CEGIA (Del Cegia, Cegi, il Cegino), Francesco
Nacque a Firenze il 14 maggio 1460 da Agostino di Domenico e da Lena (Maddalena) Nuti. Negli anni intorno al 1460 la sua famiglia si avviava verso un sensibile miglioramento delle proprie condizioni sociali ed economiche: il nonno del C. era stato un vaiaio (un commerciante di pellicce), proprietario di un modesto patrimonio; il padre, Agostino, anch'egli vaiaio, gestì con più fortuna i suoi affari in società con il fratello Filippo e con altri, riuscì ad avere cariche pubbliche importanti e seppe guadagnarsi, con vantaggi anche economici, il favore e la protezione di Lorenzo il Magnifico. Oltre al C., ebbe altri due figli, Soldo e Caterina, e con lui la famiglia si avvicinò al ceto nobiliare e iniziò durevoli rapporti con i Medici. Morì probabilmente verso il 1482.
Capitano della Lunigiana nel 1469, membro della Signoria fiorentina nel 1474 e dei Dodici buonomini nel 1481, intorno al 1470 Agostino entrò al servizio di Lorenzo, che lo considerò un fidatissimo collaboratore, lo incaricò di occuparsi della amministrazione del suo patrimonio e mantenne con lui contatti improntati a una notevole confidenza, nonostante la diversità delle loro posizioni sociali. Il figlio maggiore di Agostino, Soldo, fu membro della Signoria nel 1486, pennoniere nel 1481 e nel 1484, dei Sedici gonfalonieri nel 1488 e dei Dodici buonomini nel 1493. I Cegia vennero così a far parte del gruppo sociale abilitato alle più importanti cariche cittadine e raggiunsero la condizione di quei mercanti che, pur senza avere concreta influenza negli affari politici, occupavano una posizione abbastanza elevata e godevano di un considerevole prestigio. L'aver ricoperto alte cariche della Repubblica permise poi alla loro famiglia di far entrare due suoi membri, Soldo ed il C., nel Consiglio maggior e creato nel gennaio 1495. Quando divenne un amministratore di Lorenzo, Agostino non abbandonò i suoi affari mercantili: e infatti nella dichiarazione per il catasto del 1480 scriveva di essere al servizio dei Medici, ma parlava anche della bottega di vaiaio che gestiva in società con un altro mercante, dimostrando così di essere rimasto in una posizione di relativa autonomia e di non aver assunto il ruolo di un impiegato postosi al di fuori dei traffici commerciali. Molti indizi, e in particolare la sua corrispondenza con Lorenzo, fanno pensare che fosse uomo assai abile e di qualità non comuni.
Degli studi del C. (generalmente noto come il Gegino) non sappiamo nulla: ma dobbiamo, pensare che la sua educazione fosse quella che solitamente si dava allora ai giovani fiorentini avviati al commercio. Era già al servizio di Lorenzo, a fianco del padre, nel 1480, dopo aver sicuramente fatto il suo apprendistato nella bottega del padre stesso o di altri per abituarsi alla pratica mercantile. Dopo la morte del padre, avvenuta probabilmente verso il 1482, dovette prenderne il posto e si trovò ad assumere maggiori responsabilità, riuscendo a ben figurare e a entrare in ottimi rapporti con i Medici, in casa dei quali ebbe anche la sua residenza, almeno per un certo periodo. Bene accetto alla madre (Lucrezia Tornabuoni) e alla moglie (Clarice Orsini) di Lorenzo, poté trovarsi a suo agio in una posizione per la quale fin dall'inizio lo rendevano probabilmente adatto le sue doti di carattere e l'educazione ricevuta. Dal 1483 al 1487 fu incaricato di tenere i conti del canonicato che l'ancor fanciullo Giovanni de' Medici - il futuro Leone X - aveva nella cattedrale di Firenze e più tardi, o già in quegli stessi anni, si occupò dei beni che i Medici possedevano presso Pisa. In quest'ultima città era nel 1492 e nel 1493, e probabilmente vi soggiornò a lungo, con intervalli passati a Firenze in epoche varie e sicuramente nell'estate del 1494. Intorno al 1492 dovette sposarsi con Maria di Benedetto Bonsi, che gli portò una dote ragguardevole (1.100 fiorini) e dalla quale gli nacquero due figli: Lorenzo, il 27 gennaio 1494, e Girolamo, il 27 sett. 1495.
Presso i Medici il C. aveva un incarico stabile, con un regolare compenso per il suo lavoro di amministratore, ma, come già era avvenuto per il padre, ciò non gli fece abbandonare le sue private attività commerciali, che continuò a esercitare per tutto questo periodo insieme con il fratello Soldo, con il quale mantenne indiviso il patrimonio familiare fino agli ultimi anni della sua vita. Probabilmente, dato il loro buon accordo, i due fratelli si aiutarono a vicenda, dedicandosi a compiti diversi: e mentre Soldo seguì gli affari commerciali, il C. si applicò al suo servizio nella amministrazione privata dei Medici con vantaggio di tutta la famiglia. E così i due nel giro di pochi anni, favoriti dalla protezione medicea, ebbero modo di fare buoni guadagni e di accrescere il loro patrimonio. Già il padre doveva essere stato molto aiutato da Lorenzo, come riconosceva egli stesso nel 1480: aveva conservato e migliorato i beni ereditari, nel 1472 aveva acquistato per abitarvi una casa nella via Larga - la più bella strada che avesse allora Firenze -,e per vari anni aveva tenuto in affitto in Mugello, probabilmente a condizioni vantaggiose, alcune terre di proprietà dell'arcivescovado fiorentino (retto fino dal 1474 da un cognato di Lorenzo, Rinaldo Orsini). Altre terre appartenenti all'arcivescovado ottennero allo stesso titolo il C. e il fratello nel 1488 e nel 1492; ed è significativo il fatto che nella conclusione di questi affari fossero aiutati anche da un prestito di 100 fiorini che Clarice Orsini fece loro appunto nel 1488. Con Soldo e con un altro mercante il C. ebbe poi una società per l'esercizio dell'arte della lana, in un'impresa che doveva essere piuttosto redditizia se fruttò solo a lui, nel 1492, un guadagno di 1.800 fiorini. Un segno della accresciuta agiatezza dei due fratelli è anche l'acquisto che essi fecero, nel gennaio 1494, di una seconda casa nella via Larga per uso delle loro famiglie.
Gli avvenianenti del 9 nov. 1494 e la caduta del regime mediceo provocarono un brusco cambiamento nella vita del C. e segnarono per lui l'inizio di un periodo di difficoltà e di persecuzioni. Solo l'intervento di Francesco Valori - che, sebbene avversario dei Medici, lo protesse per spirito di umanità - impedì che il popolo saccheggiasse la sua casa lo stesso 9 novembre. Visto il pericolo, per alcuni giorni egli restò nascosto presso amici e poi, costretto a presentarsi alla Signoria sotto minaccia di morte, passò dieci giorni in carcere con "grandissime paure". Fu liberato per l'intervento di Carlo VIII, che era allora a Firenze. Nei mesi successivi venne probabilmente lasciato tranquillo, e non appena la situazione generale glielo permise dovette cominciare a interessarsi attivamente del patrimonio dei Medici, confiscato dallo Stato fiorentino e posto sotto l'amministrazione degli Ufficiali dei ribelli dopo che Piero e i suoi fratelli avevano violato la condanna al confino pronunciata contro di loro il 9 novembre. Nonostante i precedenti che lo rendevano sospetto al nuovo regime, gli Ufficiali dei ribelli incaricarono il C. di occuparsi dei beni medicei e gli assegnarono per questo lavoro un salario di 100 fiorini l'anno: sicché egli venne a trovarsi in una condizione che gli permetteva di esercitare la sua attività in armonia con le disposizioni del governo. Ma il suo attaccamento ai Medici, come i fatti poi dovevano dimostrare, era tale da fargli dimenticare la prudenza che in quei momenti sarebbe stata necessaria. È probabile che abbia cominciato a lavorare per gli Ufficiali dei ribelli nel marzo 1495, quando il governo fiorentino stava per approvare la cosiddetta legge del perdono (18-19 marzo), che liberava da minacce di persecuzioni e di processi i filomedicei come lui. L'atmosfera meno tesa che si instaurò a Firenze in quel periodo dovette comunque indurlo a muoversi con maggiore libertà nella sua azione rivolta a salvare dalla dispersione almeno una parte dei beni medicei.
Il 13 marzo cominciò ad annotare le operazioni che riguardavano appunto il patrimonio mediceo in un Libretto segreto ... di debitori e creditori e richordi sul quale continuò a fare le sue registrazioni fino al febbraio 1497. Il registro del C. è un libro di conti tenuto secondo l'uso mercantile del tempo e sul quale sono riportate note in parte già segnate in altri libri di amministrazione. A queste note riservate, relative a operazioni che gli stavano particolarmente a cuore, il C. aggiunse dati e ricordi con ogni probabilità non compresi nelle precedenti registrazioni, al fine di esporre in modo abbastanza dettagliato il susseguirsi delle pratiche che egli curava per gioielli, opere d'arte e oggetti vari dei Medici, cui faceva arrivare denaro e altro direttamente o per tramite di banchieri come i Buonvisi di Lucca. Tutte queste annotazioni ci recano la testimonianza di un vasto giro di interventi svolti a favore degli eredi di Lorenzo il Magnifico con la collaborazione di personaggi (Lucrezia Salviati Medici, Lorenzo Tornabuoni, Giovanni Cambi, Domenico Alamanni, fra' Mariano da Genazzano e figure di minor conto) che risultarono quasi tutti coinvolti nelle macchinazioni filomedicee dell'aprile 1497. Dal Libretto segreto del C. si hanno dati piuttosto interessanti sulla sorte che in quegli anni ebbero gioielli, medaglie e pezzi di valore di proprietà dei Medici; e nelle annotazioni di lui si trovano anche elementi per valutare la fondatezza di certe accuse mosse nel processo dell'agosto 1497 contro Bernardo Del Nero e gli altri nobili fiorentini che secondo il governo avrebbero favorito il ritorno di Piero de' Medici.
Ma le testimonianze più interessanti di questo registro riguardano forse la posizione generale dei seguaci dei Medici, i loro reciproci legami, l'influenza che dovevano continuare ad avere nell'ambiente politico fiorentino e l'azione che svolgevano per aiutare i loro protettori esuli in quei difficili momenti. Dalle notizie che dà il C., si ha l'impressione che il gruppo dei medicei si muovesse con discreta libertà ed avesse ancora, nonostante i tempi avversi, aderenze e peso politico maggiori di quanto non risulti dai dibattiti che ebbero per principali e dichiarati protagonisti i savonaroliani e i loro avversari. Interessanti sono poi anche i dati biografici che il C. riportava in queste note sui suoi affari precedenti all'anno 1494, sugli arresti subiti e sulla sua dipendenza, come stipendiato, dagli Ufficiali dei ribelli, con i quali un fervente mediceo come lui ebbe rapporti che fanno pensare appunto al persistente potere - senza dubbio reso più forte dalla amnistia del marzo 1495 - dei partigiani del regime caduto nel novembre 1494. Fra i seguaci dei Medici egli non poté avere una posizione politica di rilievo, per la relativa modestia della sua origine e delle sue precedenti esperienze, ma dovette sicuramente essere a conoscenza dei disegni e dei propositi degli influenti personaggi con i quali intrattenne lunghi e confidenziali rapporti.
L'attività del C. non era naturalmente senza rischi, nonostante lo scarso rigore manifestato, per lo meno in alcuni periodi, dagli organi che dovevano far osservare le leggi del regime "popolare" fiorentino, e nell'agosto 1496 egli incorse in un incidente piuttosto grave appunto per i suoi contatti con i Medici. Fu sequestrata una sua lettera al cardinale Giovanni piena di compromettenti espressioni di fedeltà, e il 18 agosto egli venne arrestato per ordine degli Otto di guardia. Rinchiuso nella prigione del capitano del popolo, vi fu trattenuto per cinque giorni e a più riprese interrogato e torturato; ma seppe resistere e non rivelò particolari compromettenti per sé o per i suoi amici. In carcere scrisse, per ordine degli Otto, un memoriale - oggi perduto - sugli avvenimenti fiorentini seguiti al 9 nov. 1494. Non essendo risultato nelle sue deposizioni nulla di molto importante, il 23 lo scarcerarono dopo averlo condannato a una multa di 200 fiorini e al confino per un anno nel territorio fra le mura cittadine e le venti miglia e per tre anni in Firenze. Per questa condanna lasciò Firenze il 24 agosto, ma poi gli Ufficiali dei ribelli lo richiamarono per impiegarlo in affari di servizio.
Spinto dal suo grande affetto per i Medici, e anche perché doveva essere uomo di forte carattere, il C. non si spaventò troppo per questa ammonitrice esperienza e continuò in quella sua precedente attività che, dati i tempi, si faceva sempre più pericolosa. E forse prevedendo i drammatici eventi che seguirono, il 4 maggio 1497, poco dopo il fallito tentativo di Piero de' Medici di rientrare in Firenze (28 aprile), il C. divise i propri beni da quelli del fratello Soldo, ad evitare complicazioni che avrebbero danneggiato i suoi figli e il fratello stesso. Questa divisione si rivelò provvidenziale: a distanza di qualche mese sopravvenne infatti per lui il tragico epilogo del suo servizio di quegli anni. Il 4 agosto il mediceo Lamberto Dell'Antella fu arrestato nei pressi di Firenze e nei giorni successivi fece le note rivelazioni che portarono al processo e alla condanna a morte (eseguita nella notte del 21) del Del Nero e dei suoi compagni di sventura, accusati di aver ordito o non denunciato, nell'aprile, una congiura per far tornare il Medici. Il Dell'Antella non denunciò il C. che, ancora in libertà per qualche tempo, pensò a fuggire, ma ne fu trattenuto dal timore delle gravi conseguenze cui sarebbe andato incontro lasciando Firenze in quelle circostanze e dalla speranza che il Del Nero e gli altri non parlassero di lui. Invece durante gli interrogatori qualcuno dei prigionieri fece il suo nome e anch'egli fu arrestato - probabilmente prima o poco dopo il 21 agosto - e sottoposto, a un lungo procedimento inquisitorio. In una serie di interrogatori condotti con largo uso della tortura e in una deposizione scritta - andata perduta - che fece per ordine degli Otto, confessò di aver tenuto corrispondenza con i Medici e di non aver rivelato, pur essendone a conoscenza, la congiura filomedicea dell'aprile. Il trattamento che gli usarono fu particolarmente impietoso, perché, volendo avere da lui tutte le notizie possibili sugli affari e le relazioni dei Medici, lo trattennero a lungo in carcere, lo condannarono a morte il 14 novembre e lo lasciarono in vita ancora per alcune settimane per interrogarlo e torturarlo di nuovo. Il 21 novembre, ormai certo della fine, scrisse per il cardinale Giovanni un lungo e dettagliato memoriale dove, con una singolare fermezza d'animo e con la diligenza di uno scrupoloso amministratore, gli raccomandava di adoperarsi con il fratello Soldo per pagare alcuni suoi debiti e per sistemare alcune partite che non aveva avuto modo di chiudere personalmente (in Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 2, filza 228, ins. 7, cc. 1-6).
Fu decapitato nel palazzo del capitano del popolo di Firenze il 16 dic. 1497.
Il Libretto segreto... di debitori e creditori e richordi… di Francesco d'Aghostino Cegia (13 marzo 1495-1º febbr. 1497) è conservato in Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 2, reg. 25.
Alcuni passi del Libretto segreto del C. furono pubblicati da U. Dorini, Le disgrazie di un nemico del Savonarola, in Riv. stor. degli arch. toscani, I (1929), pp. 186-198; l'edizione completa ne fu poi data da G. Pampaloni, I ricordi segreti del mediceo Francesco di Agostino Cegia (1495-1497), in Arch. stor. ital.,CXV (1957), pp. 196-234.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Capitani e magistrato del Bigallo, 1738; 1750, ins. 28, c. 7; ins. 39; ins. 40, c. 2r; ins. 53; Ibid., Camera del Comune, 20: Notaio del Comune, Campione rosso per l'uscita generale, c. 38; Ibid., Carte Strozziane, s. 2, reg. 25: Libretto segreto ... di debitori e creditori e richordi... di Francesco d'Aghostino Cegia (13 marzo 1495-1º febbr. 1497); filza 228, ins. 7, cc. 1-6: Memoriale scritto dal C. il 21 nov. 1497; Ibid., Catasto, 68, c. 209v; 1012/I, c. 60; Ibid., Decima repubblicana, 25, cc. 383r-387r; Ibid., Mediceo avanti il principato, XVII, n. 689; XIX, n. 30; XX, n. 182; XXVIII, nn. 449, 451, 458, 591, 708; XXXIII, nn. 148, 654; 524, 653, 685, 777; LX, nn. 154, 307, 315, 654; LXVIII, nn. 203, 287; LXXII, n. 110; LXXX, n. 102; LXXXV, nn. 251, 254, 256; Ibid., Nobiltà e cittadinanza, Libri delle consorterie, Quartiere di S. Maria Novella, I,c. 80v; Ibid., Notarile antecosimiano, P33, cc. 30, 152; Ibid., Raccolta Sebregondi, 1481; Ibid., Tratte, 12, c. 165v; 40, c. 188; Firenze, Bibl. nazionale, Carte Passerini, 37: Necrol. delle famiglie statuali fiorentine, sub voce Del Cegia; 39: G. Cambi Importuni, Cittadini abili al Consiglio generale della Repubblica principiato l'anno 1495; Ibid., Fondo Magl., XXVI, 141, c. 315; Ibid., Fondo Nazionale,II. IV. 170: P. Parenti, Storia fiorentina, c. 19v; Protocolli del carteggio di Lorenzo il magnifico…, a c. di M. Del Piazzo, Firenze 1956, pp. 381, 403. Documenti e notizie sul C. e sulla sua famiglia sono in Delizie degli eruditi toscani, IX (1777), pp. 361 s.; G. Cambi, Istorie, ibid., XX(1785), p. 417; XXI (1785), p. 35; XXII (1786) pp. 97, 231, 312; F. De' Nerli, Commentari dei fatti civili occorsi dentro la città di Firenze dall'anno 1215 al 1537, Trieste 1859, I, p. 119; L. Landucci, Diario fiorentino, a cura di I. Del Badia, Firenze 1883, pp. 160 s. Sul C. si veda inoltre U. Dorini, Le disgrazie di un nemico del Savonarola, cit.; G. Pampaloni, I ricordi, cit., pp. 188-196; Repert. fontium historiae medii aevi, III, Fontes, pp. 211 s.