuta del C. è la farsa Meglio soli che male accompagnati (Firenze 1863; Teatro comico, II, Milano 1869) dove le disavventure notturne di due amici in una locanda offrono al C. lo spunto per una serie di brillanti trovate che si alternano rapidamente in un crescendo di vis comica. L'opera incontrò una grande fortuna e rimase a lungo nei repertori dei teatri italiani tanto che nel 1902 era ancora rappresentata in dialetto veneto da E. Zago.
Del C. si ricorda anche il "proverbio" Quel che l'occhio non vede il cuor non crede (Livorno 1865; Teatro comico, II) considerato uno dei primi esempi in Italia di quelle brevi rappresentazioni che con il nome di proverbi illustravano un motto proverbiale o una "moralità" ed erano in voga nel teatro francese fino dal sec. XVIII. Il breve atto unico di Quel che l'occhio non vede il cuornon crede dimostra la validità della massima da cui prende il titolo, ponendo a confronto l'amore palese ed appassionato di Livia ed Alfredo con l'eccessivo riserbo di Ettore, il quale ritiene che non sia indispensabile esternare continuamente il proprio amore verso la moglie Amalia. Delusa per il comportamento del marito, Amalia ricorre a vari espedienti per sollecitare una concreta prova d'affetto di Ettore, ed ottiene finalmente la capitolazione del marito, convertito al principio che l'amore necessita anche di tangibili manifestazioni.
A motivi satirici s'ispirano gli scherzi comici Il trasferimento della capitale (Firenze 1865; Teatro comico, II), Un ballo diplomatico (Torino 1866; Teatro comico, II) e le divertenti Commedie per il pubblico (Teatro comico, II) dove il C., senza raggiungere toni particolarmente sferzanti e pungenti, mette in ridicolo costumi e pregiudizi dell'epoca. Il C., dopo aver divertito gli adulti, si dedicò ad un teatro per l'infanzia con fine educativo, componendo le numerose Commediole per fanciulli edite ed inedite (Firenze 1871). Nelle Commediole il C. manifesta una profonda conoscenza della psicologia infantile nei deliziosi ritratti di bambini (Il pigro,Il presuntuoso,I dispettosi) e nella acuta rappresentazione delle più diffuse angosce infantili (Le paure).
Morì a Firenze il 10 apr. 1874.
Fonti e Bibl.: Fano, Bibl. com. Federiciana, Sezione IX, Mss. Cesare Rossi: Corrispondenza con C. Rossi; Bologna, Bibl. com. dell'Archiginnasio, A 2529: Corrispondenza con G. Galletti (1856); C. Trevisani, Delle condizioni della letteratura dramm. italiana nell'ultimo ventennio, Firenze 1867, p. 178; E. Camerini, Profili letterari, Firenze 1870, pp. 241-242; A. Franchetti, rec. a F. C., Commediole per fanciulli edite ed inedite, in Nuova Antologia, marzo 1873, pp. 717-718; F. Pera, Append. ai ricordi e alle biografie livornesi, II, Livorno 1877, pp. 232-236; G. Barbera, Memorie di un editore, Firenze 1883, pp. 401-402; G. Costetti, Il teatro ital. nel 1800, Rocca San Casciano 1901, pp. 258, 297, 329, 522; Encicl. dello Spett., III, col. 1066; E. Bonora, Diz. d. lett. ital., I, Milano 1977, p. 122.