CELEBRANO, Francesco
Nacque a Napoli il 27 marzo 1729 da Nicolò, un sarto di origine barese, e da Antonia Parlato. Avviato presto alla pittura nell'"Accademia" del Solimena, si diede anche allo studio della scultura, molto probabilmente nella bottega dei fratelli Matteo e Felice Bottiglieri, e fu insieme pittore e scultore. Fu più fortunato in questa seconda attività, anche se probabilmente preferiva la prima dal momento che nel firmare il Monumento a Cecco di Sangro nella cappella Sansevero a Napoli, si diceva "pictor neapolitanus"; e, per stare a quanto riferisce Nicola Morelli, un biografo che raccolse notizie di prima mano, dovette esordire come pittore. È datata, del resto, 1753 la sua pala con Cristo Redentore, s. Domenico e s. Tommaso d'Aquino nella chiesa di S. Domenico di Aversa, la più antica tela giunta a noi firmata, cui si avvicinano, per la stessa evidente adesione alla tarda maniera solimenesca dagli accenti neobarocchi, nonostante taluni riecheggiamenti del Bonito, la pala della sagrestia del duomo di Amalfi raffigurante la Madonna col Bambino e santi, le sei lunette con Storie di Cristo del convento di S. Andrea a Nocera Inferiore, già ritenute di Paolo de Falco, e altre tele delle case napoletane dei gesuiti della Casa Professa (due tele con la Madonna e santi) e della Canocchia, dov'era la Comunione degli apostoli, andata perduta, ma della quale resta il bozzetto nella Raccolta d'Arte Pagliara a Napoli stessa. E pur sempre fondata sulla visione solimenesca, ma con una graduale attenuazione della foga compositiva e del contrasto chiaroscurale, cui corrisponde una progressiva acquisizione di tonalità chiare e preziose, è la produzione successiva, che tra il '55 e il '66 annovera via via l'Immacolata e l'Addolorata, firmata, della parrocchiale di S. Salvatore Telesino, la Madonna del suffragio ed ancora un'Addolorata di S. Maria del Pianto a Torre del Greco.
Ma fin dall'inizio il C. dovette dedicarsi anche alla scultura.
Sappiamo - e la cosa è prova della raggiunta notorietà - che nel 1757 egli fu tra gli scultori napoletani e romani invitati a presentare bozzetti, per il monumento equestre di Carlo di Borbone che la città di Napoli voleva erigere in onore del sovrano nel "Braccio interiore del porto" e che il 27 luglio 1758 gli fu pagato un indennizzo per il bozzetto per la statua che fu poi destinata al Foro Carolino (venne scelto il modello di Tommaso Solari: lett. di L. Vanvitelli del 18 luglio 1762, in Strazzullo, n. 977). Inoltre qualche studioso ritiene dello stesso periodo o di poco dopo alcune figure di presepe: Rustico e Vecchio borghese della collezione napoletana di Enzo Catello, Giovane suonatore di mandolino della collezione Elio Catello, Donna orientale della collezione Ausilio, e Sciancato della collezione Vincenzo Catello sempre di Napoli. È certo, invece, che tra il 1766 e il 1768 eseguì le parti a lui affidate della fastosa e bizzarra decorazione della cappella Sansevero voluta al posto di quella primitiva dal principe Raimondo di Sangro, un gentiluomo colto ed estroso, che del luogo di sepoltura della famiglia, attuandovi con un complesso di riferimenti e di simboli la celebrazione di essa, fece a Napoli il centro più rappresentativo del gusto e dell'arte del tempo (Picone, 1959).
Chiamato dopo il brusco licenziamento del genovese Francesco Queirolo, che era succeduto insieme con il napoletano Sammartino ad Antonio Corradini, lo scultore veneto che aveva chiuso a Napoli con bravura la sua lunga carriera, il C., affiancato a Paolo Persico pure napoletano, portò a termine il grandioso programma del committente. Sulla porta principale eseguì il Monumento a Cecco di Sangro (firm. e dat. 1766), in cui, prendendo forse lo spunto da un'idea del Queirolo, evocò con vacua teatralità il gesto eroico del capitano, che, uscito con la spada in pugno dalla cassa in cui era giaciuto due giorni ferito, era corso a sconfiggere i nemici. L'anno seguente eresse il Monumento in memoria di Geronima Loffredo, la consorte del principe Paolo, dove, traducendo faticosamente un bozzetto del Queirolo, raffigurò il Dominio di se stesso. E mentre è dubbio che poco dopo, di fronte a quest'ultimo, realizzasse lo Zelo della religione, ilmonumento alle due mogli del primo fondatore della cappella, Ippolita del Carretto e Adriana Carafa della Spina, in quanto in questo ben più alti sono i raggiungimenti formali, nel 1768 eseguì la grande pala marmorea dell'altare con la Deposizione. Qui,però, il C., sebbene ancora una volta obbligato a seguire un piano compositivo preordinato, si trovò dinanzi ad un tema congeniale, anche perché strettamente legato alla sentita tradizione pittorica locale, ed allora, superato lo schematismo classicheggiante dei modelli che aveva dovuto fin a quel momento seguire e affrancatosi da certe esuberanze, giunse ad improntare di un vivo patetismo la composizione armonica nel fluire delle linee, che si leva dalla massa rocciosa cosparsa di macchie di verde e animata da angioletti entro la quale è inglobato l'altare.
In diretta dipendenza da questa pala, che segna certamente il massimo raggiungimento del C., sono quindi gli altri due gruppi statuari eseguiti dall'artista per la cappella Sansevero, dove ai lati dell'ingresso fanno anche da acquasantiere: i Monumenti a Giovan Francesco Paolo, e a Giovan Francesco di Sangro, i quali, sebbene rechino epigrafi con date anteriori, rispettivamente del 1752 e del 1756,sono certamente di questo momento finale dell'attività svolta con onore dal C. nel famoso complesso napoletano.
Nella vasta produzione monumentale del C., va pure annoverata ancora la statua rappresentante S. Gennaro che ferma la lava del Vesuvio, scolpita su suo modello ed eretta nel 1777 (Chiarini, in Celano) al ponte della Maddalena; in essa poi rientrano, anche se non ci sono pervenute, le statue in stucco della facciata della chiesa di S. Maria a Cappellanuova di cui parla il Morelli, mentre non è possibile includere in essa i sei medaglioni pure in stucco con i Dottori della Chiesa che ornano la porta d'ingresso ed i cappelloni del transetto della chiesa dello Spirito Santo che il Dalbono gli assegna; accanto a questa produzione, cui si connette pure la terracotta raffigurante l'Addolorata, della collezione Martinelli di Roma, perché bozzetto di una statua che peraltro non sappiamo se fu eseguita, il C. curò con grande impegno anche la plastica minore, e di essa soprattutto quella destinata al presepe. In questa l'artista acquistò effettivamente un posto di spicco per l'immediatezza espressiva di cui fu capace nella resa dei personaggi che, colti dal vero - taluni erano anche ritratti di committenti - dovevano animare le scene dei presepi che erano sempre angoli e strade di Napoli, fondachi, cortili, taverne o anche campagne dei dintorni.
Esemplari sicuramente suoi, ne abbiamo parecchi, ma particolarmente indicativi sono il Vecchio di carattere, firmato e databile al 1769, del Bayerisches Nationalmuseum di Monaco, la tarda Vecchia procidana del Museo nazionale di S. Martino di Napoli e, tra i due, conservati sempre a Napoli, Verdummaro nella collezione di Anna Catello de Vita, Vecchia contadina nella collezione Cuocolo, Giocatore di "croquet" nellacollezione Accardi, Rustico e Oste nella collezione Pucci, Cacciatore nella collezione Mancini, Pescatore e Giovane pastore nella collezione Perrone ed ancora Cieco e Mendicante storpio nella collezione di Enzo Catello, Coppia di vecchi in quella di Elio Catello e Venditore di ricotta nell'altra di Renato Catello, due figure di Vecchi e un Suonatore d'arpa nel "presepe Cucinello" del Museo di S. Martino.
Tuttavia per la terracotta dipinta non destinata al presepe, non essendo pervenuti i sette mezzi busti di Filosofi (regalati dal re al conte di Lemberg, il 7 marzo 1782, insieme con "due modelli di vasi antichi" in porcellana: Minieri Riccio, p. 379), modellati per volere della regina Maria Carolina, ed essendo andati dispersi i due busti virili presentati alla Mostra storica dell'arte napoletana del 1877 (Catello, p. 66), si può citare solo il S. Francesco di Paola in gloria del duomo di Vico Equense. È, però, documento interessante di un'attività che dovette influire non poco nell'incarico, affidatogli nel 1771 da Ferdinando IV, di organizzare la manifattura di porcellana di Portici, che nelle intenzioni del sovrano doveva sostituirequella di Capodimonte fondata dal padre Carlo e da questo trasferita in Spagna, allorché passò sul trono di Madrid.
In effetti il C., che già dal 1766 era stabilmente al servizio del re e che due anni dopo, in occasione delle nozze del sovrano, aveva progettato carri allegorici, nel 1770, al ritiro di Francesco De Mura dalla direzione, tenuta insieme con Giuseppe Bonito, della Reale Accademia, aveva chiesto, ma invano, di sostituirlo. La richiesta era fondata anche sulla sua attività di pittore, della quale, peraltro, fino alla fine del secolo resta una discreta documentazione.
Difatti del 1770 circa - e comunque posteriore alle splendide Allegorie delle stagioni ed alla luminosa Aurora, affrescate in due saloni del palazzo di Sangro presumibilmente tra il 1766 e il 1768 - è il bozzetto raffigurante l'Olocausto del profeta Elia, della Galleria nazionale di Capodimonte, in deposito nel Museo del Sannio di Benevento, forse l'opera più significativa di una pittura che ora riecheggia quella del Solimena attraverso l'interpretazione del De Mura e che risente anche di accenti romani colti forse direttamente dall'artista in occasione di un viaggio a Roma, (Morelli, 1822), dove inoltre ha visto quanto vi ha lasciato C. Giaquinto, il maestro che, tornato a Napoli dalla Spagna nel 1761, aveva intanto richiamato la sua attenzione, volgendolo ad un cromatismo più chiaro e luminoso. Sta di fatto che, come confermano due suoi disegni della raccolta della Società napoletana di storia patria, il C. nell'eseguire nel 1773 l'Assunta per la chiesa dello Spirito Santo a Napoli muove da quella dipinta nel 1739 dal Giaquinto per la parrocchiale di Rocca di Papa, presso Roma. Degli anni immediatamente precedenti, caratterizzati tutti da preziosità cromatiche e luministiche, sono ancora il bozzetto con l'Apoteosidi Ferdinando IV bambino della collezione Leonetti a Napoli, la tela con Rebecca ed Eleazaro della Galleria di Capodimonte, ma in deposito nel palazzo di Montecitorio a Roma, quattro deliziose "grisailles" con Diana ed Endimione, Diana e Atteone, l'Allegoria delle stagioni e l'Allegoriadelle parti del mondo del Musée des Beaux-Arts di Caen, un'altra "grisaille" della collezione John Harris di Londra e la tela raffigurante la Madonna col Bambino del convento dei cappuccini di Arienzo in Terra di Lavoro. Posteriori all'Assunta della chiesa dello Spirito Santo di Napoli, dove peraltro si avverte già l'influenza del nuovo orientamento classicistico, devono essere le tele del Museo di S. Martino a Napoli e del Prado a Madrid, raffiguranti rispettivamente Ferdinando IV a caccia e Maria Carolina che, con le dame, assiste alla caccia, e ancora quattro "pannelli" su tela con scene di vita campestre allusive alle stagioni, conservati nella reggia di Napoli e provenienti da una residenza reale. Ed è per questo che con buon fondamento è stato ritenuto che sia i "pannelli", sia le altre due tele sono le allegorie delle stagioni e le "cacce" che il Morelli, nel 1822 (ma evidentemente riferendo notizie raccolte in questo caso di seconda mano perché parla di affreschi), ricorda come opere del C. rispettivamente nel Casino Reale di Persano e nel Casino di Venafro (Spinosa, 1979).
Restituita ultimamente a Giuseppe Ghezzi la Pentecoste del Museo Correale di Sorrento, che era stata erroneamente ritenuta del C., restano di questo, posteriori al 1780, la Pietà della collezione Pisani a Napoli e le tele che si trovano nella chiesa di S. Maria delle Grazie di Cerreto Sannita: la Visitazione, Tobiolo e l'angelo, l'Estasi di s. Filippo Neri, La presentazione di Maria al tempio, L'apoteosi di una santa martire, S. Chiara. In queste ultime, però, si avvertono un fare più misurato ed un cromatismo meno squillante e prezioso, che preludono alla compassata accademia della Pentecoste della chiesa dello Spirito Santo di Scilla, in Calabria, firmata e datata 1799. Si adeguava, così, in maniera impari ai modi nuovi, il maestro che peraltro nella piccola plastica in porcellana non aveva saputo recepirli.
Difatti egli che, dopo aver curato l'assetto del settore artistico della fabbrica, nel 1772 era stato nominato direttore dei modellatori e dei pittori, nella nuova produzione continuò a rifarsi ai modi tardobarocchi della sua scultura monumentale (come mostrano le statuine di S. Antonio abate e di S. Pietro del Museo Duca di Martina alla Floridiana e il gruppo con Olindo e Sofronia della collezione Canetti anche essa di Napoli) e insieme insistette nei modi pronunziatamente naturalistici della plastica presepiale per le statuine ispirate alla vita quotidiana, come appare, a non voler considerare quelle della coll. De Ciccio nel Museo di Capodimonte a Napoli, in quelle raffiguranti, tra l'altro, Scena galante, Sosta in villa, Gruppo familiare, tradizionalmente attribuitegli ma di recente assegnate, per motivi cronologici soprattutto, a Giovan Battista Polidoro (Carola Perrotti, 1979), nella Dichiarazione del Museo Duca di Martina.
Per questo motivo la manifattura non riusciva a tenere il passo con le altre e, per conseguenza, assuntane la direzione generale il cortonese Domenico Venuti che, partecipe della nuova cultura, voleva affermare le forme neoclassiche, il C. all'inizio del 1781 fu allontanato dalla direzione artistica e il 14 marzo sostituito dal romano Filippo Tagliolini, fatto venire dalla fabbrica imperiale di Vienna. Ma è documentato che continuò a modellare statuine, tra le quali gli sono state attribuite la Pace e la Guerra di raccolta privata napoletana e i gruppi di soggetto agreste del Museo Duca di Martina e del Museo di Palazzo Venezia a Roma.
Ad ogni modo non venivano disconosciuti al C. i meriti acquisiti nel corso di una lunga e molteplice attività: perciò egli continuava ad essere pittore di camera del re e maestro del duca di Calabria e degli altri principi reali. Così seguì le sorti della corte quando, a seguito dei moti rivoluzionari, il 23 dic. 1798 Ferdinando IV passò a Palermo. Egli tuttavia partì in un secondo momento e, ristabilito il potere borbonico, tornò nella capitale al seguito del principe ereditario Francesco il 31 genn. 1801. Riprese quindi la sua attività e l'insegnamento del disegno presso l'Accademia militare, ma quando nel 1806, per la conquista del Regno da parte dei Francesi, il sovrano fu costretto a fuggire di nuovo, il C., ormai vecchio e quasi cieco, non poté seguirlo, e rimase a Napoli, dove si spense il 22 giugno 1814.
Fonti e Bibl.: C. Celano, Notizie del bello... della città di Napoli [1692], con aggiunzioni di G. B. Chiarini [1856-1860], Napoli 1970, ad Indicem; Napoli, Bibl. dei Gerolamini, ms.; pil. V, n. XII: P. Napoli Signorelli, Regno di Ferdinando IV, cap. VI (la breve nota sul C. pittore è stata pubblicata in Gli artisti napol. della seconda metà del sec. XVIII, a cura di N. Cortese-G. Ceci, in Napoli nobilissima, n. s., III [1923], p. 27; quella più ampia sullo scultore è rimasta inedita); N. Morelli, F. C., in Biografie degli uomini illustri del Regno di Napoli, IX,Napoli 1822, s. v.; C. T. Dalbono, Storia della pittura in Napoli e in Sicilia dalla fine del 1600 a noi, Napoli 1860, p. 127; C. Minieri Riccio, La Fabbrica dellaporcellana in Napoli e sue vicende, in Atti dell'Acc. Pontaniana, Napoli 1880, passim; R. Berliner, Denkmäler der Krippenkunst, Augsburg 1926, tavv. XI5 (1, 3); XIV,5 (2); C. Lorenzetti, L'Accad. di Belle Arti di Napoli (1752-1952), Firenze 1952, pp. 38, 40, 191, 292; R. Berliner, Die Weihnachtskrippe, München 1955, figg. 45, 49; E. Romano, La porcellana di Capodimonte, Napoli 1959, pp. 46, 116, 127 s., 145 s., 158. 187-189; M. Picone, La cappella Sansevero, Napoli 1959, ad Indicem; G. Morazzoni-S. Levy, Le porcellane ital.,Milano 1960, p. 118; U. Prota Giurleo, Notizie ined. su alcuni pittori napoletani del '700, in Partenope, II(1961), 1, p. 44; Il presepe Cuciniello. Mostra di "pastori" restaurati (catal.), Napoli 1966, pp. 18, 28 s., 37, 52 s., ss; O. Ferrari, Porcellane italiane del Settecento, Milano 1966, pp. 61 s., 156; F. Mancini, Feste ed apparati civili e relig. in Napoli dal Viceregno alla capitale, Napoli 1968, p. 60; E. Catello, F. C. e l'arte nel presepe napoletano del '700, Napoli 1969; G. Borrelli, Il presepe napoletano, Roma 1970, ad Indicem (con accurato rep. bibl.); T. Fittipaldi, Il presepe napoletano del Settecento, in Arte cristiana, LIX (1971), pp. 314 s.; V. Pacelli, Contrib. a F. C. pittore, in Studi di storia dell'arte in on. di V. Mariani,Napoli 1971, pp. 259-269, tavv. CXXXVICXLI; R. Mormone, in Storia di Napoli, VIII, Napoli 1971, pp. 553, 572 s.; M.Picone Causa, Disegni della Società napoletana di storia patria, Napoli 1974, pp. 26 s., figg.170 s.; F. Strazzullo, Le lettere di Luigi Vanvitelli della Biblioteca Palatina di Caserta, III,Galatina 1970, pp. 626, 734; J. Urrea Fernandez, La pintura italiana del siglo XVIII en España, Valladolid 1977, pp. 323 s.; A. Carola Perrotti, La porcellana della Real Fabbrica Ferdinandea (1771-1806), Napoli 1978, ad Indicem; Le arti figurative a Napoli nel Settecento. Documenti e ricerche, Napoli 1979, pp. 35, 167, 168, 169, 202, 273; N. Spinosa, F. C., in Civiltà del Settecento a Napoli. 1734-1806 (catalogo), Firenze 1979; N. Spinosa, Aggiunte e precisazioni su F. C. pittore, in Studi in memoria di O. Morisani, Catania 1979; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 263.