CARACCIOLO, Francesco
Nacque a Napoli il 18 genn. 1752 da Michele dei Caracciolo di Brienza, creato duca da Carlo di Borbone nel 1738, e da Vittoria Pescara, figlia del duca di Calvizzano. Fu educato nel collegio Caracciolo in piazza S. Giovanni a Carbonara. A cinque anni fu nominato, con ordine reale del 7 giugno 1757, guardiamarina soprannumerario con la dispensa per la minore, età, e quindi, nel 1761, guardiamarina proprietario: gli fu molto utile in ciò la parentela col capitano generale della marina Michele Reggio, fratello della sua nonna paterna. Il 14 giugno 1766 venne imbarcato sulla fregata "S. Amalia" fino, al 19 genn. 1767: il 19 ag. 1767 fu nominato alfiere di fregata e il 3 novembre imbarcato sulla fregata "S. Ferdinando" su cui rimase fino al 1769. Come secondogenito, il C. fu ammesso il 22 nov. 1769 nell'Ordine di Malta. Il 1º apr. 1771 s'imbarcò sullo sciabecco "S. Pasquale" e poco dopo fu promosso alfiere di galea. Nel 1772 il prozio Reggio gli concesse una pensione vitalizia di 30 ducati annui sui frutti della sua commenda di Bottigliera in Lombardia. Dopo nove anni di navigazione, già tenente del battaglione di marina, il C. ottenne "due anni di Real licenza con soldo per Malta" dal 22 giugno 1772 al 28 ag. 1774. Fu di nuovo imbarcato il 7 giugno 1775 sulla fregata "S. Amalia" e il 16 maggio 1778 ebbe il comando della goletta "S. Giuseppe". Nel 1779 fu inviato dal ministro Acton sulla nave inglese "Marlborough" per addestramento, insieme con altri giovani ufficiali napoletani. Ritornò a Napoli il 1º sett. 1781 e, promosso tenente di vascello, guidò, l'anno seguente, la "Dorotea" in frequenti, vittoriosi scontri con i pirati marocchini. Nel 1784 fu nominato capitano di fregata e comandò lo sciabecco "S. Gennaro il Vigilante" nella guerra contro i pirati algerini.
Nella primavera del 1787 Domenico Pescara, comandante del dipartimento di Marina e commendatore dell'Ordine gerosolimitano, chiese al re di poter "rimettere in Malta a quell'Em.o Gran Maestro una sua real commendatizia" perché fosse trasferita al C. suo nipote. Ma il gran maestro Emanuele di Rohan oppose un netto rifiuto, che probabilmente intendeva colpire un cavaliere entrato nell'Ordine per consuetudine di classe, senza alcuna vocazione religiosa, e di cui anzi si sospettava l'affiliazione alla massoneria. Due anni dopo, comunque, il C. otteneva da Pio VI - con lettere apostoliche del 13 apr. 1789 - una pensione vitalizia annua di 65 ducati d'oro e 9 giuli di moneta romana sui frutti della mensa vescovile di Monopoli. Nel 1791 - secondo quanto riferisce il Maresca - il C. avrebbe consigliato alla Corona napoletana di impadronirsi di Malta, emporio del Mediterraneo "in forza del diretto dominio, che [il re di Napoli] sempre conserva sull'isola, poiché ne fu il donatore, poco importandoli la sussistenza dell'Ordine che vi si trova e la difende"; Ma la proposta non ebbe seguito per l'opposizione manifestata dal balì Pignatelli e per lo scarso interesse della Corona.
Intanto il 12 ag. 1790 il C. fu promosso capitano di vascello, e al comando del "Tancredi" dal 1791 continuò a dare la caccia ai pirati barbareschi. Incaricato - nel marzo 1792 - di scortare la nave toscana "Ferdinando III", si trovava nel porto di Livorno quando fu avvistata una fregata algerina armata di quaranta cannoni, che però sfuggì all'inseguimento. Due mesi dopo egli affondò due sciabecchi algerini nella rada di Cavallaire in Provenza, in acque territoriali francesi. Ne scaturì un grave incidente diplomatico: il governo napoletano sottopose a processo il C., che fu rinchiuso nella fortezza di Gaeta dall'agosto al dicembre 1792. Liberato, fece parte della squadra borbonica inviata in appoggio alla flotta inglese negli scontri che opposero la prima coalizione europea alla Francia rivoluzionaria. Al comando ancora del vascello "Tancredi" militò, nel 1793, agli ordini dell'ammiraglio inglese Hoed durante l'assedio di Tolone; nel 1794 protesse dinanzi a San Fiorenzo lo sbarco in Corsica delle truppe inglesi del generale Dundas. Il 1º marzo 1795 raggiunse, insieme con la squadra napoletana, la flotta inglese del Mediterraneo comandata dal viceammiraglio Hotham a Livorno e il 14 marzo combatté valorosamente nella battaglia di capo Noli insieme coll'avanguardia della flotta inglese, costringendo alla resa due vascelli francesi. Il 10 genn. 1797 fu promosso brigadiere.
Dopo la morte del padre (3 febbr. 1797) e la rinunzia del fratello Giuseppe Maria, gravemente ammalato (morirà nell'agosto successivo), alla primogenitura e al patrimonio ereditato anche dalla madre per evitare lo smembramento dei beni, il C. divenne duca di Brienza e fu chiamato a corte dal re come maggiordomo di settimana e gentiluomo di camera con entrata. La narrazione delle ultime spedizioni contro i pirati africani e della fuga della corte a Palermo e contenuta nel ben noto Giornale di navigazione, autografo del C., dal marzo 1798 al febbraio 1799. Il C. comandò in quest'ultima fase della sua milizia borbonica una divisione, formata dal vascello "Sannite" e dalle fregate "Aretusa", "Cecere" e "Sirena", con cui diede la caccia ai corsari barbareschi dal marzo al dicembre 1798. Il 23 dicembre imbarcò sul "Sannite" gran parte della corte e i familiari del ministro Acton, mentre la famiglia reale prese posto sull'ammiraglia inglese: dopo una difficile traversata la corte borbonica fu sbarcata, tra il 26 e il 27, a Palermo. Il "Sannite" compì altri due viaggi, nel gennaio 1799, da Palermo a Messina e infine il 4 febbraio venne posto in disarmo. In precedenza - il 28 dicembre e l'8 gennaio - la flotta napoletana era stata distrutta, per ordine di Nelson, dal commodoro portoghese Campbell per evitare - che se ne impadronissero i rivoluzionari. Questi eventi, insieme con la preferenza accordata dai sovrani all'ammiraglio Nelson nella fuga dalla capitale, furono probabilmente i motivi prossimi della richiesta presentata dal C. al re di potersi recare a Napoli - dove il 25 gennaio era stata proclamata la Repubblica - per sistemare i suoi interessi privati. Con lettera dell'11 febbr. 1799 il re accordava il richiesto permesso, sottolineando "il ben noto zelo ed attaccamento al real servizio".
Il 5 marzo 1799 il Monitore Repubblicano di Eleonora de Fonseca Pimentel annunciava con entusiasmo l'arrivo del C. "bravo come nautico, bravo come militare, più bravo come cittadino...". Un mese dopo il C. sostituiva Raffaele Doria come direttore generale della marina della Repubblica, e il 5 aprile emanava un violento proclama antiborbonico, cui fecero seguito altri due ardenti appelli rivoluzionari il 9 aprile e il 16 maggio. Privo di una vera flotta, il C. riuscì a mettere insieme alcune navi con cui compì alcune gloriose imprese in difesa della Repubblica. Il 17 maggio attaccò la flotta borbonica che difendeva Procida e mise in grosse difficoltà l'ammiraglia "Minerva" comandata dal conte Thurn; ancora affrontò valorosamente le navi borboniche tra Sorrento e Castellammare e infine, il 13 giugno, sostenne fino all'ultimo, con le sue cannoniere, i difensori del ponte della Maddalena. Caduta la Repubblica, chiusi gli accessi a Castelnuovo e a Castel dell'Ovo - dove s'erano raccolti gli ultimi rivoluzionari -, il C. si rifugiò nel feudo materno di Calvizzano insieme con il fedele pilota Antonio Chiapparo - nominato l'anno prima suo erede universale -, ma fu denunziato da un certo Gaetano Carandente e arrestato dal colonnello della borbonica Scipione La Marra il 25 giugno. Il C. fu escluso dalla famosa capitolazione del 19 giugno - mediante la quale il cardinale Ruffo faceva salva la vita agli ultimi difensori della Repubblica - per espressa volontà della regina e del re che, in due lettere del 19 e del 20 giugno al Ruffo, segnavano la sorte dell'ammiraglio.
Il 29 giugno, alle nove di mattina, fu condotto a bordo del "Foudroyant", la nave ammiraglia inglese, e il Nelson ordinò al conte Thurn di riunire e presiedere un consiglio di guerra formato da cinque ufficiali borbonici per il giudizio. Secondo un testimone, il C. tentò di difendersi rovesciando sul re fuggiasco l'accusa di tradimento, ma il tribunale a maggioranza lo condannò a morte per impiccagione. Per ordine del Nelson, il Thurn fece eseguire alle cinque pomeridiane l'impiccagione del C. all'albero di trinchetto della fregata "Minerva" e ne fece gettare in mare il corpo, che, venuto in superficie qualche giorno dopo, fu sepolto nella chiesa di S. Maria della Catena a S. Lucia.
Fonti e Bibl.: Nota di beni confiscati ai rei di Stato, Napoli 1800, pp. 64-67; Proclami e sanzioni della Repubblica napol., a cura di C. Colletta, Napoli 1863, p. 57; V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napol. del 1799, a cura di N. Cortese, Firenze 1926, pp. 320 s.; E. De Fonseca Pimentel, Il Monitore Repubblicano del1799, a cura di B. Croce, Bari 1943, pp. 63 s.; La riconquista del Regno di Napoli nel 1799. Lettere del card. Ruffo,del re,della regina e del ministro Acton, a cura di B. Croce, Bari 1943, pp. 221 s.; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1957, II, p. 113; M. D'Ayala, La nobiltà napol. nel 1799, Napoli 1873, pp. 4 s.; F. Lemmi, Nelson e C. e la Repubblica napoletana(1799), Firenze 1898, pp. 58, 60 s., 63; B. Maresca, La marina napol. nel sec. XVIII, Napoli 1902, pp. 95-98, 105, 109, 114, 127, 154-57; G. Eller Vainicher, L'ammiraglio F. C. diBrienza, Parma 1937; A. Caracciolo di Torchiarolo, Notizie edite ed ined. su F. C., in Rass. stor. del Risorg., XXV (1938), pp. 483-507; N. Cortese, Il Mezzogiorno ed il Risorgimento italiano, Napoli 1965, pp. 157-173; F. Fabris, La geneal. della famiglia Caracciolo, a cura di A. Caracciolo, Napoli 1966, tav. XII.