CARCANO, Francesco
Nacque a Milano il 3 febbr. 1735 da Lorenzo e da Teresa Masserati, figlia del conte Maurizio. La nobiltà dell'origine e le cospicue sostanze familiari gli permisero una giovinezza agiata, presso i migliori maestri prima nella nativa Milano, poi a Siena nel rinnovato collegio Tolomei. Qui il C. cominciò a dare le prime prove di sé come poeta improvvisatore, conversatore arguto e preparato (secondo la testimonianza dei contemporanei), intelligente amico e mecenate di condiscepoli del collegio senese: "è alla radice di questa prima esperienza culturale del C. un sicuro patrimonio letterario acquisito alla scuola dei classici e rinvigorito dalla grande tradizione in volgare che trovava nella città toscana e nel collegio intitolato al letterato senese un centro di diffusione ancora vitale.
È anche possibile su questa scorta individuare gli scrittori più accreditati nel piccolo raggio provinciale del collegio senese e quelli che più di ogni altro dovettero influire sulla formazione culturale del giovane C.: il Tolomei, appunto, il Caro nel suo tentativo di riproporre i classici in una veste volgare aulica, il Berni, o piuttosto il Lasca, capostipite di quella tradizione tra giocosa e moraleggiante che ebbe una straordinaria fortuna anche nel periodo della Controriforma consegnandosi inalterata alla generazione arcadica.
In questi modelli c'è già tutto lo scrittore che ritornato a Milano, concentrerà, non a caso, la propria attività nell'ambito di quell'Accademia dei Trasformati che era, fra tiepidi tentativi di innovazione, la roccaforte della poesia arcadica, anche se rinvigorita da intenti moraleggianti sconosciuti alla prima generazione settecentesca; che stabilirà rapporti di amicizia col Baretti, il quale della "scapigliatura" cinquecentesca fu l'epigono più convinto e intransigente; che rivivrà col Passeroni e col Parini il sogno di una poesia classicistica motivata di intenzioni satiriche ma non disposta in alcun modo a una rottura definitiva con la tradizione accademica. Vero è che tali modelli venivano poi riproposti dal C. nella maniera più sbiadita e dilettantesca, come se, attraverso l'abuso della prassi accademica, non riservassero, nel clima rarefatto dell'arcadia "comica", altra possibilità se non quella di una brillante ma fredda esercitazione retorica. Anche sotto questo aspetto l'esempio del C., che volle in quasi tutti i suoi componimenti conservare l'anonimato, è indice di un'attività letteraria in deperimento, delegata nell'improvvisazione a gioco di società, occultata rispetto alla ben più prestigiosa autorità sociale dello scrittore.
Tra i suoi scritti, pubblicati con falsa indicazione del luogo di stampa, i Capitoli di un autore occulto (1785) costituiscono il contributo più spigliato che il C. abbia dato alla maniera giocosa; Gli occhiali magici,Sogno del premuroso Fuggi Fatica (1789) è un testo che riprende, dietro una invenzione di tipica marca seicentesca, la tradizione di una critica letteraria in apparenza spregiudicata, in effetti impressionistica e ossequiente ai più convenzionali gusti dell'accademia; infine il Sermone intorno ad alcune false opinioni tenute da varii nello scrivere poeticamente (1790) tocca, in più parti, aspetti essenziali della poetica contemporanea allorché ripudia una prassi puramente melodrammatica e metastasiana a favore di una letteratura più responsabile rispetto ai grandi avvenimenti di fine secolo, e cerca di definire, talvolta con osservazioni fini e degne di un classicista preparato, la strada maestra di una poesia moderna in cui la lezione dei latini si risolva, stilisticamente, in assoluta evidenza del dettato. È questa l'opera forse più interessante del C., quella in cui meglio si rivelano i debiti del letterato milanese contratti con l'ambiente sollecitante e per qualche aspetto innovatore dell'Accademia dei Trasformati, dominata dalle personalità ben altrimenti risentite del Passeroni e del Parini.
Certa critica alla vanità arcadica e al puro virtuosismo retorico sembrerebbe addirittura sospingerlo verso i risultati della critica pariniana, se poi non venisse a distanziarlo dal Parini un pronunciato senso di dilettantismo letterario, che toglie alle sue pagine molto del profondo impegno civile che il Parini annetteva indissolubilmente all'esercizio dello scrivere.
Esigua e, nel complesso, limitata culturalmente la produzione del poeta, resta abbastanza rilevante la sua attività di mecenate. Sposato a Milano con la contessa Imbonati, la sua casa fu una base di richiamo per molti intellettuali attratti dal maggior centro illuministico della penisola. Fu sempre in stretti rapporti col Baretti e aiutò anche finanziariamente il Passeroni, apprezzandone le doti di serena moralità e di vasta erudizione; bibliofilo di sicuro gusto, corredò la propria dimora di una raccolta non disprezzabile di testi in volgare, soprattutto cinque e seicenteschi, scelti, secondo le proprie predilezioni, nella tradizione di quella poesia giocosa che costituiva come l'indice del suo disimpegno letterario e il campo vastissimo di una rinnovabile duttilità salottiera; si professava anche amante delle scienze e dilettante di filosofia, secondo un atteggiamento diffuso che aveva il suo modello nell'abito del "philosophe" di cultura enciclopedica, e in questo stile teneva a dimostrarsi aperto alle idee nuove, anche se in politica non sembra che abbia assunto posizioni compromettenti nell'ambito di quelle responsabilità pubbliche che erano invece richieste e assunte dagli uomini del Caffè.
Morì a Milano il 1º marzo 1794. Dei numerosi figli avuti con l'Imbonati, Piero fu continuatore del mecenatismo paterno e autore di sermoni satirici.
Bibl.: E. De Tipaldo, Biogr. d. Italiani illustri, IV, Venezia 1837, pp. 463 ss.; C. A. Vianello, La giovinezza di Parini,Verri,Beccaria, Milano 1933, pp. 77 ss.; G. Natali, Il Settecento, Milano 1949, ad Indicem.