CHIESA, Francesco
Discendente di una famiglia di artisti, nacque a Sagno, presso Chiasso, nel Mendrisiotto (Canton Ticino), il 5 luglio 1871 da Innocente e da Maddalena Bagutti.
Il nonno, da cui prese il nome di battesimo, era pittore ornatista e insegnante di disegno in un liceo di Como; il padre, pittore, visse per anni a Milano, mentre la madre, descritta in Tempo di marzo come "la sensibilità, la delicatezza, la squisitezza in persona", era figlia di uno dei fondatori dell'importante Tipografia Elvetica di Capolago.
La casa in cui nasce e in cui abiterà è in stile neoclassico, con grandi sale dipinte e con i ritratti degli antenati sulle pareti, contornata da un vigneto, situato, emblematicamente, metà in territorio svizzero e metà in quello italiano. Il C. ricorda se stesso bambino come "uno dei galletti del villaggio", quindi "alunno ginnasiale diligente e timido" nel collegio di Mendrisio, al tempo in cui risale la sua prima passione poetica per Leopardi, cui segue un ingenuo "buttar giù di gran canzoni libere". Agli anni del liceo, a Lugano, risalgono i primi suoi interessi sociali e la grande scoperta di Baudelaire; scrive versi con impegno, al di là di una autentica ispirazione" che arriverà solo più tardi", e vive con entusiasmo le prime vicende del movimento socialista. Sempre a Lugano conoscerà, negli ultimi anni del secolo, Andrea Costa, che per motivi politici andava e veniva dalla Svizzera, col quale discute di rivendicazioni sociali, come di letteratura. "Mi ricordo che una volta, al buffet della stazione, ci siamo trovati lì a un tavolino e lui mi ha detto - Senti, Chiesa, fa' il salto! - E io ho detto - Mah, ci penseró -" (intervista a F. C., in L'Approdo letterario, LXXXI (1971).
Un salto che poi non ci sarà mai, anzi, dal vivo e aperto liberalismo giovanile, mutuato dalle tradizioni intellettuali familiari, si assisterà a un cammino a ritroso verso un conservatorismo tipicamente elvetico, come sottolineerà Prezzolini (Corriere del Ticino, 26 giugno 1971, suppl.), cioè legato ai caratteri e alle tradizioni particolari del proprio Cantone, terra di razza, di lingua e di spiriti italiani. Il C. sarà sempre un sostenitore convinto dell'italianità del Ticino e anche al suo appoggio si deve l'approvazione della legge confederale che vi rese obbligatorio lo studio e l'uso prioritario dell'italiano in scuole, uffici pubblici e insegne. Così verso la fine della grande guerra scrive che la vittoria dell'Italia avrebbe accresciuto il prestigio dei Ticinesi nella Confederazione, come Caporetto aveva dimostrato il valore dell'esercito italiano e le virtù di resistenza e ripresa di quel popolo, cui anche lui sentiva di appartenere. A quell'articolo sul Corriere del Ticino, intitolato Viva l'Italia, ne seguiranno altri e ancora nel '41, quando la Svizzera mostra un atteggiamento politicamente negativo nei confronti del paese confinante, sottolinea sullo stesso giornale che "l'Italia è non solo l'autrice, ma anche la perpetua matrice della nostra cultura, la quale, abbandonata a se stessa, non avrebbe forze sufficienti per sopravvivere".
Proprio per queste premesse e per riaffermarle continuamente in un paese che porta avanti una politica antifascista è quindi antitaliana, la posizione del C. sembra diventare inevitabilmente di adesione e di difesa: "Il Fascismo in Italia è la Nazione... Tutti sanno che le idee fondamentali e i suoi metodi non corrispondono ai principi e alla pratica del nostro regime democratico. Ma bisogna pur riconoscere che si tratta di un fenomeno storico della massima importanza" (Gazzetta ticinese, 1º luglio 1929). Allo scoppio del conflitto etiopico scrive "con amarezza e sdegno per la coalizione che si è formata contro l'Italia" in nome delle "ragioni dell'Italia". Grande scandalo destò in quegli anni il suo netto rifiuto a invitare Gaetano Salvemini a tenere una conferenza, non per antipatia verso la persona, ma per non mettersi in urto con le autorità italiane.
I suoi studi il C. li aveva terminati presso l'università di Pavia dove, nonostante l'amore per le lettere, si iscrisse prima a medicina e quindi a legge, laureandosi nel 1894. Subito dopo è per tre anni segretario del Tribunale di Lugano, pronto, come ricorda, "a conciliare, rappacificare i contendenti, per lo più artigiani o contadini" (in Bianconi, Abbozzo...). Egli riprende anche a scrivere poesie e nel 1897 pubblica a Milano la sua prima raccolta di versi, Preludio. Si trattava di prove, tentativi, che l'autore stesso non volle mai veder ristampati e che più di un critico, pur sottolineandone l'elevatezza e la serietà dell'ispirazione, giudicò mediocri. Eppure, localmente, la nascita di un poeta ticinese apparve importante e il governo cantonale lo nominò ad honorem professore ordinario d'italiano nel liceo di Lugano, del quale divenne rettore nel 1914, coprendo tale carica sino al 1943. Nonostante l'impegno di rettore e le altre cariche che seguiranno, il C. non abbandonò interamente l'insegnamento, riservandosi alcune lezioni, come quelle di storia dell'arte e, in ultimo, quelle su Dante e la Commedia.
La voce pubblica lo diceva nella scuola personaggio non precisamente remissivo ed egli sempre affermò di nascondere nel rigore una certa timidezza, la paura di non saper stabilire il contatto giusto, una sfiducia che sconfinava quasi nel fatalismo: "Un giorno mia moglie, che conosceva bene i miei difetti, si fermò su un mio verso che dice "La fatalità mite che penso"; ci pensò su un momento e poi mi disse: - Ecco, questo verso ti rispecchia fedelmente -." (intervista cit.).
A Lugano il C. aveva conosciuto e sposato nel 1898 Corinna Galli, dalla quale avrà una figlia, Mira.
Nel 1897 aveva fondato un periodico di tendenze vagamente liberali, Idea moderna;due anni dopo è la volta della Piccola rivista ticinese, di cui si occupa attivamente sino al 1901 e dove pubblica le sue Lettere iperboliche, scritti caricaturali che ridicolizzano certi piccoli atteggiamenti della borghesia ticinese. Nel 1904 inizia la sua collaborazione con la Nuova Antologia, allora al massimo del fulgore.
La collaborazione fu intensa e ricca di scambi sino al 1950. Su quelle pagine, le uniche per le quali Carducci diceva di poter scrivere, erano apparse le firme del Tommaseo, di Maffei e del vecchio Manzoni, l'autore "cui si torna e si ritorna, e non solo come lettura letteraria, se così si può dire, ma anche come consolatore". La sua adesione alla vicina cultura lombarda, di cui quella ticinese è, secondo Dante Isella, un paragrafo particolare, e ai problemi unitari postrisorgimentali, compreso quello della lingua, lo conducono naturalmente al magistero letterario e morale dell'autore dei Promessi sposi: un rapporto ideale attraverso il quale il C. arriverà a liberarsi dell'originario estetismo, della sua cultura neoclassica.
Sono queste le cause di certa rigidità formale e intellettuale che si riscontra anche nei duecentoventi sonetti di Calliope, una trilogia allegorica cui il poeta deve i primi veri riconoscimenti culturali. Preceduta dalla stampa de La cattedrale (1903) e La reggia (1904), si compie con La città ed esce sotto il nuovo titolo unico nel 1907.
Il C. vi traccia, attraverso la storia millenaria della civiltà, le fasi della spiritualità umana, che gradualmente dalla barbarie va orientandosi verso i tre fari (Chiesa medievale, governo rinascimentale, famiglia cittadina moderna) che ne alimentano il progresso. Alcuni critici sottolinearono il suo astenersi dalle lusinghe del decadentismo dannunziano, altri si soffermarono sulla sua perfezione tecnica ed Ettore Romagnoli parlò di "virtuosismo che dà le vertigini", pregio e limite di quei versi, in cui la vena autentica e libera del C. appare solo a tratti, tra tanta sovrabbondanza di astratte allegorie. Ancora "poesia di volontà" definisce Cecchi in una recensione il volume seguente, Viali d'oro, invitando l'uomo "che è poeta vero" a liberarsi dello scrittore.
Verrà poi, dopo la guerra, il periodo carducciano, legato alla scoperta dei "ritmi barbari", e alle poesie, accolte con minori riserve, seguiranno vari volumi di racconti, in cui soggetti psicologici e un po' astratti vengono inquadrati in una realtà storica diversa dall'attuale, secondo un gusto allora di moda, e basti citare la Thaïs di Anatole France, sulla quale il C. si cimentò anche come traduttore, anni dopo. La pratica sliricizzante della prosa gli gioverà a rendere più limpidi e sciolti anche i versi che verranno, in cui affiorerà pian piano un vago simbolismo crepuscolare. Ci riferiamo alla prosa del secondo periodo, ché anche nei racconti, a cominciare da Istorie e favole (1913), c'èall'inizio una ricerca classicheggiante assai artificiosa. Solo coi Racconti puerili un C. cinquantenne trova la propria pulita vena di narratore con pagine non di ricordi, ma evocative e ricche di notazioni psicologiche, come in Un pranzo non potuto finire.Delicatezza di caratteri, suggestione dei ricordi e pulizia della lingua sono anche i pregi del romanzo che da quei racconti nacque. Tempo di marzo è una rievocazione del formarsi nel fanciullo della propria coscienza morale e un umorismo di stampo prettamente manzoniano non ne allenta la tensione e la finezza, che allontana, per una volta, il C. da ogni contaminazione retorica. Alla nascita di questo scrittore diverso, più naturalistico e fedele a se stesso, contribuirono, come egli afferma, le novelle di Pirandello e la lettura dei numeri della Voce. Per accorgersene bastano racconti come Quando l'animo è in moto o La liberazione, compresi in Compagni di viaggio del 1931. A questo discorso si possono avvicinare anche le pagine di Villadorna, il romanzo del giovane e debole Marco, cresciuto in un ambiente familiare corrotto. Il C. per descrivere questo contrasto di caratteri, di affetti e di interessi ha cercato anche di oggettivare la propria indagine psicologica, abbandonando l'uso della prima persona per la terza: con una improbabile forzatura della sua natura poetica, che ha reso discontinuo il risultato di quest'opera. Migliore prova è forse costituita da Sant'Amarillide, lavoro di grande respiro, uscito nel '38 e ristampato, con una parte riscritta, nel '67.
La figura buona e paziente di Amarillide, dotata di un naturale umorismo e contornata da parenti scellerati e senza cervello, che la chiamano ironicamente santa, è una delle più riuscite dello scrittore ticinese e quella che salva il libro, in cui la vena moraleggiante rischia in alcune parti di soffocare la spontaneità della scrittura, la necessità del racconto.
Altre raccolte di poesie e volumi di prose brevi escono sino a pochi anni prima della morte del C. e in esse, oltre che in Tempo di marzo, sono da ricercarsi i suoi momenti migliori, quelli più riusciti e meno datati. I Sonetti di San Silvestro escono freschi di stampa in occasione dei cento anni dell'autore, che verranno festeggiati con un convegno a Lugano e altre numerose iniziative.
Il C. è uno dei grandi vecchi della cultura italiana e un monumento vivente per quella del Canton Ticino. Per cinquanta anni, sino al '61, ha ricoperto varie cariche pubbliche; è stato presidente della Commissione per la protezione dei monumenti storici, artistici e naturali del Cantone, come testimonia una legge che porta il suo nome e un libro di ricordi, dal '29 al '31 (Cinquant'anni di prot., cit.); ha anche tenuto la cattedra di letteratura e lingua italiana al politecnico di Zurigo; ha collezionato premi letterari e onorificienze oltre a tre lauree in lettere honoris causa, conferite dalle università di Losanna, Roma e Pavia.
Il C. morì a Lugano, a centodue anni, il 13 giugno 1973.
Opere: Preludio, Milano 1897; La cattedrale, Lugano 1903; La reggia, ibid. 1904; Calliope, ibid. 1907; Viali d'oro, Modena 1910; Istorie e favole, Genova 1913; Un anno di storia nostra: il Ticino nel 48, Lugano 1915; L'attività artistica delle popolazioni ticinesi ed il loro valore storico, Zurigo 1916; Fuochi di primavera, Roma 1919; Racconti puerili, Milano 1920; L'altarino di stagno e altri racconti, ibid. 1921; Consolazioni, Bologna 1921; Vita di santi e profani, Milano 1922; Dante Alighieri,Alessandro Manzoni,discorsi commemorativi, Lugano 1924; Tempo di marzo, Milano 1925; L'opera dei nostri artisti fuori del Ticino, Lugano 1926; Monumenti storici e opere d'arte esistenti nel Canton Ticino, ibid. 1928; Villadorna, Milano 1928; Racconti del mio orto, ibid. 1929; Compagni di viaggio, ibid. 1931; Svizzera italiana,scritti vari, Firenze 1931; La stellata sera, Milano 1933; Scoperte nel mio mondo, ibid. 1934; Scritti vari e inediti, Bellinzona 1934; La casa borghese nella Svizzera. Il Cantone Ticino, I, Il Sottoceneri; II, Il Sopraceneri (voll. XXIII e XXVI), Zurigo 1934-36; Voci nella notte, riedizione parziale di Vita e miracoli..., e Istorie e favole, Milano 1935; Sant'Amarillide, ibid. 1938; Passeggiate, ibid. 1939; Racconti al passato prossimo, ibid. 1941; Galateo della lingua, Bellinzona 1942; Io e i miei, Milano 1943; prefazione ad A. Manzoni, Ipromessi sposi, Locarno 1944; Monumenti storici e artistici del Canton Ticino restaurati dal 1910 al 1945, Bellinzona 1946; Ricordi dell'età minore, Lugano-Bellinzona 1949; commento a A. Fogazzaro, Piccolo mondo antico, Bellinzona 1950; L'artefice malcontento, Milano 1950; Alla gioia fuggitiva e altre poesie, ibid. 1953; Zia Lucrezia e altri racconti, Torino 1956; Cinquant'anni di protezione dei monumenti storico-artistici della Repubblica e del Canton Ticino, Bellinzona 1958 e 1966; La scatola di pergamena, Lugano 1961; Altri racconti, ibid. 1964; Sant'Amarillide, nuova edizione con ampie riscritture nell'ultima parte, Chiasso 1967; Racconti del mio orto, riedizione con quattro nuovi racconti, ibid. 1970; L'occhio intermittente, Lugano 1971; Sonetti di San Silvestro, Milano 1971; Tre noci in un cestello, Lugano 1972; Raduno a sera di pagine sparse, I-II, Bellinzona 1972. Si veda ancora la traduzione di A. France, Taide, Milano 1932.
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