CHIERICATI (Chieregati, Chericati, Chierigato, Cheregato, Cherigatti, Clericatus), Francesco
Nacque a Vicenza negli anni intorno al 1480 da Belpietro, della famiglia vicentina dei conti Chiericati, e da Mattea, figlia di Andrea Corradi di Austria, nobile mantovano e familiare dei Gonzaga. Durante gli anni della lega di Cambrai compì i suoi studi, prima a Padova, finché nel 1509 le vicende della guerra non determinarono la chiusura dello Studio padovano, poi a Bologna, e infine a Siena, dove si laureò in utroque iure con Antonio da Venafro e Simone Borghese, come risulta dall'inedita Memoria della vita di Francesco Chieregato, composta verso la metà del sec. XVII su documenti dell'archivio della famiglia. A Bologna il C. godette della protezione di Federico Fregoso, arcivescovo di Salerno, uno degli interlocutori del Cortegiano; grazie al suo appoggio, entrò nel 1511 tra i familiari del cardinale Alidosi, legato pontificio a Bologna. Quando questi fu ucciso, nello stesso 1511, la protezione del cardinale Sigismondo Gonzaga, che era allora legato pontificio nelle Marche, gli consentì comunque di entrare nello stesso anno nella nutrita schiera dei protonotari apostolici.
Trasferitosi a Roma, il C. divenne uditore e segretario alle lettere latine del cardinale Matteo Schinner. Al seguito di quest'abile uomo politico, nemico implacabile dei Francesi e principale artefice, alla testa delle truppe della Confederazione svizzera, della guerra di Giulio II contro la Francia, il C. iniziò la sua carriera diplomatica, seguendolo in Lombardia quando, nel genn. 1512, il papa nominò lo Schinner legato per la Lombardia e la Germania con pieni poteri straordinari e con il compito di condurre la guerra contro la Francia nel Milanese e di riconquistare la Romagna, con Bologna e Ferrara. Nello stesso 1512 il C., che aveva in questa legazione il titolo di referendario e maestro del registro delle suppliche, compì per conto dello Schinner importanti incarichi e delicate missioni diplomatiche.
Nel giugno, dopo la morte di Gaston de Foix a Ravenna, fu inviato dallo Schinner ad accompagnare Giano Fregoso alla riconquista di Genova; in seguito, il C. tornò a Genova a comporre il dissidio sorto tra il duca di Savoia e le truppe svizzere, che avevano occupato Vercelli e si rifiutavano di abbandonarla prima di aver ricevuto la somma dovuta come indennità di guerra. Nell'ottobre si recò a Firenze, ormai riconquistata dai Medici, per procurare denaro alla lega; nello stesso mese, trattò con il Senato di Milano l'ingresso nella città del viceré di Napoli, Raimondo Cardona. Sempre nel 1512 fu inviato dallo Schinner alla Dieta tenuta a Zurigo dai Cantoni svizzeri, dove fu decisa la discesa in Lombardia di un forte contingente militare.
Alla morte di Giulio II, il 21 febbr. 1513, la legazione dello Schinner fu sospesa e il cardinale si recò immediatamente a Roma, per partecipare al conclave; il C. lo seguì, giungendo a Roma a conclave avvenuto. Lo Schinner, che aveva appoggiato l'elezione al pontificato di Leone X, fu inizialmente molto potente in Curia, anche se la sua posizione doveva divenire precaria dopo la sconfitta di Marignano: del suo favore presso il pontefice poté trarre beneficio anche il C., che divenne prelato del palazzo apostolico.
Durante questo periodo, egli sostenne in Curia la causa di Alfonso d'Este, duca di Ferrara, che dopo la morte di Giulio II era venuto a Roma a sollecitare da Leone X la restituzione del ducato, e che era stato bene accolto dal pontefice, senza però che questi si pronunciasse chiaramente sulla questione. Il C. appoggiò anche la causa dei Bentivoglio, signori di Bologna, spodestati da Giulio II, che speravano di riottenere il governo della città, contando anch'essi in un mutamento della politica accentratrice della Chiesa sotto il pontificato, mediceo.
Nel 1513, dopo una grave malattia, il C. lasciò il servizio dello Schinner e passò a quello del cardinale Adriano Castellesi. Tra il 1514 e il 1515, compì per suo conto alcune importanti missioni: nel 1514 si recò due mesi a Napoli, e, successivamente, in Germania presso l'imperatore Massimiliano, alla cui corte si fermò otto mesi. Recatosi subito dopo in Francia presso Luigi XII, al fine di congratularsi a nome del cardinale del suo recente matrimonio con Maria d'Inghilterra, assistette alla morte del re, il 1º genn. 1515, e all'incoronazione di Francesco I. Si reco poi in Spagna, dove si fermò fino all'agosto di quell'anno. Ritornato a Roma, dopo un viaggio avventuroso, attraverso Algeri, la Sardegna, la Sicilia e Napoli, il C. inviò ad Isabella d'Este una relazione sulla Castiglia, andata perduta.
Come segretario del Castellesi fu presente nel dicembre del 1515 al congresso di Bologna tra Leone X e Francesco I, vincitore a Marignano. Subito dopo, grazie all'appoggio del Castellesi, ottenne la nunziatura d'Inghilterra, resasi disponibile dopo il richiamo a Roma di Gian Pietro Carafa. Partito da Roma all'inizio del 1516, attraversò la Francia. Fermato a Lione, perché non era ancora giunta la notizia dell'accordo tra il sovrano e il papa, fu costretto a richiedere l'intervento della reggente per poter proseguire il viaggio. Nel febbraio si trovava a Calais, dove dovette interrompere la sua missione per raggiungere a Bruxelles Carlo d'Asburgo, al fine di rappresentare il pontefice alle esequie di Ferdinando il Cattolico, morto il 23 gennaio, e alla proclamazione di Carlo a re di Spagna.
La missione in Inghilterra aveva come obiettivo principale quello d'informare Enrico VIII degli accordi intercorsi a Bologna tra il papa e il re di Francia, e di stringere al tempo stesso accordi con lui, in vista di una ripresa della politica antifrancese di Leone X. Queste trattative culminarono, infatti, in una lega stipulata tra l'Inghilterra, la Spagna, l'Impero e il Papato tra l'ottobre del 1516 e il maggio del 1517, a cui il pontefice non aderì che all'ultimo momento, dopo ulteriori trattative con la Francia. Il C. era inoltre incaricato di dirimere le controversie sorte tra il Castenesi, vescovo di Bath e Welles, e l'onnipotente cardinal Wolsey, che dopo la disgrazia del Castellesi, nel 1518, otterrà per sé questo vescovato. Il 1º dic. 1515, da Firenze, il papa aveva infatti inviato un breve a Enrico VIII, per presentargli il C., incaricato di chiedere la liberazione di Polidoro Vergilio, sottocollettore d'Inghilterra, imprigionato perché fautore dei Castellesi, e d'intervenire a favore dei Castellesi nella contesa con il Wolsey a proposito della collettoria d'Inghilterra, che era stata tolta nel 1514 al Castellesi e assegnata all'umanista Andrea Ammonio, protetto del Wolsey. Giunto a Londra il 13 apr. 1516, il C. vi si tratterrà fino all'agosto del 1517. Le lettere che scriveva dall'Inghilterra ad Isabella d'Este, pubblicate da A. Luzio e R. Renier, tracciano un quadro minuzioso della fastosa corte di Enrico VIII, e ci mostrano il giovane sovrano completamente immerso nei piaceri e il Wolsey onnipotente e detentore dell'effettivo, potere nel regno.
Una fonte importante per la nunziatura in Inghilterra è rappresentata dai dispacci dell'ambasciatore veneto a Londra, Sebastiano Giustinian, che ci illuminano anche sulla posizione del C. nei confronti di Venezia, di cui restava sempre suddito. Preso contatto immediato con il Giustinian, infatti, il C. lo informò minuziosamente delle trattative per la lega, e delle intenzioni del pontefice, in un primo momento avverso a parteciparvi direttamente. Il Giustinian doveva però vagliare con estrema cautela queste informazioni, se nell'autunno del 1516 informava la Signoria di avere intercettato lettere del C. alla madre e a Ippolita Sforza Bentivoglio, per aver conferma dell'esattezza delle informazioni del nunzio. Nel novembre, quando il pontefice, dopo molte esitazioni, decise di non entrare nella lega, i rapporti del C. con il Giustinian divennero molto più stretti, tanto che il nunzio fu convocato dal Wolsey, malmenato e minacciato di esser sottoposto alla ruota se non avesse rivelato il tenore dei suoi rapporti con Venezia e con la Francia. Quando Leone X, nel maggio del 1517, si decise ad entrare nella lega, dietro compenso di cinquantamila ducati mensili per sei mesi, il nunzio ne informò per primo il Giustinian.
Nell'estate del 1517, mentre veniva resa pubblica la lega contro la Francia, si scopriva a Roma la congiura del cardinal Petrucci, e il Castellesi, implicatovi, cadeva in disgrazia e fuggiva a Venezia. La caduta del cardinale provocò gravi difficoltà anche al C., che il 23 luglio veniva richiamato a Roma, sotto pena di tremila ducati in caso di disubbidienza, perché ritenuto agente del Castellesi. Il C. chiese, allora, al Giustinian di essere accolto nel territorio della Signoria e di esser ricompensato dei servigi resi con la concessione di un beneficio. Abbandonata poi l'idea di fuggire a Venezia, egli si accinse a tornare a Roma. Prima di lasciare l'Inghilterra, nell'agosto, si recò però a visitare l'Irlanda, come sappiamo dal lungo resoconto che ne fece ad Isabella d'Este. Ritornato per un breve periodo a Londra, la trovò in preda ad un'epidemia di febbri, come scriveva ad Erasmo da Anversa nel settembre del 1517, lamentando la morte dell'Ammonio, amico di Erasmo. Passato nelle Fiandre, sulla via di Roma, vi incontrò l'arciduca Carlo, in procinto, nel settembre del 1517, di imbarcarsi per la Spagna, dove doveva essere incoronato re.
A Roma, dove i suoi rapporti con il Castellesi erano stati dimenticati, il C. passò immediatamente al servizio del cardinal Giulio de' Medici. La politica di Leone X era in quel momento centrata particolarmente sul progetto della crociata contro i Turchi, che il concilio laterano del 1517 aveva lanciato di fronte all'accentuarsi della loro pressione sull'Occidente cristiano. Nel marzo del 1518 il pontefice inviò presso le principali potenze cristiane quattro cardinali legati, per ottenere una tregua alle guerre che dilaniavano la Cristianità e l'adesione alla crociata. In Spagna, presso Carlo, era stato inviato Egidio da Viterbo, che già nell'aprile aveva ottenuto dal re la proclamazione di una tregua quinquennale e che stava predicando con successo la crociata. Nel dicembre del 1518, quando ormai l'idea della crociata era stata abbandonata completamente anche dal pontefice, il C. veniva inviato in Spagna, e raggiungeva la corte a Saragozza, dove si trovava ancora Egidio da Viterbo. Egli aveva il titolo di commissario pontificio e l'incarico ufficiale di comporre il dissidio sorto tra gli Orsini, parenti del papa, e il re Carlo, per alcuni feudi italiani soggetti alla Spagna.
In realtà, il C. doveva interferire nella missione del cardinale Egidio, del quale, come riferisce il Sanuto, il pontefice "poco si fida per esser diventato proprio spagnol" (Diarii, XXVI, c. 447), tanto più che i rapporti tra Carlo e Leone X erano divenuti difficili con il sorgere della questione della successione imperiale, postasi apertamente proprio durante la missione del C. in Spagna, alla morte dell'imperatore Massimiliano, il 12 genn. 1519. La politica di Leone X, assolutamente contraria all'elezione di Carlo a imperatore, nel timore, tradizionale per la S. Sede, di un'unione della corona imperiale e di quella del Regno di Napoli, si attuò tuttavia con cautela: il pontefice trattava segretamente sia con Carlo sia con Francesco I, e solo nel maggio del 1519 si decise ad appoggiare apertamente la candidatura ormai perdente del re di Francia, nonostante le pressioni di Carlo e i continui messaggi di Egidio da Viterbo in favore dell'Asburgo.
In questo frangente, la parte del C. fu certamente importante, tanto più che a Roma si diffidava del cardinal legato che, tra l'altro, si era gravemente ammalato; sappiamo che nell'aprile del 1519 il C. fu inviato per ordine del pontefice a Montpellier, dove dal febbraio era iniziata una trattativa tra la Spagna e la Francia, che fu interrotta nel maggio in seguito alla morte del primo delegato francese Arthur Gouffier. Nell'estate del 1519, dopo l'elezione di Carlo ad imperatore, tornò in Italia, recando a Roma il capitolato con cui si proponeva da parte imperiale lo scioglimento delle difficoltà riguardanti l'investitura di Carlo al Regno di Napoli. In settembre era a Roma, ma sulla strada del ritorno si era fermato a Mantova, a cui lo legavano vincoli strettissimi e di vecchia data. A Roma tornò al servizio di Giulio de' Medici e s'impegnò nelle trattative tra Leone X e Carlo V per l'investitura del Regno di Napoli.
Nel 1520 il C. fu inviato come commissario pontificio, nelle Marche, e si trovò a reggere la città di Fabriano, dove era stato nominato governatore Giulio de' Medici, in un momento di gravi torbidi. Successivamente, fu inviato da Leone X in Portogallo, presso Emanuele I il Fortunato, e vi si trattenne alcuni mesi, fino al luglio del 1521.
Questa nunziatura è da mettere in relazione con il progetto, che il pontefice accarezzò nel 1520-1521, d'inviare un legato e numerosi missionari presso Dawit II, imperatore d'Etiopia, per diffondere il cattolicesimo. Di questo progetto restano numerose tracce nella corrispondenza del papa con la corte portoghese, che proprio in quegli anni aveva inviato rappresentanti in Etiopia. Il progetto di diffusione del cattolicesimo in Etiopia, per la cui realizzazione Leone X sembra avesse scelto il C., fu troncato dalla morte del pontefice, nel dicembre del 1521.
L'avvento di Adriano VI non significò per il fedele familiare di Giulio de' Medici un allontanamento dalla corte e dalle missioni diplomatiche di rilievo; anzi proprio sotto il nuovo pontefice il C. svolse la sua missione di maggiore importanza e ottenne infine il tanto sospirato seggio vescovile. Egli aveva già conosciuto Adriano di Utrecht personalmente durante la sua nunziatura di Spagna, presso la corte a Saragozza e a Barcellona. Uno dei primi atti compiuti da Adriano VI, pochi giorni dopo il suo arrivo a Roma, fu proprio la nomina del C. al seggio vescovile di Teramo in Abruzzo, vacante da alcuni mesi. In questa circostanza egli ottenne, su dispensa pontificia, contemporaneamente il suddiaconato, il diaconato e il presbiterato, per mano dell'arcivescovo di Cosenza, Giovanni Ruffo. Sebbene la nomina al seggio vescovile risalisse al 7 sett. del 1522, la consacrazione del C. a vescovo avvenne solamente nel 1523 nella chiesa di S. Onofrio, a Roma, sempre per mano del Ruffo.
La politica di Adriano VI era impostata, oltre che sul progetto di riforma della Chiesa, sull'esigenza della repressione della Riforma luterana e della difesa del mondo cristiano dai Turchi, che l'anno precedente, sotto Solimano il Magnifico, avevano espugnato Belgrado e stavano ora minacciando direttamente l'Ungheria. Il C., immediatamente dopo la nomina a vescovo, fu inviato nunzio alla Dieta di Norimberga, convocata in assenza dell'imperatore per il 1º sett. 1522, che il pontefice intendeva utilizzare per l'attuazione del suo progetto di repressione antiluterana e di crociata contro i Turchi.
Mentre il C. percorreva la Germania per recarsi a Norimberga, divampava la guerra dei cavalieri, di cui faceva ampi resoconti a Isabella d'Este. Sembrava che per questo motivo sarebbe stato impossibile riunire la Dieta, ciò che sarebbe riuscito oltremodo sgradito al papa, desideroso di vedere applicato l'editto di Worms contro Lutero. Il C. si adoperò per l'effettiva riunione della Dieta, che si aprì infine il 17 novembre di quell'anno. Già nell'udienza accordatagli subito dopo il suo arrivo a Norimberga, il 28 settembre, dall'arciduca Ferdinando, il nunzio gli aveva comunicato i tre punti principali di discussione che il pontefice intendeva proporre alla Dieta: la questione luterana, il problema turco e la correzione della disciplina ecclesiastica. Inoltre, il C. aveva promesso a nome di Adriano VI che, in futuro, le annate ecclesiastiche non sarebbero state più inviate a Roma, ma sarebbero state impiegate in Germania per la guerra contro i Turchi.
Il nunzio comparve per la prima volta davanti alla Dieta il 19 novembre e limitò il suo discorso al problema della difesa dell'Ungheria, senza toccare questioni religiose ed ecclesiastiche. In un successivo intervento, il 10 dicembre, ritenne di poter affrontare con discrezione il nodo centrale della sua missione, richiamando in nome del pontefice gli Stati alla comprensione dell'estrema pericolosità dell'eresia luterana, e chiedendo l'esecuzione dell'editto di Worms. Di fronte all'atteggiamento dilatorio della Dieta, che dichiarava di voler prendere visione per iscritto delle richieste del papa, e forte dell'appoggio dell'elettore del Brandeburgo, il 3 genn. 1523, in una seduta rimasta famosa, il C. lesse davanti alla Dieta un breve e un'istruzione che gli erano stati inviati in Germania da Adriano VI.
Il breve, datato 25 nov. 1522, lamentava l'inosservanza dell'editto di Worms contro Lutero, l'appoggio datogli dai principi tedeschi, la discordia e la ribellione scatenatesi in Germania nel momento più grave dell'espansione turca. L'istruzione, redatta contemporaneamente al breve, e che il C. lesse nelle stesso tempo pubblicamente, con un gesto certo voluto dal pontefice, ma che non mancherà più tardi di essere imputato al nunzio come iniziativa personale, costituisce un documento fondamentale per la comprensione del pontificato di Adriano VI e delle sue intenzioni riformatrici, in quanto unisce strettamente alle istanze più decisamente riformatrici della corruttela ecclesiastica nel capo e nelle membra un rigido programma di repressione antiluterana, che non lascia la minima possibilità di scendere a patti con l'eresia, in nessun modo legittimata dagli abusi che possono averla generata: è già in pieno il programma della Controriforma, che fa di Adriano VI un pontefice che si avvicina molto più alla figura di un Carafa e di un Ghislieri che a quella di un Farnese e di un Contarini. Oltre a contenere una dura e recisa condanna dell'eresia luterana, infatti, e un richiamo ai principi, che ammoniva perché scorgessero i legami tra la sovversione religiosa e la sovversione politica, quale si stava chiaramente manifestando con il divampare della guerra dei cavalieri, l'istruzione raccomandava al nunzio di confessare liberamente che tale disordine era una punizione divina per le gravissime colpe della Chiesa e dei suoi sacerdoti. Il documento sosteneva che la Chiesa, nel capo come nelle membra, era completamente corrotta, e che solo una sua completa riforma avrebbe potuto salvare il mondo cristiano dall'eresia. Adriano VI prometteva inoltre di astenersi per il futuro dalle deroghe ai concordati conclusi con la Germania, e chiedeva ai principi tedeschi consigli e proposte per debellare il luteranesimo.
Le reazioni della Dieta alla lettura dei documenti fatta dal C. furono assai tiepide: da una parte, le proposte di una severa riforma dei costumi ecclesiastici non erano le più adatte a far breccia sulla parte ecclesiastica della Dieta, cattolica ma estremamente mondanizzata, e inoltre timorosa di una reazione popolare a provvedimenti troppo recisi contro il luteranesimo; dall'altra, il movimento luterano era ormai troppo avanzato perché i suoi fautori si potessero accontentare della promessa di una riforma dei costumi ecclesiastici. Inoltre, il contegno del C., che conformemente alle istruzioni ricevute insisteva nel chiedere la testa dei quattro predicatori luterani di Norimberga, contribuì a rendere impossibile ogni intesa.
Tra i predicatori, che il C. voleva fossero consegnati a Roma, era anche Andrea Osiander, il noto riformatore di Norimberga, che il C. accusò di essere ebreo, accusa formulata sulla base della profonda conoscenza che questi aveva dell'ebraico; l'accusa suscitò violente reazioni contro il nunzio, accusato di menzogna, tra il popolo della città e tra i principi stessi. L'infelice episodio, sfruttato abilmente dal Planitz, rappresentante di Federico di Sassonia, tolse al C. ogni credibilità, e suscitò gravi incidenti che fecero temere per le sua incolumità, al punto che, come scriveva il Pirckheimer ad Erasmo, narrandogli l'episodio (Allen, V, p. 229), era divenuto molto pericoloso anche solo mostrarsi in compagnia del nunzio.
La risposta della Dieta alle richieste formulate dal C. consistette nella proposta della convocazione di un "libero concilio cristiano, in terra tedesca", aperto anche ai laici, che decidesse sul problema luterano e sulle altre questioni rimaste aperte, quali la disciplina ecclesiastica e la guerra contro i Turchi. Nel frattempo, pur affermando di non poter mettere in esecuzione l'editto di Worms, la Dieta prometteva che Lutero avrebbe mantenuto il silenzio e che i predicatori si sarebbero attenuti alla Sacra Scrittura, formula quanto mai ambigua, perché poteva essere intesa così in senso cattolico come in senso luterano. Il C. rispose alla Dieta tentando di attenuarne le deliberazioni e, soprattutto, di svuotare di contenuto la pericolosa richiesta del concilio; tuttavia, il 6 marzo, la Dieta si sciolse senza aver modificato le sue posizioni. La sua risposta definitiva alle proposte di Adriano VI consistette nei famosi Cento gravami della nazione tedesca, inviati a Roma dopo la partenza del Chiericati. Entro il mese di marzo furono stampati a Norimberga il breve pontificio, le istruzioni, le risposte della Dieta, le repliche del nunzio e i Cento gravami, efurono diffusi in tutta la Germania.
La nunziatura del C. rappresentò certamente un grosso fallimento per la politica papale. Infatti, nella seconda Dieta di Norimberga, tenutasi nell'anno successivo, Clemente VII, inviandovi il cardinal Lorenzo Campeggi, gli raccomandò di negare che il C. avesse trasmesso a Roma la risposta della prima Dieta, e di far mostra di non essereaddirittura a conoscenza delle trattative intercorse tra il C. e la Dieta stessa. Nel memoriale che l'Aleandro aveva composto per la missione del Campeggi, inoltre, si censurava l'"errore" del C. alla Dieta di Norimberga, e la sua eccessiva franchezza nel rendere pubbliche le istruzioni ricevute. Sembra certo, in realtà, che tale mossa non sia stata un'iniziativa personale del C., ma un preciso desiderio di Adriano VI.
Lo stesso C., nel descrivere a Isabella d'Este, quando era appena giunto in Germania, la situazione religiosa di quella nazione, aveva ben chiare le difficoltà della sua missione ("Luther ha tante radici qui, che mile homeni non bastaria a sradicarle, non che io, che son solo", le aveva scritto), e la sua intransigenza, tanto incompatibile con la diplomazia, nella questione dei predicatori di Norimberga, corrispondeva ad un preciso giudizio politico, tanto suo ("El nefandissimo Luther, che è assai peggiore pei christiani, chel turco..."), che del pontefice riformatore. Del resto, anche Erasmo, in una lettera scritta da Basilea nel gennaio del 1523, in cui si congratulava con il C. per la sua nomina a vescovo di Teramo, non gli nascondeva le sue preoccupazioni per le gravi difficoltà che avrebbe incontrato a Norimberga. I problemi connessi alla Riforma luterana e al pensiero di Erasmo erano già stati oggetto di una corrispondenza tra il C. ed Erasmo negli anni precedenti. Particolarmente significative due lettere di Erasmo al C. del 1520, cioè del momento in cui l'attacco al pensiero di Lutero stava diventando da parte dei polemisti più arretrati attacco anche all'ideologia erasmiana, e in cui Erasmo sentiva l'esigenza di rassicurare gli ambienti romani sulla sua ortodossia, pur senza prendere impegni precisi in senso antiluterano. Il 15 marzo 1520, Erasmo faceva infatti al C. la promessa, sia pur vaga e non mantenuta, di venire a Roma, mentre lamentava l'aspro attacco mossogli da Edward Lee. Il 20 settembre dello stesso anno gli indirizzava un'altra lettera, scritta lo stesso giorno in cui ne scriveva una analoga a Leone X, in cui difendeva la sua causa contro chi lo accusava di tacita complicità con Lutero, rivendicando il merito di aver servito la gerarchia romana con il suo rifiuto di legarsi al movimento luterano. E mentre lasciava intendere al C. le sue intenzioni di scrivere in un futuro più o meno prossimo contro ogni sedizione religiosa, insisteva nel ricordargli la congiura dei monaci e dei teologi contro i suoi scritti, e l'imprudenza che avrebbe commesso la S. Sede a servirsi di si bassi strumenti nella sua polemica contro l'eresia luterana. In realtà il C. fu per Erasmo non certo un intimo amico, ché tale non poteva essere, dati i suoi stretti legami con i Medici, ma uno dei prelati a cui egli soleva ricorrere nei periodi di maggior crisi nei suoi rapporti con Roma, per rassicurare la Curia sulla sua sostanziale ortodossia. In questo senso ne resta illuminata ulteriormente la funzione del C., direttamente impegnato, come a Norimberga, nell'azione della Curia contro Lutero e, in fondo, contrario ed ogni tendenza autenticamente erasmiana.
Tornato a Roma, il C. restò, dopo la morte di Adriano VI, tra i familiari di Clemente VII e di Paolo III, pur essendo stato ormai completamente estromesso dalle missioni diplomatiche. Nel settembre del 1525 fu incaricato di occuparsi del soggiorno romano dell'inviato russo Dimitri Guerasimov, latore di una proposta di alleanza militare con l'Occidente in funzione antiturca. Il Guerasimov conobbe a Roma il Giovio, e fu dalle sue conversazioni con lui e con il C. che questi trasse l'interesse e il materiale per il suo scritto sulla Moscovia, che pubblicherà nello stesso 1525. Nel 1527, insieme al vescovo di Skara, Francesco da Potentia, tornato dalla Polonia, il C. si recò a ricevere una nuova ambasceria russa e la accompagnò ad Orvieto, dove risiedeva la corte papale dopo il Sacco di Roma. Questi suoi rapporti con inviati russi hanno fatto nascere in alcuni biografi l'equivoco che egli sia stato nunzio in Polonia e in Russia, cosa completamente infondata.
Come vescovo di Teramo, il C. godeva di importanti diritti temporali, era principe di Teramo e conte di Bisegno. Governò la diocesi sempre da lontano per mezzo di vicari, tra i quali, per un lungo periodo, il fratello Ludovico, arcivescovo di Antivari e primate della Serbia. Adempì alla visita pastorale solo nel 1525, approfittando della necessità di sedare dei tumulti contro Alessandro de' Medici, possessore di vasti feudi nella zona. Ebbe prima del 1527 il governo di Viterbo e quello di Bevagna; nel 1528 il governo della provincia di Campagna e di Pontecorvo, che resse per mezzo del fratello Ludovico; nello stesso 1528 resse la provincia del Patrimonio di S. Pietro, come vicelegato, sempre tramite il fratello Ludovico. Infine, nel 1534, fu incaricato da Paolo III del governatorato di Narni, cui delegò il fratello Ludovico, ma nel 1535 si dimise dalla carica per motivi di salute.
Assente da Roma durante il sacco dei Colonnesi, le sue stanze in Vaticano furono saccheggiate, nonostante fosse di provata fede imperiale. Presente invece al Sacco di Roma, si rifugiò a Castel Sant'Angelo al seguito del pontefice. Di là fu inviato presso i principi italiani a raccogliere denaro per il riscatto del pontefice. Durante la malattia di Clemente VII, restò al suo capezzale fino alla morte.
Agli anni intorno al 1536 si riferiscono alcune pungenti lettere del Giovio che ci mostrano il C. prelato di Curia, desideroso di esser nominato cardinale ("... come ogni settimana il Chieregato, l'Ariosto e Tivoli confessavano de insognarsi d'essere in Consistorio", I, 231) e tutto compreso del progetto di concilio a Vicenza ("... e vedremo el nostro Chieregato in sessione orare rotundamente con una mitriona in capo e stare a becco col Aleandro", I, 203).
Nel 1536 il C. si pose al servizio del cardinale Ercole Gonzaga, presso il quale passò gli ultimi tre anni della sua vita. Morì a Bologna, il 5 dic. 1539, mentre vi si trovava di passaggio nel tornare a Mantova.
Ebbe fama di mecenate e di letterato, sebbene non abbia lasciato nessuna opera. Amico del Trissino e di Pietro Accolti, presso il quale si recò più volte ad Ancona, fu amico anche del cardinale Benedetto Accolti; a questo dedicò l'opera che Benedetto Accolti il Vecchio aveva scritto sulle crociate, la cui pubblicazione il C. curò a Venezia nel 1532 (De bello a Christianis contra barbaros gesto pro Christi sepulcro et Iudaea recuperandis).Particolarmente importanti furono i suoi rapporti con la corte dei Gonzaga: mantovano da parte materna, il C. era figlioccio di una duchessa Gonzaga, e mantenne sempre legami strettissimi con la corte mantovana. Fin da quando era segretario dello Schinner aveva offerto i suoi servigi al marchese Gianfrancesco, informandolo minuziosamente di tutto ciò di cui veniva a conoscenza. Nel 1513 il marchese aveva, ad esempio, chiesto la sua intercessione presso lo Schinner perché appoggiasse l'elezione al pontificato del cardinale Raffaele Riario, vecchio amico dei Gonzaga. Durante la sua missione in Spagna, morto il marchese Gianfrancesco, il C. si adoperò per migliorare i rapporti tra il re Carlo e il nuovo marchese Federico Gonzaga, e introdusse alla corte spagnola l'ambasciatore mantovano. Particolarmente legato ad Isabella d'Este, il C. le comunicava dettagliatamente le notizie di cui veniva a conoscenza e le inviava relazioni particolareggiate dei suoi viaggi, descrivendole usi e costumi dei popoli con cui veniva a contatto.
Amante dei viaggi e delle novità, il C. ci ha lasciato numerose testimonianze di questa sua curiosità, oscillante tra lo spirito critico ed indagatore del Rinascimento e un ingenuo entusiasmo per il meraviglioso e il fantastico. Durante il viaggio in Irlanda, descritto in una lettera ad Isabella d'Este, viaggio disagevole, attuato proprio con lo scopo di conoscere quel paese ancora in parte selvaggio, egli volle verificare di persona la leggenda del purgatorio di s. Patrizio: si trattava di una voragine, che secondo tale leggenda avrebbe condotto fino al purgatorio; i pellegrini che vi fossero entrati e vi avessero fatto penitenza non avrebbero più dovuto sottoporsi a penitenza dopo la morte. Sul luogo della voragine era sorta una piccola chiesa, meta di pellegrinaggi. Il C., nonostante la sua curiosità, non volle entrarvi, spaventato dalle fosche leggende che si narravano. Vi entrarono invece due membri del suo seguito; "... la maior penitentia la fu mia, a doversi expectare quasi per dieci iorni, ne li quali ne manchò gran parte de la victuaglia", commentava con irriverenza nella sua relazione (Morsolin, p. 89). Lo scritto si segnala per il suo interesse per i costumi della popolazione irlandese; da ricordare la notazione sul furto, che per gli Irlandesi era considerato un fatto normale: "Dicono, che noi siamo bestiali a far proprietà de beni de la fortuna et che loro vivono naturalmente, che ogni cosa deve andare in comune" (ibid., p. 91). Durante le nunziature in Spagna e in Portogallo, il C. s'interessò vivamente alle scoperte geografiche e alle narrazioni sui nuovi mondi. Del suo seguito alla corte spagnola faceva parte Antonio Pigafetta, suo concittadino, che si trovava con lui a Barcellona, quando ebbe notizia del viaggio di Magellano e decise di parteciparvi. Dopo il suo ritorno, il C. interessava Isabella d'Este alle sue imprese e glielo presentava, dietro sua richiesta, con una lettera del 10 genn. 1523, da Norimberga. Il C. narrava ad Isabella di aver avuto attraverso l'arciduca Ferdinando una copia del diario del Pigafetta e di averlo trovato "cosa divina" e si dilungava nel descrivere gli strani oggetti che il Pigafetta aveva recato dal suo viaggio. Di questo suo interesse per le scoperte geografiche e per i costumi dei popoli dei nuovi mondi testimonia anche il prologo di una novella del Bandello, che ce lo mostra, di ritorno dal Portogallo, narrare ad Ippolita Sforza Bentivoglio, che si era recato a visitare a Pandino, le cose strane e curiose di cui era venuto a conoscenza in Portogallo e dilungarsi sui costumi degli indigeni.
Ad un "diario" del C., da lui letto, fa riferimento Paolo Sarpi nella sua Istoria del Concilio tridentino, nel delineare le direttive della politica di Adriano VI all'inizio del suo pontificato. Il Sarpi considerava questo diario essenziale per la comprensione delle intenzioni riformatrici del pontefice e delle reazioni curiali. L'esistenza di questo diario fu messa in dubbio dal Pallavicino, che afferma di non averne trovato traccia nelle carte della famiglia Chiericati. Ricerche compiute, nel 1630, dal gesuita Terenzio Alciati, che stava raccogliendo il materiale per una storia del concilio di Trento, non dettero già allora alcun risultato.
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vat., Barb. lat. 4907: Notizie della fam. Chieregata, recante una autenticazione notarile, in data 1652, che testimonia la sua derivazione dalle carte della famiglia Chiericati; Ibid., Barb. lat. 4912: Mem. della vita di Francesco Chieregato, cc. 67-75, codice del XVII sec. contenente solo la biografia del C., identica a quella contenuta nel primo codice; P. Giovio, Libellus de legatione Basilii magni... ad Clementem VII..., Romae 1525; S. Giustinian, Four years at the court of Henry VIII. Selection of despatches..., a cura di R. Brown, London 1854, ad Indicem; Letters and Papers foreign and domestic of the Reign of Henry VIII..., a cura di J. S. Brewer, London 1864, II, 1 (1515-1516); 2 (1517-1518), ad Indicem; A. de Reumont, La jeunesse de Catherine de Médicis, Paris 1866, pp. 352 ss.; Calendar of State papers and manuscripts,relating to English affairs... in the archives... of Venice, a cura di R. Brown, II (1509-1519), London 1867, ad Ind.; M. Sanuto, Diarii, XII, XXVI-XXXIII, XLVI, Venezia 1886-1897, ad Indices; Deutsche Reichstagsaktenunter Kaiser Karl V., a cura di A. Wrede, III, Gotha 1901, ad Indicem;Desiderii Erasmi Roterodami Opus epistolarum, a cura di P. S. e di H. M. Allen, III-VI, Oxonii 1913-1926, adIndices; Korrespondenzen und Akten zur Geschichte des Kardinals Matthäus Schiner, a cura di A. Büchi, I, (1489-1515), Basel 1920, pp. 133 s.; M. Bandello, Le novelle, a cura di G. Brognoligo, II, Bari 1928, pp. 19 s.; P. Giovio, Lettere, a cura di G. G. Ferrero, I-II, Roma 1956-58, ad Indices; P.Sforza Pallavicino, Storia del Concilio di Trento, I, Napoli 1850, pp. 217 s., 235-252; B. Morsolin, F. C. vescovo e diplomatico del sec. XVI, Vicenza 1873; N. Palma, Storia ecclesiastica e civile della... città di Teramo e diocesi aprutina, II, Teramo 1891, pp. 354 ss.; III, ibid. 1892, pp. 19 ss.; P. Pierling, L'Italie et la Russie au XVIe siècle..., Paris 1892, pp. 34 ss., 117 ss.; A. da Mosto, Il primo viaggio intorno al globo di Antonio Pigafetta e le sue Regole sull'arte di navigare, in Raccolta di docc. e studi pubbl. dalla R. Comm. Colombiana nel IV cent. della scoperta dell'America, V, 3, Roma 1894, pp. 19 ss.; A. Luzio-R. Renier, La coltura e le relazioni letter. di Isabella d'Este Gonzaga, in Giorn. stor. della lett. ital., XXXVII (1901), pp. 240 ss.; J. P. Mahaffy, Two early tours inIreland, in Hermathena, XL (1914), pp. 1 ss.; P. Sarpi, Istoria del Concilio tridentino, a cura di G. Gambarin, I, Bari 1935, pp. 38-48; H. Jedin, Der Quellenapparat der Konzilgesch. Pallavicinos..., Roma 1940, pp. 60 s.; Id., St. del Conc. di Trento, I, Brescia 1949, ad Ind.;R. Cessi, Martin Lutero, Torino 1954, pp. 172 ss.; A. Renaudet, Erasme et l'Italie, Genève 1954, p. 141; L. von Pastor, Storia dei papi..., IV, 1-2, Roma 1956, ad Indicem; P. Paschini, Tre illustri prelati delRinascimento..., in Lateranum, n. s., XXIII (1957), 1-4, ad Indicem;G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica..., III, Monasterii 1923, p. 112; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., XII, coll. 676-678.