CIGADA, Francesco
Nacque a Trezzo sull'Adda (Milano) il 3 ott. 1878 da Paolo e Camilla Chiappella. Studiò canto a Bergamo con V. Sabbatini ed esordì come baritono nel 1900 a Trento nella Traviata e a Forlì nella Manon di Massenet. Nel 1903 venne scritturato a Rio de Janeiro, dove prese parte con successo alle rappresentazioni di Aida, Gioconda, Pagliacci, Carmen e Rigoletto. Tornato in Italia, intervenne, in numerose prime esecuzioni mondiali: fu infatti uno degli interpreti della Aminta di A. Saibene (Milano, teatro Dal Verme, 1904), delle Eumenidi di F. Guglielmi (Treviso, teatro Sociale, 4 nov. 1905) e, infine, de L'Ermes di A. Barelli (Genova, Politeama, 8 nov. 1906). Dopo aver cantato, sempre nel 1906, in diverse opere rappresentate al Costanzi di Roma (Trovatore, Dannazione di Faust, Siberia di A. Giordano e Amica di P. Mascagni), negli anni 1909-1910 venne scritturato dal teatro Real di Madrid, dove tornò nel 1922 per il Guglielino Tell di Rossini; nel 1910 partecipò, inoltre, alla prima esecuzione de La favola di Elga di F. Santoliquido, rappresentata il 23 novembre di quell'anno al teatro. Dal Verme di Milano.
In quegli stessi anni il C. interpretò molte altre opere oggi dimenticate come Margherita la Tornera di R. Chapì (Madrid, teatro Real, 1909) e La colomba di A. Vives (ibid., 1910), prendendo parte anche alla prima esecuzione di Ghismonda di R. Bianchi (Milano, Scala, 19 sett. 1918) e di Urania di A. Favara (rappres. anch'essa alla Scala il 9 dicembre dello stesso anno sotto la direzione di T. Serafin). Apprezzato anche all'estero per le sue mterpretazioni di Manon di Puccini, Rigoletto, Aida, Andrea Chénier di Giordano e di altre opere di autori italiani, nel 1914 fu scritturato al Covent Garden di Londra ed ebbe favorevoli accoglienze anche al Colón di Buenos Aires. In Italia ottenne le maggiori affermazioni come primo interprete del personaggio di Gianciotto nella Francesca da Rimini di R. Zandonai (prima rappres. Torino, Regio, 19 febbr. 1914) e in quello di Sergio ne Lanave di I. Montemezzi (prima rappres. Milano, La Scala, 3 nov. 1918).
In seguito ai disagi della vita militare durante la prima guerra mondiale, il C. riportò disturbi che, col passare degli anni, incisero negativamente sulle sue qualità vocali, inducendolo a ritirarsi dalla carriera nel 1926. Da allora visse modestamente a Caprino Bergamasco, dove morì il 6 ag. 1966. Aveva interpretato cinquantasei opere, fra il 1905 e il 1908, e inciso molti dischi.
Sebbene fosse dotato - come baritono - di una voce duttile, particolarmente adatta ai ruoli drammatici, e affascinante per intensità (pur mancando di sfumature vellutate), doti alle quali univa una notevole intelligenza e intensità interpretativa che gli consentirono di farsi largamente apprezzare nel ruolo di Jago nell'Otello e di Telramondo nel Lohengrin, il C. non riuscì mai a suscitare larghi e motivati consensi da parte dei critici del suo tempo. Il che avvenne, in large misura, pel fatto che la sua fa un'epoca di straordinari interpreti come F. Tamagno, E. Caruso e M. Battistini, i quali, per le loro eccezionali qualità sceniche e vocali, attiravano tutta l'attenzione e i favori del pubblico e della critica. Solo in qualche rara occasione troviamo espliciti elogi delle doti del C.: come quando per es., in occasione della prima della Francesca da Rimini (per la quale lo Zandonai aveva espressamente voluto il C.), un critico lo definì "stupendo" (cfr. Gazzetta del popolo, 20 febbr. 1914). O come si legge in una lettera del 30 genn. 1914, scritta da Nicola d'Atri a Tancredi Pizzini (entrambi amici dello Zandonai) a proposito sempre della prima rappresentazione della Francesca da Rimini: "Cigada, come Gianciotto, e Paltrinieri come Malatestino sembrano assolutamente ottimi per la loro figura, per la chiarezza della dizione, per la scioltezza della azione". Dovevano passare molti anni perché le doti e la figura del C. venissero rivalutate. Così ad esempio nel 1956 E. Montale pubblicò sul Corriere della sera del 27 ottobre una lettera di un ammiratore, indirizzata a G. A. Gavazzeni: "Il Cigada non ebbe voce di violoncello quali il Bonini, il Bellantoni e lo Stracciari, ma una voce veemente, quasi sfacciata, da tromba. I suoi registri furono il pianissimo, il forte, il chiaro, l'aspro... Fu parco di corone, disdegnò cadenze e puntature, pronunziò le sette vocali della buona dizione italiana ed ebbe il ‛pallino' delle doppie voluttuosamente labbreggiate. Il suo canto non fu mai barbogio e tetro..., ma fu solare e giocondo. Dove assolutamente emerse sopra ogni altro, fu nell'accentuazione. A lui non occorreva la frase ‛fatta', la romanza risaputa, la nota d'effetto... Nello Chénier toccava il vertice nella frasetta: ‛Come sa amara!' detta con un soffio di indicibile accoratezza nel Tristano buttava là quel suo ‛Rancor mi serbin mille Isotte' con tale picaresca prepotenza che la protagonista era servita per tutta la sera... Al pubblico piacque molto, ma la critica con lui parve sempre avesse una punta di fetore sotto il naso...". Affermazioni avvalorate nello stesso articolo da E. Montale, che definisce il C. "impareggiabile Guglielmo Tell, Giancioto e Jago".
Fonti e Bibl.: Oltre alle notizie ined. fornite dal musicofilo A. Gadotti, cfr. il necr. in L'Eco di Bergamo, 8 ag. 1966; le recensioni in: La Gazzetta del popolo, 19 e 20 febbr. 1914; Corriere della sera, 22 maggio 1904 e 3 nov. 1918. Cfr. inoltre R. Bauer, Historical record 1898-1908, 1909, London 1947, pp. 10, 17, 32, 61 ss., 71 ss.; E. Montale, Nel mondo del rumore, in Corriere della sera, 27 ott. 1956; F. De Filippis-R. Arnese, Cronache del teatro S. Carlo, I, Napoli 1961, p. 96; C. Gatti, Ilteatro alla Scala. Cronologia, Milano 1964, p. 75; Due secoli di vita musicale. Storia del teatro Comunale di Bologna, a cura di L. Trezzini, II, Bologna 1966, p. 144; B. Cagnoli, R. Zandonai, Trento 1978. p. 63.