CARDUCCI, Francesco
Figlio di Niccolò (dei Priori nel 1480) e di Margherita Soldani, nacque a Firenze nel 1465. Cugino di secondo grado (e non fratello come talora si afferma) del più noto Baldassarre, con quest'ultimo condivideva una condizione economica ed una situazione patrimoniale non particolarmente floride.
Gli storici fiorentini contemporanei sono concordi nel descrivere il C. come uomo di "poca facultà" (Nardi, p. 151), "in bassa fortuna vissuto" (Pitti, p. 177), 0 come appartenente a quel ceto di cittadini "che se erano di buone famiglie non avevano parentadi, o ricchezze, o qualità da tenerne un gran conto" (Segni, p. 120). Tali notizie vengono confermate dall'attività mercantile del C. antecedente alla più nota partecipazione politica alle vicende degli anni 1527-30.Impegnato dapprima nel commercio in Spagna come amministratore in una società di mercanti fiorentini, i Nasi, al C. veniva attribuita la responsabilità dell'insuccesso e del fallimento della compagnia. Né l'attività mercantile era più fortunata nel periodo seguente in cui il C. andava incontro ad una nuova bancarotta.
Quasi sconosciuto negli anni precedenti la cacciata dei Medici da Firenze del 1527 ed escluso dalla vita pubblica cittadina, il C. doveva invece acquistare una rapida notorietà e raggiungere cariche di prestigio nel periodo dell'ultima Repubblica. Probabilmente sotto l'influenza del cugino Baldassarre, partecipò sin dal 1527 all'attività del gruppo degli Arrabbiati al quale l'univano, oltre alle idee politiche decisamente antimedicee ed antioligarchiche, la stessa condizione sociale. Il primo compito di cui venne incaricato dalla Repubblica fu quello di rivedere i conti di coloro che avevano amministrato denari pubblici dopo il 1512. Probabilmente a causa dell'abilità con cui si disimpegnò in questa incombenza fu eletto priore per il bimestre novembre-dicembre 1527 e, in seguito, nei primi mesi dell'anno successivo, fu scelto fra i Dieci di libertà e pace. La sua carriera politica proseguì con la missione diplomatica, conferitagli dalla Signoria il 3 giugno 1528, quale ambasciatore a Siena (in sostituzione di Giovanni Covoni), in un momento in cui si temeva il passaggio di questa città dalla parte dei nemici di Firenze. Al ritorno dalla legazione di Siena un nuovo riconoscimento pubblico, l'elezione fra gli Otto di guardia e di balia, confermava la rapida fortuna del C. che lo avrebbe portato il 18 apr. 1529 alla maggiore carica della Repubblica, quella di gonfaloniere.
Nonostante gli indubbi successi politici del C., nel 1527 e nel 1528, la scalata alle maggiori cariche di governo e ad una posizione sempre più influente all'interno del partito degli Arrabbiati, la sua elezione alla carica di gonfaloniere veniva accolta con stupore non soltanto negli ambienti più moderati, ma anche fra alcuni degli esponenti dei ceti più popolari ai quali "pareva, come s'egli fosse nato della feccia del popolazzo, che la dignità del gonfaloniere, abbassata e quasi contaminata si fosse" (Varchi, p. 418). Certamente alla fortuna del C. contribuirono, oltre alla personale abilità, da una parte la crisi del partito moderato dopo l'improvvisa deposizione del Capponi e dall'altra l'eclisse, fra le file degli Arrabbiati, delle personalità politiche più influenti. In particolare l'allontanamento di Baldassarre Carducci da Firenze nel dicembre 1528 aveva privato il partito della sua maggiore guida portando alla ribalta personalità minori. Contribuì inoltre all'elezione del C. la fama che il nome del suo parente, ora ambasciatore in Francia, rifletteva su di lui.
Il programma del C., ribadito nel discorso tenuto dopo l'elezione, prevedeva un'apertura delle maggiori magistrature, e in particolare della Quarantia, ai ceti più popolari, nuovi provvedimenti contro i fautori dei Medici, e la riforma dello Specchio (libro in cui si annotavano i nomi dei cittadini debitori del Comune). Fra le maggiori riforme effettuate durante il suo gonfalonierato vanno rilevati il passaggio dello Specchio dalle mani di notai corrotti a quelle di quattro cittadini regolarmente eletti, la revisione della decima a partire dal 1498, la formazione di un collegio per sopprimere l'evasione alle tasse dei beni già appartenuti a corpoporazioni religiose, ma ora alienati. Gran parte degli sforzi, dopo la pace di Cambrai, dovevano tuttavia essere concentrati verso le necessità di fortificazione della città nel timore, come il C. indicava in un discorso del 10 agosto di fronte alla Pratica, "che li inimici potessino ogni giorno comparire" (Falletti-Fossati, I, p. 30). Tali problemi, connessi ai pericoli dall'esterno, dovevano contribuire a rendere più cauta all'interno la politica del C., allontanandola da quei progetti di riforma e da quei provvedimenti contro i seguaci dei Medici che erano stati prospettati all'indomani dell'elezione.
Certo è però che, come notavano i contemporanei, la politica interna moderata del C., accentuata dai pericoli sovrastanti alla Repubblica, era stata già inaugurata subito dopo l'elezione ed obbediva al desiderio del gonfaloniere di acquistarsi un più ampio consenso in vista di una riconferma della carica. C'era anzi chi affermava, come il Busini, che da parte del C. era stata effettuata una sola riforma importante, quella dello Specchio, "perché non offendeva nessuno" (Busini, p. 138).
Nel senso di una moderazione della propria linea politica si inquadrava anche la nuova consacrazione (28 giugno) di Firenze a Cristo. I tentativi del C., se ottenevano lo scopo di procurargli nuovi consensi fra i seguaci del Capponi, finirono però per alienargli la fiducia degli ambienti più popolari. In vista di una riconferma alla carica, il 2 dicembre pronunciava un discorso nel quale insisteva sulle difficoltà del momento politico e militare e sulla necessità di eleggere al gonfalonierato una persona pratica che già tenesse nelle sue mani le fila della situazione. Nonostante il sapiente discorso già il primo scrutinio gli era sfavorevole e col secondo veniva eletto gonfaloniere Raffaello Girolami. In favore del C. veniva tuttavia emanato un provvedimento secondo il quale i gonfalonieri decaduti dalla carica sarebbero automaticamente diventati commissari di guerra.
Nei mesi seguenti il C., nella sua funzione di commissario, trovava modo di condizionare le scelte del nuovo gonfaloniere. Così, ad esempio, era del C. la proposta, poi approvata, della vendita di un terzo dei beni ecclesiastici per sostenere le spese di difesa della Repubblica. Al C. spettava anche l'allontamento dalla loro funzione degli altri tre commissari di guerra, per sospetto d'intese coi Medici. Tranne una breve interruzione, durante la quale veniva inviato come commissario a Volterra nel maggio, il C. manteneva la sua carica di commissario di guerra per tutto il periodo dell'assedio. Ostinatamente convinto della necessità di resistere da parte del governo fiorentino e perciò contrario ai consigli di Malatesta Baglioni, il C. era fautore del licenziamento di quest'ultimo dal suo ufficio di generale.
Dopo il rientro dei Medici il C. fu unadelle prime vittime del nuovo regime. Imprigionato, fu accusato di aver preso irregolarmente alcuni provvedimenti finanziari (ad esempio quello per la vendita di beni ecclesiastici) e di essere stato il principale fautore dell'incendio di un palazzo dei Medici e di uno dei Salviati nel 1529 (di questa colpa sembra che il C. fosse effettivamente innocente). Dopo essere stato lungamente torturato fu giustiziato all'alba del 30 ott. 1530.
Sposato con Maddalena Alberti, aveva da essa avuto tre figlie ed un figlio, Niccolò, che si sarebbe unito in matrimonio a Lucrezia Benintendi, già amante del cardinale Passerini.
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