CASSOLI, Francesco
Nacque a Reggio Emilia il 19 sett. 1749 dal conte Antonio e da Caterina Pegolotti. Formatosi nel collegio dei gesuiti di Reggio, dal quale uscì nel 1768, si distinse ben presto per le sue qualità di letterato. Ancora studente aveva dedicato ad Agostino Paradisi il poemetto in sciolti L'Iride (Reggio 1766), prima delle numerose composizioni celebrative per matrimoni, monacazioni, sacerdozi, lauree, che compose seguendo la moda, ma che non costituiscono certo la parte più valida della sua opera. Introdotto con il nome di Terascopo nell'Accademia degli Ipocondriaci, della quale facevano parte anche A. Paradisi, L. Lamberti, G. Venturi, L. Cagnoli, ne divenne "barbassore" (1777).
Tra il 1796 e il 1799, tenendo fede ai suoi principi liberali, ricoprì in Reggio numerose cariche pubbliche cercando di realizzare il suo ideale di graduale progresso civile "sull'esempio della natura che nulla opera con violenza", secondo le massime moderate da lui espresse a Giovanni Fantoni (Un cittadino di Reggio ad un cittadino di Fivizzano:foglio a stampa, Reggio, Bibl. munic., Ms. Turri C. 68).
Nel 1796, subito dopo l'arrivo dell'esercito francese, aveva sciolto dal vincolo feudale i suoi sudditi della contea di Vezzano. Nell'ottobre fece parte della commissione che doveva creare un governo provvisorio per la provincia di Reggio; in dicembre venne eletto deputato al secondo Congresso cispadano, in cui fu nominato membro del Comitato di finanza. Come rappresentante dell'antico ceto nobiliare negli ultimi mesi della Repubblica cispadana si segnalò tra gli elementi più moderati, cosicché nel maggio 1797, dopo l'unione di Reggio alla Cisalpina, prevalsi i democratici, il C. venne imprigionato. Liberato dopo pochi giorni, era intenzionato ad abbandonare la vita politica, ma nell'autunno fu eletto a far parte dei Corpo legislativo nel Consigiio degli iuniori, da cui rassegnò le dimissioni il 6 genn. 1798. Coinvolto nei processi politici del'99 ed imprigionato dopo le vittorie degli Austro-russi e la cacciata dei Francesi dall'Italia, venne liberato solo nel giugno 1800. Nel 1801 si ritirò nella sua villa della Roncina presso Reggio detta "Bell'Arbore", alternando frequenti soggiorni a Milano, ove fu amico del Parini e del Passeroni, che soccorse in incognito. Dal 1802 al 1805 fu membro del Consiglio dipartimentale del Crostolo.
Il C. morì a Reggio Emilia il 19 febbraio del 1812.
Per tutta la vita il C., figura non secondaria della "pleiade estense", formatosi alla luce del binomio Metastasio-Parini nell'ambiente neoclassico della "scuola lombarda", seguì con dedizione e modestia la lezione dei classici. La lettura dell'opera pubblicata postuma Sulle traduzioni poetiche. Ragionamento (Reggio 1826) permette di verificare come l'orazianesimo, allora tanto in voga, non fosse per il C. un habitus indossato. per l'occasione, ma un'esigenza di ritorno ai Latini come tentativo di miglioramento del gusto allora predominante, come argine agli invadenti modelli stranieri, allo "stravagante" e al "falso" in poesia. Ancora, l'aver dedicato sì largo spazio alle traduzioni: Odi di Orazio volgarizzate (Reggio 1786); Pervigilium Veneris (Modena 1787); i primi sei libri dell'Eneide e l'inizio del settimo (tuttora inediti) fu una scelta cosciente, dovuta alla consapevolezza dei propri limiti, della propria incapacità a lasciare "originali eccellenti", visto lo stato della letteratura "sì perché alcuni generi son quasi esausti, si perché il genio del secolo, sprezzando a ragione quelle ciance canore che formano la meraviglia d'alcuna età, esige nelle produzioni poetiche una certa tinta filosofica, l'ingegnoso maneggiamento della quale è riservato a pochissimi".
L'affinarsi progressivo nelle traduzioni d'Orazio, l'esercizio assiduo di quelle doti che devono accompagnare l'opera di un buon traduttore (genio, giudizio, gusto) furono il necessario tirocinio che rese possibile la tenue ma sincera e meditativa poesia del libro dei Versi (Parma 1802), sulla quale anche il Carducci espresse un giudizio fondamentalmente positivo, vedendo nel C. il più originale dei lirici della scuola dell'antico ducato estense.
La raccolta dei Versi costituisce la più compiuta sintesi delle tendenze culturali variamente presenti nella lunga esperienza poetica del C., e rappresenta pure un notevole tentativo di selezione e di cernita che egli operò rispetto alle poesie della giovinezza; per cui essa ci appare, oltre che illuminante sui gusti definitivi dello scrittore, anche significativa rispetto a quelle tendenze della poetica settecentesca che si vennero a chiarire nell'ultimo scorcio di secolo. Non che nella raccolta del C. vengano del tutto superati i motivi arcadici che avevano improntato la stagione metastasiana, ma tali motivi sono adesso sostenuti da un ritmo più intenso intriso di ragioni morali; il vario intrecciarsi di temi occasionali si raccoglie ora intorno a un nucleo sentimentale più sincero e appassionato (quello che verte sull'elogio della solitudine, di una ritrovata felicità lontano dal volgo e dalle ambizioni pubbliche, di un ozio esclusivamente letterario); lo stile si compone secondo direttive di un più maturo classicismo, ottemperando alle esigenze di perspicuitas avanzate dalla nuova poetica del sensismo, ovvero superando gli schemi espressivi dello stesso classicismo per dar luogo, specie nelle parti descrittive, ad una più mossa e vibrata rappresentazione che prelude al gusto romantico.
Difficilmente si può intendere Pesordio di un'ode come quella dedicata Alla Sanità (che, non a caso, G. Prati terrà presente nel Canto di Igea)prescindendo dalla soluzione pariniana della Salubrità dell'aria né si può isolare la descrizione paesaggistica dell'ode La solitudine dal contesto preromantico comune a simili raffigurazioni del Mazza, del Bertola, del Pindemonte. Il motivo della solitudine è quello su cui si incentra l'ispirazione dello scrittore, sia che pateticamente si rivolga all'oggetto che è testimone ed emblema della sua esistenza appartata (nella celebre ode Alla lucerna), sia che indirizzi il proprio consiglio sdegnoso e severo All'amico filosofo e poeta, con motivi che farebbero pensare all'Alfieri, se la raccolta del C. non stemperasse assai di frequente questi esiti perentori con i più sinuosi movimenti di derivazione arcadica. Ed è significativo che il tema della solitudine sia quello che ispira al poeta gli accenti più sinceri, nel panorama di una esercitazione che circolarmente ritorna ad esaltare i privati ozi letterari dopo le sfortunate vicende politiche che colpirono il Cassoli.
Quali che siano le componenti culturali delle sue più meditate liriche, l'elemento centrale che le contraddistingue è costituito da un senso di ritrovata intimità che interamente lo assimila alle pie letture degli anni maturi, Milton, Klopstock, Gray.
Altre liriche, per vari aspetti notevoli, l'autore non si preoccupò di raccogliere, e le leggiamo sparse qua e là, in stampe spesso postume. Tra queste vanno citate l'ode A Giovanni Paradisi, eco della sua esperienza rivoluzionaria, dei suoi contatti con la "plebe indocile", e quella A Luigi Lamberti erroneamente attribuita a quest'ultimo (L. Lamberti, Poesie e prose, Milano 1823, p. 85), pubblicate sul Poligrafo, II (1812), nn. 2 e 4, rispettivamente.
Nella tranquillità degli ultimi anni meditò una serie di Inni a Dio Ottimo Massimo autore e conservatore della società, come attesta il piano che spedì all'abate Gaetano Fantuzzi nel 1805. Il progetto si presentava alquanto complesso, ma non venne realizzato: ci rimangono invece, in un indice manoscritto conservato nella Biblioteca comunale di Reggio, i titoli di numerosissimi sonetti composti per le varie festività religiose. A questo proposito sia il Mazzoni (con molta discrezione) sia il Peri (definendolo più sicuramente "vero precursore") fanno notare la vicinanza cronologica alla stesura della manzoniana Resurrezione.
Non abbondante la produzione in prosa del C.: oltre al citato Ragionamento, videro la luce a Parma nel 1775 i Discorsi d'un pappagallo e d'una gazza con qualche osservazione, non privi di certo brio, che prendono di mira l'anonimo autore (Giambattista Roberti) del Discorso premesso alle sessanta esopiane.
Allo stadio di preparazione iniziale rimase invece l'ampio progetto della pubblicazione delle opere dello "incomparabile" Metastasio, di cui apparve solo l'annuncio a stampa nel 1778. Il C. si proponeva di esaminare criticamente lo "spirito del melodramma", di mostrare la completezza del genere, esemplificandone poi i pregi con l'opera metastasiana, ma dovette abbandonare l'ambizioso programma per la noncuranza dello stesso Metastasio, che da Vienna trovava assai problematico seguire il complesso lavoro.
Opere: Tra i numerosi scritti d'occasione vanno almeno ricordati: Cantata per monacazione e sacerdozio Crespi, Carpi 1769; Cantata per l'ingresso in Reggio di Maria Teresa Cybo d'Este, Parma 1782. Postumi vennero pubblicati il secondo e il terzo Inno alla Sanità (il primo fu stampato nel libro dei Versi). L'elenco completo delle opere del C. con numerose lettere autografe, alcune poesie inedite, l'indice del volume manoscritto di tutti i componimenti in versi sono conservati nella Biblioteca comunale di Reggio Emilia (Ms. Turri C. 68). Le più significative liriche del C. si possono leggere in Poeti minori del Settecento, a cura di A. Donati, Bari 1911, e in Lirici del Settecento, a cura di B. Maier, Milano-Napoli 1959, con Introduzione di M. Fubini, pp. LXI-LXIII.
Fonti e Bibl.:L. Cagnoli, Notizie biogr. in continuazione della Biblioteca modenese del cav. abate G. Tiraboschi, Reggio 1833-37, I, pp. 81-126; E. De Tipaldo, Biogr. degli Ital. illustri, I, Venezia 1834, pp. 383-385; G. Carducci, prefazione a Lirici del secolo XVIII, Firenze 1871, in Opere (ediz. naz.), XV, pp. 190-191; D. D. Fabbi, L'armonia della scienza colla religione, I, Reggio 1876, pp. 73-109; E. Manzini, Mem. stor. dei Reggiani più illustri in continuazione alla Bibl. modenese del Tiraboschi, Reggio 1878, pp. 20-28; S. Peri, L'opera letter. di un poeta del sec. XVIII, Varese 1891; V. A. Arullani, Lirica e lirici nel Settecento, Torino-Palermo 1893, pp. 143-149; T. Casini, Ideputati al Congresso cispadano, in Riv. stor. del Risorgimento, II (1997), pp. 162 s.; F. S. Cardosi, La scuola oraziana del ducato estense, in Classici e neolatini, IV (1908), pp. 107-112, 182-190; E. Bertana, In Arcadia, Napoli 1909, pp. 75 n., 444 n.; S. Peri, Un precursore di A. Manzoni negli Inni Sacri, in Giornale storico della letteratura italiana, XXIX (1911), pp. 149161; G. Curcio, Quinto Orazio Flacco studiato in Italia dal sec. XII al XVIII, Catania 1913, pp. 311-312; C. Calcaterra, Storia della poesia frugoniana, Genova 1920, pp. 387-389; T. L. Rizzo, Dal Sei all'Ottocento, Torino 1931, pp. 189-193; A. Ermini, F. C. poeta minore..., in Atti dell'Accademia degli Arcadi, IX-X (1932), pp. 185-203; L. Fontana, F. C., in Civiltà moderna, VII (1935), pp. 74-87, 232-255; Id., Documenti della vita e dell'arte di F. C., in Atti dell'Acc. ligure di scienze e lettere, I (1941), pp. 173-205; P. Berselli Ambri, L'opera di Montesquieu nel Settecento italiano, Firenze 1960, ad Indicem;W. Binni, Classicismo e neoclassicismo nella letteratura del Settecento, Firenze 1963, pp. 145, 154, 157-158; G. Mazzoni, L'Ottocento, I, Milano 1964, pp. 31-32, 235, 388; G. Natali, Il Settecento, Milano 1964, I, pp. 469-470; II, pp. 79, 108, 427; W. Binni, IlSettecento letterario, in Storia della lett. ital., a cura di E. Cecchi-N. Sapegno, VI, Milano 1968, pp. 672-674; Diz. del Risorg. nazionale, II, pp. 588 s.; R. Finzi, Il poeta reggiano F. C. e i costituti del suo processo politico, in Atti e mem. d. Deput. di storia Patria per le antiche prov. modenesi, s. 10, IV (1969), pp. 133-83; A. T. Romano Cervone, La scuola classica estense, Roma 1975 (dedica ampio spazio al "più interessante ma meno classificabile" C. succeduto alla triade primo-estense, Cassiani, A. Paradisi, Cerretti, e alla diade neoclassica, Lamberti, G. Paradisi).