CASTELLI (Castello), Francesco
Originario di Melide e quindi della numerosa famiglia di scultori e stuccatori ticinesi, è documentato a Roma dal 1550 (Bertolotti, 1886, p. 30). Grazie alle indagini documentarie compiute da diversi studiosi (si veda, per tutti, Falk) è possibile ricostruire le tappe della sua attività nella decorazione plastica della villa Giulia dal 1552 a fianco di un gruppo di stuccatori, di estrazione per lo più veneta (fra i quali figura altresì Federico Brandano), impegnati negli apparati ornamentali della fontana centrale (ninfeo) della villa, dove collaborò con gli scultori Romolo Fiammingo e Francesco da Sangallo.
Dai libri dei conti camerali relativi ai pagamenti per gli stucchi della fontana risulta che i lavori iniziarono il 24 luglio 1552, quando il C., appunto, risulta ricevere “Scudi 2 boll. 30 per aver lavorato giorni 6 di stucco alla fontana di Villa Iulia” (Falk, p. 147). Da questo momento il nome dei C. ricorre con costante frequenza nelle polizze di pagamento fino al 24 sett. 1553 quando, presumibilmente, i lavori di decorazione dovettero essere conclusi. Dalla collazione dei documenti pubblicati si rileva che il C. viene citato circa una trentina di volte relativamente alla riscossione del suo stipendio: tali circostanze si infittiscono nel 1553 quando, all’evidenza, i lavori dovevano aver assunto un ritmo ormai spedito. Tuttavia, come rileva la Hoffmann (pp. 50 s.), gli stuccatori – fra cui era il C. – dovettero essere anche impegnati all’interno della villa: infatti l’11 giugno del 1553 (Falk, p. 155; Hoffmann, pp. 50 e 63, leggeva 4 giugno), Federico d’Urbino, Giovan Matteo Veneziano e il C. vengono pagati “per lavorare di stucco alla Villa del Palazzo nostro”. In tali circostanze annotiamo come il salario corrisposto al C. superasse spesso quello dei colleghi (arrivando a toccare la cifra non indifferente di 10 scudi d’oro al mese), il che starebbe a significare il riconoscimento di una sua già collaudata esperienza ed abilità. Aggiungiamo ancora che l’analisi della decorazione a stucco della fontana risulta oggi praticamente impossibile dal momento che quasi tutta la ricchissima ornamentazione (che è descritta da J. J. Boissard, Romanae urbis Topographiae, I Pars, Francofurti 1597, p. 100) è andata perduta: restano solamente i raffinati stucchi posti nei soffitti delle due grandi stanze a pianterreno della villa, che, tuttavia,. la Hoffinann assegna integralmente al Brandani (pp. 48-52).
Esaurito l’apparato decorativo in villa Giulia, il nome del C. non riappare in altri documenti conosciuti relativi a successive imprese costruttive romane: tanto da far pensare ad un trasferimento dell’artista in altra sede. Non meraviglia, perciò – data la nazionalità dei coéquipiers del C. nel lungo soggiorno romano per Giulio III – ritrovare un “Francesco Castelli da Milli [cioè Melide]” proprio a Venezia, dove apporrà la propria firma alle tre statue sormontanti una delle porte nella sala degli Antipregadi (o delle quattro porte) in palazzo ducale. Se, come e possibile precisare su solide basi e come vedremo, si tratta di opere databili agli anni Ottanta, è lecita, tuttavia, una cauta ipotesi.
Infatti, dopo l’incendio dell’11 maggio 1574 che aveva quasi completamente distrutto le sale dei Pregadi, degli Antipregadi, del Collegio e dell’Anticollegio, il Senato veneto decise un integrale lavoro di restauro di tale zona del palazzo ducale impegnando in ciò una schiera considerevole di artigiani, operai, decoratori e artisti di chiara fama fra cui emergono, accanto ai nomi di Andrea Palladio e Giannantonio Rusconi, responsabili del restauro architettonico, e a quelli dei pittori Paolo Veronese e Domenico Tintoretto, i nomi degli scultori Marco Angelo dal Moro e Francesco di Bernardino: i lavori per tale primo riassetto risultano protrarsi dal maggio 1574 al luglio 1577 (per i documenti relativi si vedano, soprattutto, G. B. Lorenzi, Monumenti per servire alla storia del Palazzo ducale di Venezia..., Venezia 1868; D. von Hadeln, Beiträge zur Geschichte des Dogen-palastes, in Jahrbuch der koenigl. preussisch. Kunstsammlungen, XXXII [1911], Appendice, pp. 1-31, postillato da G.G. Zorzi, Nuove rivelazioni sulla ricostruzione delle Sale del piano nobile del palazzo ducale di Venezia dopo l’incendio dell’11 maggio 1574, in Arte veneta, VII [1953], pp. 123-151 e, in seguito, arricchito e completato dallo stesso autore, in Le opere pubbliche e i palazzi privati di Andrea Palladio, Venezia 19653 pp. 143-144 e s.). Senza entrare nel merito della complessa vicenda relativa alla difficile campagna di restauro nel palazzo, ci limiteremo, facendo difetto documenti sicuri al proposito, ad ipotizzare un’eventuale presenza del C. fra la moltitudine delle maestranze impegnate nei lavori. È sicura invece – durante la ripresa delle attività di risirutturazione seguite all’ulteriore incendio del 20 dic. 1577, che pur aveva lasciato intatta la sala degli Antipregadi, divampando rovinosamente in altra zona – la partecipazione, di persona, del C. all’impresa, di notevole prestigio, accertata inequivocabilmente dalla sua firma. Di fatto, gli artisti impegnati furono Girolamo Campagna, Alessandro Vittoria, Giulio dal Moro e, appunto, “Francesco Castelli” cui spetta il completamento del partito decorativo sormontante la porta che dalla citata sala inirnette nella sala del Consiglio dei dieci. E si tratta delle statue rappresentanti la Religione, cinta di una corona di stelle; l’Autorità, il cui scettro è retto da Amore; la Giustizia con i fasci littori e il cammello. È da aggiungere che il Martinioni (in Sansovino, pp. 341 ss.) per primo rilevò la firma dell’autore e ne riportò la sottoscrizione (leggendo, tuttavia, erroneamente il nome che trascrisse come “Francesco Cancellari”: ciò che diede adito ad equivoci e indusse a distinguere i nomi di due artisti diversi, così come in Mothes, II, p. 259). Per quel che riguarda la datazione, seguendo il puntuale discorso elaborato da W. Timofiewitsch (G. Campagna. Studien zur venezianischen Plastik um das Jahr 1600, München 1972, pp. 248 s.) a proposito del Campagna, possiamo dedurre che il C. venne impegnato nelle aggiunte decorative alla sala degli Antipregadi dopo il 20 dic. 1584 quando, appunto, fu steso il programma dettagliato dei nuovi interventi previsti (pubblicato da W. Wolters, Der Programmentwurf zur Dekoration des Dogenpalastes nach dem Brand vom 20 Dezember 1577, in Mitteil. des kunsthistor. Institutes in Florenz, XII [1965-1966], pp. 271-318) e si stabilì, tra l’altro, di ornare le architravi delle quattro porte della sala degli Antipregadi con tre statue allegoriche ciascuna. Sappiamo, come documenta il Lorenzi (Monumenti, cit., n. 995), che l’opera dovette essere portata a termine entro il 20 apr. 1589 quando, nei libri dei provveditori sopra le Fabbriche del palazzo, si annotava che restavano ancora “a metter in opera [cioè a sistemare in loco, sulle rispettive architravi] le figure di marmo sopra le quattro porte nella Sala dell’Antipregadi”. Possiamo, allora, assumere con certezza quali termini cronologici per l’unica opera rimastaci del C. il periodo fra il dicembre 1584 e l’aprile 1589.
Dopo questa prova, evidentemente non trascurabile (di cui il Selvatico, p. 398, apprezzava la qualità, pur dichiarandola un prodotto vicino alla cerchia del Vittoria, del quale ritrovava le caratteristiche peculiari di stile), del C. si perdono le tracce documentarie, sì che è difficile definirne appieno la personalità artistica. Una personalità, sulla quale ben severo suona il più recente giudizio di A. Venturi (p. 278), che la considera “di scalpellino facilone che lavora all’ingrosso con un senso di colore vivace, sgargiante”.
Un omonimo Francesco Castelli, scultore “milanese”, amico del luganese G. A. Galassini, nel 1616, a Roma, dove abitava nel vicolo dei Maroniti, subiva un processo per molestie a una donna e allo zio di questa (Bertolotti, 1881, p. 117); E. L. Girard (in C. Brun. Schweizerisches Künstler-Lexikon, I, Frauenfeld 1905, p. 279) pensava fosse da identificarsi con il C.; ma Brentani (IV, p. 111), presentando molti dati su questo stuccatore che, con il soprannome di “Pignolo”, era attivo in chiese ticinesi tra il 1612 e 1636 in compagnia del Galassini, considerava impossibile che lo stesso personaggio fosse operoso dal 1552 al 1636.
Un altro Francesco Castelli, figlio di Pietro, era maestro orefice e argentiere attivo a Roma dal 1627 all’8 ag. 1647, giorno in cui morì. Nel 1639 e nel 1642 era stato eletto quart o console degli orefici e, nel 1645, camerlengo della stessa arte (è del 1646 un documento da lui firmato in quanto tale, in Bertolotti, 1884, pp. 75 s.). Aveva bottega in via del Pellegrino insieme con il suocero Mario Mariotti (tutte le notizie in C. G. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d’Italia, I, Roma, Roma 1958, pp. 262 ss.).
Bibl.: F. Sansovino-G. Martinioni, Venezia città nobilissima et singolare, Venezia 1663, pp. 341 s.; G. Moschini, Guida di Venezia, Venezia 1815, I, p. 411; P. Selvatico, Sulla architettura... in Venezia, Venezia 1847, p. 398; O. Mothes, Gesch. der Baukunst und Bildhauerei Venedigs, Leipzig 1859, 11, p. 259; P. Molmenti-R. Fulin, Guida di Venezia, Venezia 1881, p. 145; A. Bertolotti, Artisti lombardi a Roma..., Milano 1881, II, p. 117; Id., Artisti veneti in Roma, Venezia 1884, pp. 25, 75 s.; Id., Artisti svizzeri a Roma, Lugano 1886, pp. 30, 48; A. Lanciani, Storia degli scavi di Roma, Roma 1902, III, p. 17; A. Venturi, Storia dell’arte ital., X, 3, Milano 1937, p. 278; L. Brentani, Antichi maestri d’arte e di scuola delle terre ticinesi, III, Como 1938, pp. 99 s.; IV, ibid. 1941, pp. 99, 101, 111-113; V, Lugano 1944, pp. 107 s.; G. Mariacher, Stuccatori ticinesi a Venezia..., in Arte e artisti dei laghi lombardi, II, Como 1964, p. 79; P. Hoffmann, Scultori e stuccatori a Villa Giulia, in Commentari, XVIII (1967), pp. 50, 61; T. Falk, Studien zur Topographie und Geschichte der Villa Giulia in Rom, in Römisches Jahrbuch für Künstgeschichte, XIII (1971), pp. 147-157; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 152.