CARACCIOLO, Francesco
Figlio di Giovanni Battista e di Maria Spinelli, il C., di cui si ignorano la data e il luogo di nascita, ereditò dal padre il titolo di duca di Martina. Nel 1647, allo scoppio dell'insurrezione di Napoli, egli da Picerno, raccolti uomini e cavalli, si recò a Buccino, quindi a Montefusco e poi ad Aversa, dove si andavano coadunando i baroni fedeli alla Spagna. Quando alla fine dell'ottobre cominciarono gli scontri con i ribelli, fu inviato dal comandante Vincenzo Tuttavilla, che si era impadronito di Nola, Scafati e Torre Annunziata, a presidiare Torre del Greco (2 novembre), dove però egli non riuscì a prevalere. L'11 novembre prese parte ai combattimenti che si svolsero presso Somma ed il 27 a quelli nei pressi di Cardito.
Avuta nel dicembre la nomina a vicario generale in Principato Citra e Basilicata, per non urtare la suscettibilità, del vicario uscente, molto influente a corte, il C. dovette differire la partenza per Salerno, che cadde così in mano degli insorti, guidati da Ippolito da Pastena. L'instabilità e la precarietà della situazione nella provincia suggerirono al C. di cercar di far rifugiare la famiglia a Roma, presso un suo cognato. Da Buccino il 23 dicembre, con l'intento di condurre moglie e figli ad imbarcarsi ad Otranto, si avviò alla volta di Marsico Vetere (Potenza), ma lì giunto dopo una lunga marcia nella neve trovò la cittadina in mano ai popolari. Riparato a Picerno, il C. affidò la famiglia a Orazio Caracciolo, perché la riconducesse a Buccino, ma dovette anch'egli subito dopo raggiungere i suoi a marce forzate, dopo aver abbandonato a Picerno, dimostratasi tutt'altro che sicura, tutto il suo bagaglio. Lasciata la moglie ed i figli nel castello fortificato, si avviò con diciotto cavalli verso Ferrandina (Matera), per trovarla, dopo quattro giorni di viaggio, in mano ai ribelli. Tentato con lo stesso risultato di entrare a Gravina, si diresse a Taranto, ma gli fu impedito l'ingresso nella città, con il pretesto che la sua presenza avrebbe potuto creare disordini. Poté finalmente fermarsi a Francavilla (Potenza), mentre Taranto si sollevava a sua volta. Qui finalmente i baroni filospagnoli organizzarono la resistenza e, radunati uomini ed alcuni pezzi di artiglieria, profittando anche di dissensi sorti fra i comandanti nemici, assieme al C., sul cui capo era stata posta dai popolari una taglia di 10.000 ducati, il 13 febbr. 1647 si impadronirono di Taranto, riportandola all'obbedienza. Dopo aver marciato, l'8 ed il 20 marzo, assieme al conte di Conversano, contro Altamura, dove si era arroccato il capo popolare Matteo Cristiano, il C. si impegnò con successo a soffocare la rivolta a Martina Franca.
Compiuta una rapida puntata a Napoli, ove ossequiò il nuovo viceré, conte di Ofiate, il C. si portò a Salerno, arresasi alle truppe regie il 12 aprile. Qui, represso un disordine verificatosi nel luglio, il C. si accinse nell'agosto a mettere la città in assetto per respingere un eventuale attacco dal mare. L'armata francese infatti, guidata dal principe Tommaso di Savoia si era impadronita di Procida il 9 agosto e minacciava la costa salernitana. Lo sbarco nemico avvenne a Vietri, ma i Francesi furono ributtati in mare, dopo tre giorni ed il C. ricevette i ringraziamenti di don Giovanni d'Austria e di Filippo IV. Subito dopo il C. si adoperò per riportare lo ordine nella città e nel territorio, neutralizzò il brigante Tittarello ed intercesse presso il vicerè in favore di Vietri e di Pastena.
Il C. rassegnò le dimissioni dal suo ufficio nel novembre dello stesso anno e, abbandonando la vita pubblica, cui si era dedicato per circa un anno, si ritirò a Buccino, dove morì il 12 luglio 1655.
Aveva sposato Margherita Colonna, morta nel 1631, e Beatrice Caracciolo, da cui ebbe Petraccone, Giambattista, Innigo ed Isabella.
Il C., che aveva acquistato Locorotondo (Bari) nel 1645 e Mottola (Taranto) nel 1653, fu un uomo avido sia riguardo alle comunità che costituivano i suoi feudi - aveva posto una tassa sulla farina e monopolizzava la macinazione - sia riguardo agli amministrati delle province presso cui era stato vicario, secondo la severa testimonianza del Capecelatro.
Fonti e Bibl.: T. De Santis, Historia del tumulto di Napoli, Leyden 1652, pp. 280, 336, 338-341, 355, 365, 393 s., 426 s., 439; M. Bisaccioni, Historia delle guerre civili di quest'ultimi tempi, Venezia 1653, pp. 445-48, 453, 455-585 469, 502-508; F. Capecelatro, Diario, a cura di A. Granito, II, 1, Napoli 1850, pp. 60, 194 s., 210, 247, 295, 314, 466, 540; II, 2, ibid. 1850, pp. 235, 282; III, ibid. 1854, pp. 99-107, 110 s., 118 s., 241, 381, 402, 408, 413 s., 416 s., 419-21, 427, 429, 443 s., 450, 463, 475, 503; I. Fuidoro, Successi del gov. del conte d'Oñatte, a cura di A. Parente, Napoli 1932, pp. 48-57, 73; L. Pepe, Nardò e Terra d'Otranto, Trani 1895, pp. 141, 143-145, 149-51; G. Carucci, Ippolito di Pastina..., Salerno 1909, passim; R. Villari, Mezzogiorno e contadini nell'età moderna, Bari 1961, pp. 122-124, 131; F. Fabris, La geneal. della famiglia Caracciolo, a cura di A. Caracciolo, Napoli 1966, tav. XXV.