CASTELLALTO, Francesco
Di antica e nobile famiglia trentina, nacque a Castellalto presso Telve nella bassa Valsugana, verso il 1480, da Francesco e Gertrude Anich de Courtäsch.
La famiglia, che nel corso dei secoli XIII-XIV aveva gravitato su Padova, si era orientata nella prima metà del secolo XV, dopo l'eliminazione dei Carraresi dalla signoria di quella città, verso gli Asburgo. Per conto di essi il padre del C. fu infatti vicecapitano in Ivano e luogotenente in Telvana. Il C. fu educato quindi alla fedeltà verso gli Asburgo e giovinetto fu inviato come paggio alla corte di Massimiliano. Destinato dalla condizione sociale e dalla tradizione familiare alla carriera delle armi, servì per tutta la vita gli Asburgo come capitano. Nel 1509 nel corso della guerra della lega di Cambrai, figura tra i condottieri dell'esercito imperiale.
Come capitano addetto alle artiglierie ricompare nel 1512 tra gli Imperiali comandati da Wilhelm von Regendorf che dovevano congiungersi a Brescia con gli Spagnoli. Spostatosi a Verona nel gennaio dell'anno successivo, se ne allontanò per brevi viaggi a Trento e a Milano, dovendo sollecitare a Massimiliano e al viceré di Napoli, Raimondo Cardona, il pagamento del soldo della truppa. Ottenne quanto bastava per trattenere all'ultimo momento varie bande di lanzi che avevano già abbandonato il campo. A Verona subì nel maggio l'assedio dei Veneziani, al quale reagì con audaci sortite. Fece micidiali scorrerie a Cologna, Soave, Villanova e San Bonifazio. A giugno andò a Innsbruck per rilevare alcuni contingenti di truppe fresche e poi di nuovo da Verona mosse per altre scorrerie in territorio veneziano insieme con gli Spagnoli del Cardona. Saccheggiarono Legnago, Este, Monselice. Alla fine di luglio posero l'assedio a Padova, quindi si ritirarono a Vicenza e di lì a Verona, da dove ripartirono nel settembre per nuove scorrerie a Bovolenta, Piove di Sacco, Mestre e Marghera. Il 1° ottobre installarono l'artiglieria per bombardare Venezia, ma subito dopo si ritirarono a Mestre, saccheggiando in seguito Camposampiero e Cittadella. Nel corso del mese vennero allo scontro aperto con le truppe venete comandate dall'Alviano e le sconfissero due volte, rientrando infine a Verona il 15 nov. 1513. Il C. restò a presidiare questa città ancora per tre anni e a partire dall'agosto del 1515 vi subì un formidabile quanto sterile assedio da parte dei collegati franco-veneti. Dopo la conclusione del trattato di Noyon (13 ag. 1516), che pose fine alle ostilità, Verona dovette essere restituita ai Veneziani. Al C., che l'aveva validamente difesa insieme con il Frundsberg, toccò il compito di smobilitare e consegnare la città al Lautrec che secondo gli accordi l'avrebbe passata ai Veneziani. Lasciò Verona nel gennaio del 1517 e rientrò nel Trentino, restando al soldo dell'imperatore.
Alla morte di Massimiliano fu tra i dignitari imperiali che presenziarono il 16 genn. 1519 alla cerimonie funebri tenute a Wels. Nel marzo dello stesso anno fu inviato dai reggenti del Tirolo in Spagna, alla corte di Carlo, nuovo re dei Romani, per chiedere sgravi fiscali, conferma delle autonomie locali e una visita personale del sovrano nella regione. Ricevuto nel maggio dal re a Barcellona, fu trattenuto a corte fino al marzo dell'anno successivo. Trattò con successo l'esaudimento delle richieste tirolesi, ma si fece anche notare dal giovane re per le sue qualità militari. Invece di rientrare direttamente in Tirolo, fu inviato infatti da Carlo in Germania a levare fanti. Vi reclutò 3.000 lanzi, alla testa dei quali partecipò alla solenne cerimonia della incoronazione imperiale di Aquisgrana (23 ott. 1520). Ritornò nel Trentino l'anno successivo e fu incaricato di levare 6.000 lanzi per portarli in Lombardia, dove in conseguenza del trattato di alleanza concluso da Carlo V il 28 maggio 1521 con Leone X tornava a di vampare la guerra. Nel luglio il C. guidò i suoi lanzi verso Milano, dalla quale riuscirono a cacciare i Francesi solo nel dicembre inoltrato. Nel gennaio ritornò nel Tirolo per reclutare altri 6.000 lanzi con i quali ridiscese di nuovo in Lombardia nel febbraio, per partecipare infine il 27 aprile alla giornata della Bicocca che vide la clamorosa disfatta dell'esercito francese comandato da Lautrec.
Per i successivi tre anni mancano notizie sull'attività del C., che con tutta probabilità continuò a partecipare alle alteme vicende della guerra franco-imperiale in Lombardia. Nella primavera del 1525, dopo che la strepitosa vittoria degli Imperiali a Pavia aveva posto termine alla guerra, il C. era a Trento.
Nel corso della rivolta contadina che insanguinò di lì a poco anche le valli del Trentino, egli fu tra i più fedeli sostenitori del potere vescovile e dell'autorità imperiale nella regione. Poco prima della sua fuga da Trento, il vescovo Bernardo Cles lo nominò, il 15 maggio 1525, insieme con il famoso capitano di lanzi Georg Frundsberg, luogotenente generale del principato. La fuga del vescovo provocò in città tumulti e saccheggi, ai quali il C. fece fronte con coraggio e abilità: arringò la folla riunita in piazza del duomo, ricordando ai buoni cittadini la grave minaccia che la rivolta contadina costituiva anche per loro e l'opportunità di sostenere contro di essa l'autorità del vescovo e dell'imperatore. La mossa ebbe successo: alla testa della città fu insediato un consiglio di sedici persone, fra le quali primeggiò subito il C. stesso. Il 17 maggio il consiglio si riunì in castello e decise di concerto con i luogotenenti di riportare l'ordine in città al più presto, per prepararsi ad estenderlo alla campagna. Trento si dichiarò quindi apertamente per il vescovo, mentre l'arciduca Ferdinando fece sapere di approvare l'operato dei luogotenenti vescovili, che designò nello stesso tempo come commissari imperiali. Nei confronti dei contadini in rivolta inizialmente fu adottata una linea di condotta piuttosto morbida, con una riserva però puramente dilatoria, che puntava sulla repressione più spietata, non appena fossero state disponibili le necessarie forze militari. Con questa riserva il C. partecipò ai primi di giugno con i rappresentanti della città di Trento all'assemblea di Merano che approntò una serie di capitoli da presentare all'approvazione dell'arciduca. Un informatore veneziano riferì in effetti "che de li villani de la Alemagna è capo Castelalto, quale è più per acquetarli et pacificarli che per darge orgoglio et infiamarli" (cfr. Sanuto, XXXVIII., col. 359). In questo stesso quadro rientra anche la revisione del processo intentato contro gli insorti che avevano saccheggiato Reutsch, per mitigarne le pene, che egli eseguì in Bolzano nel luglio per incarico dell'arciduca. Sempre in viaggio per le valli trentine nel corso del mese di agosto, egli si adoperò per tenere a bada i rivoltosi senza ricorrere alle armi. Man mano però che affluivano le truppe inviate da Ferdinando questa cautela divenne superflua: il 30 agosto si venne ad esempio ad uno scontro in Valsugana e il giorno successivo un distaccamento di 200 lanzi al comando del C. intervenne duramente, sbaragliando i contadini. Una vasta azione repressiva ebbe inizio nel mese di settembre. Alla testa di mille fanti italiani il C. si diresse su Sporo per ridurre all'obbedienza quei contadini che si erano ribellati al loro signore. Appena rientrato a Trento da questa sanguinosa spedizione, fu mandato di nuovo in Valsugana per metterla a ferro e fuoco. La ferocia della repressione pare abbia provocato nel C. scrupoli ed esitazioni, che furono però vinti dalle pressioni vescovili e arciducali. Parte importante egli ebbe nei processi che si svolsero a carico dei rivoltosi ormai domati negli anni 1526 e 1527, nel corso dei quali egli si distinse per una certa moderazione.
Per le benemerenze acquisite al servizio vescovile ed arciducale il C. fu nominato capitano di Trento. Questa nuova carica non lo distolse tuttavia dai suoi compiti tradizionali di reclutare truppe per gli eserciti imperiali. Nel maggio del 1527 levò 8.000 fanti da inviare in Ungheria. Nella primavera dell'anno successivo si recò a Innsbruck e ad Augusta sempre per reclutare lanzi, questa volta per l'Italia, dove i Veneziani si erano coalizzati di nuovo con i Francesi contro gli Imperiali. Nel corso del mese di maggio accompagnò in Lombardia un contingente di 6.000 fanti, 200 cavalli e 6 pezzi di artiglieria. A una nuova levata di lanzi per conto di Ferdinando fu indotto nell'agosto del 1529 dalla rinnovata minaccia turca in Ungheria. Un poderoso esercito guidato dallo stesso sultano Solimano stava risalendo il Danubio, puntando sulla stessa Vienna. Nel settembre il C. si mise in marcia alla testa di una compagnia di fanti italiani per raggiungere Ferdinando a Linz mentre i Turchi iniziavano l'assedio di Vienna.
Dopo questa missione le notizie tornano a scarseggiare: nel 1536 ricevette Ferdinando re dei Romani e la moglie Anna d'Ungheria a Trento; tre anni dopo, nel 1539, eseguì una missione diplomatica a Venezia per conto dei reggenti del Tirolo; nel 1542 assistette ancora una volta il re Ferdinando nella guerra contro i Turchi in Ungheria.
Come capitano del luogo e rappresentante del re dei Romani, il C. presenziò a varie sedute del concilio di Trento, nel corso della prima sessione. Una parte di qualche rilievo ebbe solo all'inizio, quando fu nominato da Ferdinando ambasciatore al concilio insieme con il giurista Antonio Questa.
Il 23 giugno 1545 si presentò ai legati per sollecitare la concessione di una udienza ufficiale al fine di chiedere l'apertura del concilio. Questo intervento fu però interpretato dai legati come un gesto puramente dimostrativo, per celare dietro un'adesione formale la sostanziale ostilità del re verso il concilio, che non sembrava lasciare adito ad alcuna possibilità di intesa con i protestanti. La mossa fu accolta quindi con malcelata irritazione dai legati, che cercarono di indurlo a rinviare la richiesta dell'udienza almeno fino all'arrivo dell'ambasciatore spagnolo a Venezia, Diego de Mendoza, che doveva rappresentare Carlo V. Il C. chiese istruzioni a Ferdinando, che concesse la dilazione. L'udienza ebbe luogo quindi il 29 agosto. Il 13 dicembre partecipò insieme con il Questa alla solenne processione di apertura del concilio e fu il solo diplomatico presente. Nel corso dei primi mesi del 1546 egli presenziò a numerose sedute e cerimonie del concilio ma successivamente si eclissò, tanto che i legati poterono scrivere a Roma: i due ambasciatori del re dei Romani "non sono mai comparsi in congregazione, né ancora in le cappelle, né in sessione alcuna, eccetto la prima". Si rifece però vivo nel luglio, quando si seppe che un esercito dei protestanti della lega di Smalcalda, al comando del duca del Württemberg, stava attraversando il Tirolo puntando su Innsbruck. La minaccia per la stessa incolumità personale dei padri conciliari era seria e divenne assai grave quando gli smalcaldici occuparono la chiusa di Ehrenberg. Ad essi si oppose energicamente il C., che mosse contro di loro alla testa di un buon nerbo di lanzi. Li respinse in un primo scontro il 14 luglio, quindi pose l'asseffio alla chiusa e la prese il 7 settembre. Ritornò a Trento nel novembre dopo aver ben fortificato e presidiato la chiusa. Questi incarichi militari, allontanando il C. da Trento, fornirono ai legati l'opportunità di risolvere una fastidiosa questione di precedenza sollevata dagli ambasciatori del re di Francia. Negli anni successivi non ebbe più alcuna parte nella vita del concilio, pur continuando a garantirne la sicurezza nella sua qualità di massima autorità militare della città ospite.
In età assai avanzata il C. morì a Trento il 29 nov. 1554. La salma fu trasferita a Telve e inumata nella tomba di famiglia di quella chiesa parrocchiale. Aveva sposato Margherita Fuchsin di Fuchsberg e in seconde nozze Elisabetta di Thun, ma senza averne figli, cosicché con lui si estinse la famiglia.
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