CIRILLO, Francesco
Nacque il 4 febbr. 1623 a Grumo Nevano (Napoli) da Giampaolo; fin da ragazzo mostrò una notevole inclinazione per il canto e per la musica in genere. Ricevette le prime lezioni probabilmente da qualche sacerdote e organista del paese natale, che ben presto si rese conto che quella capacità e quelle doti andavano valorizzate da maestri di maggior valore. Benché fossero a Napoli eccellenti insegnanti, il padre decise di mandare il figlio a Roma, perché potesse studiare nella città che era sede di famose scuole di canto e di composizione. Nel 1635, a dodici anni, il C. partì alla volta di Roma, aiutato probabilmente con sussidi in denaro dal potente signore di Grum o, don Carlo Tocco, principe di Montemiletto. In questa città studiò con Virgilio Mazzocchi (maestro della cappella Giulia in S. Pietro dal 1629 al 1646), che aveva creato una scuola di canto e di coni, posizione alla quale si formarono artisti eccellenti, come per es. Giovanni Andrea Angelini-Bontempi.
L'ambiente nel quale si trovò a vivere. il C. fu quello della Roma barocca dove primeggiava la famiglia Barberini che, con il suo mecenatismo, contribuiva a scoprire e valorizzare artisti di talento. Sempre a Roma, nel 1646, si costituì una compagnia diretta da Antonio Generoli, protetta dall'ambasciatore di Spagna conte d'Oñate, la quale, con il nome di Accademia dei Febi Armonici, rappresentò Molti spettacoli in palazzi privati. Il C. divenne nel 1647 virtuoso di canto e maestro compositore di questa compagnia. Nominato viceré a Napoli, il conte d'Oñate vi chiamò i Febi Armonici che, nel 1651, diedero i primi spettacoli melodrammatici nei giardini della reggia napoletana.
La prima opera rappresentata fu L'incoronazione di Poppea, forse rimaneggiata dallo stesso C.: a questa seguirono altre opere veneziane, tutte probabilmente ancora da lui rimaneggiate. Il 21 dic. 1652 fu rappresentata dai Febi Armonici un'altra opera veneziana, Veremonda, l'amazzone d'Aragona, di P. F. Caletti detto Cavalli, con grande apparato scenografico ideato da G. B. Balbi, recatosi appositamente a Napoli per quella realizzazione.
Nell'anno 1653, dalla stessa compagnia e sulle stesse scene, furono rappresentati due drammi di autori napoletani come L'Arianna di G. Di Palma, e Le magie amorose di G. C. Sorrentino: la prima molto probabilmente composta dal C. stesso e la seconda già attribuita a G. Alfiero (ma probabile rifacimento della Rosinda musicata dal Cavalli). Poi ancora: Giasone, di G. A. Cicognini, che era stato già rappresentato a Venezia nel 1649 con musica del Cavalli e rielaborato quasi sicuramente dal C.; il dramina sacro La vittoria fuggitiva del poeta G. Castaldo, forse musicato da F. Provenzale; Il gigante abbattuto, la Proserpina e l'Arianna tutte del poeta F. Zucchi. Sostituito il conte di Ofiate come viceré di Napoli dal conte di Castrillo, i Febi Armonici, privati della protezione del potente personaggio, pur di restare a Napoli, passarono sulle scene pubbliche e trasferirono le loro rappresentazioni al teatro S. Bartolomeo.
Dopo diversi anni di allestimenti di lavori comici, il 3 apr. 1654 ebbe inizio la stagione operistica seria e importante del S. Bartolomeo. In quell'anno fu messa in scena L'Orontea, regina d'Egitto del Cicognini, rappresentata a Venezia nel 1649 con musica di ignoto (la partitura di quest'opera si trova nella Biblioteca del Conservatorio di Napoli e porta.il nome del C.; nel libretto viene specificato che l'opera fu "arricchita di nuova musica da F. Cirillo"). Questa annotazione, che appare per la prima volta sul libretto di un'opera rappresentata a Napoli, conferma che il C., oltre al ruolo di cantante, aveva nella compagnia il compito di modificare e rivedere le musiche di altri autori per adattarle alle esigenze artistiche della compagnia stessa, oltre che al gusto e alle consuetudini del pubblico napoletano.
Nel giugno del 1654 il C. sposò a Napoli la quindicenne Caterina Senardi pupilla, di Antonio e Angelica Generoli, che probabilmente faceva parte anche lei del complesso musicale dei Febi Armonici. La compagnia con l'apporto di un nuovo cantante, Paolo Rusáo, nel 1656 rappresentò ancora al teatro S. Bartolomeo due opere di fattura e stile napoletani: Il ratto di Elena, dramma scritto da G. Paolella e musicato dal C., e La fedeltà trionfante di G. C. Sorrentino, musicata da G. Affiero (entrambe le partiture sono andate perdute). Dopo la peste del 1656, si sa che al S. Bartolomeo apparve una nuova Accademia di Armonici, scritturata da Gregorio Delle Chiavi, nella.quale non figura più il C., del quale del resto si perde ogni traccia: solo dopo sei -anni lo si ritrova menzionato nella veste di compositore della suddetta Accademia.
L'8 ott. 1662 al regio palazzo fu allestita l'opera Alessandro vincitor di se stesso, poesia di F. Sbarra, già rappresentata a Venezia nel 1651 con musica del Cesti, ma completamente rinnovata dal Cirillo. Dopo altre due o tre rappresentazioni nel teatro reale, la compagnia fece ritorno al S. Bartolomeo. dove la stagione del 1665 si chiuse con Ilprincipe giardiniere, un'opera di B. Ferrari, data a Venezia nel 1664 e rimaneggiata sempre dal C. (le partiture dell'edizione napoletana sono conservate nella Biblioteca del Conservatorio di S. Pietro a Maiella di Napoli).
Dopo questa stagione di alto livello artistico, i Febi Armonici non rappresentarono più opere per un lungo periodo; riapparvero a Napoli nel 1667-1668 e nel carnevale del 1668 rappresentarono L'amor della patria (libr. di F. Sbarra): l'autore della musica è ignoto, ma, non trattandosi di un'opera veneziana, potrebbe essere attribuita allo stesso C. (perduta la partitura di quest'opera, l'attribuzione è del tutto ipotetica). Anche sulla data di, morte del C. mancano dati sicuri: ma si puo fissare a un periodo successivo al 1665.
Ingiustamente dimenticato per lungo tempo, il C. è stato ora riscoperto e le sue opere analizzate e rivalutate. In particolare, notevole si mostra la sua capacità nell'interpretare i gusti della società del tempo e le esigenze dei vari pubblici di fronte ai quali dovevano essere rappresentati i suoi lavori: infatti riadattò spesso opere dei repertorio veneziano per il pubblico napoletano, abituato a un modo diverso di intendere la musica, specie operistica; ma ebbe soprattutto il merito d'aver introdotto a Napoli, appostandovi le modifiche necessarie, l'opera per musica. Compositore dallo stile a volte geniale, sempre gradevole e mai noioso, il C. è stato definito quasi un musicista d'avanguardia, perché la dolcezza melodica, la suggestione della scrittura strumentale, i ritmi, le cadenze e gli spunti lirici, per la loro modernità, lo avvicinano alla concezione di tempi più recenti.
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