CILOCCO (Cillocco), Francesco
Nacque a Cagliari verso il 1769 da Michele, con tutta probabilità da famiglia di piccola borghesia intellettuale della città, che dalla propria professione traeva le maggiori risorse. "Notaio di cause e non di beni", egli stesso ebbe a qualificarsi presso la giustizia regia. Quindi piuttosto cancelliere che notaio, pur essendo questo il titolo con cui veniva indicato sin dall'aprile del 1794, quando si fece notare come uno degli animatori della sommossa popolare, che portò alla cacciata dalla capitale dell'isola di tutto il personale piemontese e all'autoconvocazione degli Stamenti.
Sembra partecipasse del club giacobino ispirato da G. M. Angioy, e che del giudice della Reale Udienza fosse "uno dei più fervidi ammiratori" (Pola). Al fervore delle idee in lui si accompagnava una calda e trascinante loquela. Per questa sua qualità, l'anno dopo, in seguito alla secessione di Sassari, dove si erano raccolti gli esponenti più in vista del baronaggio sardo, dal governo stamentario di Cagliari, fu chiamato a far parte della missione di tre commissari, assieme ad Antonio Manca e al cav. Giovanni Falchi. spedita nella Sardegna settentrionale a rintuzzare le pretese autonomistiche della capitale del Logudoro.
Nella regione percorsa da agitaziqni antifeudali i commissari cagliaritani trovarono il terreno preparato, e pare che il C. avesse modo di distinguersi nell'"eccitare l'odio dei vassalli contro. i baroni di Sassari" (Pola). Fosse o no una sua mossa deliberata, il 26 dicembre, mentre si accingeva a prendere la via del ritorno, veniva fermato da un forte manipolo di popolani e invitato a guidarli contro l'invisa città. Nella stessa giornata si congiungeva con un altro gruppo, non meno folto, guidato dall'avv. Giovanni Mundula, prestigioso giacobino sassarese, di fresco espulso dalla città dal governatore dei Capo di Sopra, per impedime l'opera di proselitismo.
Quando queste truppe composite, la sera del 27, si disposero attorno a Sassari, ascendevano ormai, con i rinforzi raccolti per strada, a più di 13.000 persone pro, venienti da una trentina di villaggi del Logudoro. La giornata del 28 trascorse tra sporadici scontri a fuoco e concitate trattative per la resa della città, per la quale il C. e il Mundula ponevano. come condizione la consegna delle massime autorità, il governatore e l'arcivescovo, perché potessero essere portate a Cagliari, a disposizione degli Stamenti. Il 29 dicembre, dopo che i baroni con i loro seguaci erano riusciti a dileguarsi, a furor di popolo le porte vennero aperte. I manipoli dei vassalli, riversatisi nella città, diedero l'assalto ai palazzi dei loro signori, ma furono autorevolmente distolti dagli úpprovvisatì commissari dal compiere saccheggi. Il 31 dicembre i commissari e il loro seguito partivano per Cagliari con i due ostaggi, lasciando loro amici al governo della città.
Gli Stamenti, d'accordo col viceré, per porre rimedio alla piega che avevano preso gli avvenimenti, inviarono.loro incontro altri tre commissari, che li raggiunsero con proprie truppe il 4 genn. 1796 a Oristano, ed ingiunsero loro dì liberare gli ostaggi e rimandare ai villaggi d'origine i loro uomini, nel frattempo ridottisi di numero. Ad un primo rifiuto, due giorni dopo, a Sardara, i commissari viceregi risposero con un atto di forza. Si concludeva così quella che, a posteriori, sarebbe apparsa come la prova generale della infelice marcia di G. M. Angioy. Il 10 gennaio, Mundula e il C., da soli facevano ingresso a Cagliari "quasi in parata", e il giorno dopo presentavano la loro relazione dei fatti dinanzi agli Stamenti.
Non sembra che il C. facesse parte del gruppo che, nel, corso dello stesso anno, segui Angioy nella sua missione a Sassari e nella successiva, rapidamente abortita, spedizione su. Cagliari. È certo invece che, appena la repressione da strisciante si fece palese, anche il C. prese la via dell'esilio e raggiunse il gruppo giacobino sardo a Parigi. Di qui, nella convinzione dell'imminenza di una azione francese in direzione della Sardegna, nella primavera del 1799, gran parte di essi si trasferivano in Corsica. Del gruppo faceva parte il C., che nel gennaio 1801 risulta fosse ad Ajaccio.
Senza perdere i contatti con l'Angioy, rimasto a Parigi, gli esuli di Corsica si diedero un capo nel teologo Francesco Sanna Corda, ex parroco di Torralba (villaggio logudorese). E sotto la sua guida si trasferirono a Bonifacio, per preparare una spedizione nella loro isola, che servisse di esempio e di. stimolo allo scarso interesse di Napoleone. L'anno prima c'era stata la rivolta, sanguinosamente repressa, di Tiesi e Santulussurgiu, segno ai loro occhi che lo spirito antifeudale nel Logudoro era ancora vivo. Essi contavano, per costituire una solida base di appoggio, sull'irriducibile banditismo dei, pastori galluresi. All'uopo presero contatto con un famigerato bandito, il Mamia, e per suo tramite con i pastori del circondario di Aggius, prospiciente la sponda corsa.
Sulla spiaggia di Aggius, nel marzo del 1802, sbarcava il C. e trascorreva tra gli stazzi, chiamando a raccolta i pastori più decisi ("facinorosi" li chiama il Martini), in vista di un attacco a sorpresa contro Tempio, residenza del giudice Lomellini, comandante civile, e del Pes di Villamarina, comandante militare della Gallura. Il concentramento delle forze doveva aver luogo a fine aprile; per i primi di maggio era programmata la sortita su Tempio. Ma il Villamarina contava, in quell'ambiente infido, delle proprie spie. Si giovò inoltre del doppio gioco del Mamia, al quale più che la proclamazione della repubblica sarda premeva di ottenere la cancellazione dei suoi delitti da parte delle autorità galluresi. Avvertito dei preparativi, costui fece affluire tempestivi rinforzi dal resto dell'isola: venuto a mancare il fattore sorpresa, le raccogliticce forze del C. si sciolsero spontaneamente e l'intraprendente notaio dovette rientrare a Bonifacio.
La situazione tuttavia sembrava a lui e al Sanna Corda tale che, ritentando lo sbarco con un proprio manipolo, quelle sparse energie avrebbero trovato un concreto punto di aggregazione. Il che fecero sbarcando il 12 giugno nuovamente in Gallura, con un, gruppo misto di sardi e di corsi, al comando, del Sanna Corda e col C. in veste di capitano aiutante di campo. Questa volta il fattore sorpresa parve favorirli. Con l'aiuto di alcuni pastori, tra il 16 e il 18 giugno, riuscivano ad impadronirsi, senza colpo ferire, di tre torri litoranee e di una feluca, facente funzione di postale tra il continente e la Sardegna. Ma, nel fare ciò, il gruppo, che si diceva in attesa di ulteriori rinforzi, si dovette dividere; e, mentre il Sanna Corda stendeva febbrilmente proclami e missive, prima ancora che col loro supporto potesse stabilire proficui contatti, veniva sorpreso dagli uomini del Porcile, comandante la gondola regia che ispezionava le bocche di Bonifacio.
Il Sanna Corda venne ucciso, anche per l'assoluta inesperienza sua e dei suoi nell'uso dei cannoni che erano caduti nelle loro mani. li C. invece riusciva a darsi alla macchia. Errò più di un mese, evitando contatti umani in un ambiente fattosi prontamente ostile, vuoi per la taglia che venne posta sul suo capo, vuoi perché le autorità usarono i giovani galluresi caduti nelle loro mani come ostaggi presso i parenti per un eventuale scambio appunto col Cilocco. Ancor più, quando costoro vennero giustiziati, la clandestinità del C. si fece precaria. 1 parenti di uno di essi, il Battino, mossi da vendetta privata, in odio non certo alle autorità ma a colui che a loro vedere aveva spinto il giovane in quella avventura, individuarono il nascondiglio del C., riuscirono a farlo prigioniero (25 luglio del 1802) e lo consegnarono quindi alle truppe regie.
Gli ultimi giorni del giacobino cagliaritano furono dei più terribili che si possano immaginare. Messo, sanguinante e pesto, sul dorso di un asino, fece il suo ingresso in Sassari, a torso nudo, fustigato senza sosta dal boia tra il dileggio dei popolani, istigati dal baronaggio sassarese, che nella sua cattura vedeva la fine di un proprio incubo sociale. Sembra che il C., stravolto dai patimenti, durante gli interrogatori, tentasse di inimizzare il proprio ruolo e giungesse fino a chiedere la grazia. Ma il processo era solo un passo formale verso l'esecuzione, che si voleva esemplare. Il 12 agosto venne emessa la sentenza. Il 30 ag. 1802, all'età di trentatré anni (Pola), pur disfatto per le torture subite, recuperata la propria lucidità, "con animo forte" (Martini), il C. saliva sulla forca. Il suo corpo rimasto esposto per diversi giorni, fu poi bruciato e le ceneri sparse al vento.
Fonti e Bibl.: Sassari, Bibl. comunale. busta 706, III: Processo F. C.;P. Martini, Storia di Sardegna (1799-1816), Cagliari 1852, ad Indicem;S. Pola, Imoti delle campagne di Sardegna dal 1793 al 1802, Sassari 1923, I, pp. 22 s., 108-138; II, pp. 66, 114-183; A. Boi, G. M. Angioy alla luce di nuovi documenti, Sassari 1925, ad Indicem;E. Pontieri, Carlo Felice al governo della Sardegna (1799-1806), II, La restauraz. e la difesa dello Stato, in Archivio storico italiano. n. s., XCIII (1935), 2, pp. 221, 225 ss.; S. Pola, Fuorusciti sardi ed agenti francesi per una nuova "déscente en Sardaigne", in Rassegna storica del Risorgimento, XXIV(1937), pp. 231-274 passim;E. Costa, Sassari, Sassari 1939, pp. 112-115; V. Lai, La rivoluzione sarda e il "Giornale di Sardegna", Cagliari 1951, ad Indicem;G. Manno, Storia moderna della Sardegna (1775-1799), a cura di G. Serri, Cagliari 1952, ad Indicem;D. Scano, Don G. M. Angioye i suoi tempi, in Scritti inediti, Sassari 1962, pp. 265, 295-298, 349 s., 391-398.