CANCELLIERI, Francesco
Nacque a Roma da Pier Tommaso, di famiglia mediocre, e da Costanza Magnoni, il 10 ott. 1751. Fu dal 1762 allievo delle scuole gesuitiche del Collegio Romano, e seguì i corsi di filosofia sotto G. M. Gravina e quelli di retorica sotto G. C. Cordara, che gli si legò di affetto profondo, recandolo con sè nelle sue villeggiature estive e spingendolo all'attività letteraria. Giovanissimo, nel 1768, il C. fu fatto arcade e cominciò a comporre versi; meglio che nella versificazione italiana (nel 1766 e in quel medesimo 1768 aveva fatto imprimere le sue prime pubblicazioni, costituite da tre epigrammi di occasione) riusciva nelle composizioni in latino; nel 1770 dedicava al cardinale Andrea Corsini, fiero antigesuita e filogiansenista, una sua Elegia (De redintegrata concordia inter Romanam aulam ac Portugalliae et Algarbiorum regem..., Romae 1770), in cui forse può ravvisarsi un primo esempio del suo candido e tenace istinto carrieristico. Riuscitogli vano il tentativo di stringere rapporti con il Corsini, mortogli intanto (pare nel 1771) il padre, il C. abbandonò gli studi, e il Cordara, di cui egli, giovane accattivante per le buone maniere e l'aspetto piacente ("preclarae quoque speciei erat", dirà di lui il Cordara nei suoi Commentarii, p. 129), era lo zelante factotum, cercò di trovargli una sistemazione come segretario o agente presso qualche cardinale o nobile in Roma o fuori; ma proprio allora l'azione avviata contro la Compagnia di Gesù, culminata il 21 luglio 1773 nella soppressione formale, veniva privando il C. dei suoi più potenti protettori, anche se il Cordara, rifugiatosi nel natio Piemonte, continuò di là ad adoperarsi in suo favore. Già nell'estate del 1772, pare per esplicita opposizione del pontefice, il Garampi, nunzio in Polonia, non riusciva a condurlo con sé a Varsavia; e soltanto nel 1773 il C., dopo esser stato per breve periodo segretario del senatore A. Rezzonico e suo accompagnatore in un iter italicum che toccò Firenze, Pisa, Bologna, Padova e Venezia, riuscì a trovare sistemazione in Ferrara come segretario del locale arcivescovo B. Giraud, e vi trasferì anche madre e sorelle.
Nel frattempo, all'inizio del 1771, la fortuna, favorita dal felicissimo senso dell'opportunità del C., aveva tenuto a battesimo la sua prima impegnativa prova letteraria: si trattò dell'edizione del frammento sconosciuto di Livio palinsesto nel Pal. lat. 24 della Biblioteca Vaticana (E. A. Lowe, Codices latini antiquiores, I, Oxford 1934, n. 24), che era stato scoperto e trascritto l'anno precedente da P. J. Bruns e dal gesuita V. M. Giovenazzi e di cui il C. curò la pubblicazione, premettendovi una dedica al cardinale G. B. Rezzonico e una introduzione storica e aggiungendo al testo edito in trascrizione diplomatica e alle note del Giovenazzi una sua trascrizione interpretativa.
La pubblicazione fu preceduta da una vivace polemica sulla genuinità della scoperta e lo stesso Clemente XIV pretese una perizia, compiuta da P. L. Galletti e da G. L. Amadesi (e pubblicata nel volume, pp. LXVII s.), che diede pienamente ragione agli scopritori e al C., datando esattamente il frammento al sec. V. Il C., che pure nell'opera di scoperta, di interpretazione e di commento dell'importante brano non aveva avuto alcun merito ed alcuna parte, finì per esserne il maggior beneficiario; lodatissimo dai censori ufficiali (p. LX), attento propagandista di se stesso (l'opera fu largamente diffusa e fatta conoscere anche all'estero), esperto manipolatore di un arcaico e difficile latino letterario che doveva suscitare l'ammirazione di un pubblico erudito dai gusti antiquari e neoclassici, egli era e doveva sentirsi tuttavia estraneo alla problematica ed al metodo propri della ricerca filologica e in particolare della filologia formale; e non proseguì su una strada, quella del recupero e dell'edizione di testi classici ignoti, sulla quale si sarebbe posto poco più tardi il Mai.
Nel settembre del 1774, trasferitosi a Roma il Giraud (per il conclave da cui sarebbe stato eletto Pio VI) dopo aver rinunciato all'arcivescovado di Ferrara anche il C. ritornò nella città natale, stabilendosi nella casa d'angolo fra via Giulia e via del Mascherone, ancora esistente, ove sarebbe vissuto sino alla morte. Nella primavera del 1775 egli fu nominato bibliotecario del neocardinale L. Antonelli e provvide a sistemare secondo un ordinamento per materie e con due indici, rispettivamente per autori e per soggetti, la di lui notevole raccolta libraria, sita nella galleria del palazzo Pamphili in piazza Navona. Con l'Antonelli, cui restò sempre devoto, il C. trovò finalmente una sistemazione congeniale alla sua vocazione erudita e classificatoria; mentre i rapporti sempre più stretti con studiosi come il Garampi, il Galletti, Gaetano Marini e un viaggio compiuto nelle Legazioni nel 1777 (vi conobbe il Monti, l'Olivieri, il Trombelli) ne precisavano gli orientamenti culturali, e l'appartenenza a quello che potremmo definire il "partito gesuitico" di Roma ne qualificava, anche attraverso i legami epistolari con il Cordara e il Tiraboschi (non sempre del tutto esenti da contrasti), la connotazione pubblica.
Il lungo pontificato di Pio VI, segnato da numerose iniziative intese alla celebrazione trionfalistica della Roma archeologica e di quella pontificia nei rispettivi aspetti più esteriori, fornì al C. gli spunti e le coordinate essenziali della sua sempre più cospicua ed infine anche omogenea (pur nell'apparente disorganicità) attività letteraria.
L'erezione da parte di Pio VI della nuova grande sagrestia neoclassica della basilica vaticana gli offrì l'occasione per l'ideazione e la stesura dell'opera sua maggiore per mole, il De secretariis basilicae Vaticanae, edito a Roma in quattro grossi volumi nel 1788.
In essa, oltre alla preistoria e alla storia dell'istituzione, si susseguono descrizioni di chiese, di monumenti, di singoli cimeli, edizioni di epigrafi e di documenti (come nell'appendice sulla biblioteca della basilica); il quarto volume, dedicato all'edizione delle iscrizioni vaticane, anche moderne, reca in appendice la pubblicazione degli Arti degli Arvali curata da G. Marini (pp. 2033-2128). Nel suo complesso l'opera appare come una indigesta summa di sapere antiquario, messa insieme, secondo l'autore (I, p. XIX: non è detto però che debba darglisi fede), in ben dieci anni di lavoro; ma, al di là della sua ancora utile funzione di fonte, essa ha il merito di rivelare ben precisi gli interessi principali cui il C. voterà d'ora in poi la sua attività di studioso: la storia della liturgia cattolica e dei riti romani, e la topografia sacra della città di Roma. Inoltre in essa si rivelano altri due aspetti caratteristici dell'opera del C.: e cioè il metodo della successione apparentemente disordinata di notizie legate fra loro per esteriori analogie e riordinate soltanto alla fine in accurati e complessi indici; e il gusto tutto fantastico e letterario, ma anche a volte compiaciutamente morboso, per l'aspetto esteriore degli oggetti, per il senso tattile delle materie, per gli abiti e le divise, e infine per le malattie (fu egli stesso un grande malato immaginario) e per le sofferenze fisiche, che si realizza in descrizioni minutissime, sconfinanti da un lato (specie nei testi in italiano) nella precisa piattezza della cronaca giornalistica (i giornali furono sempre fra le sue fonti preferite), e dall'altro (soprattutto nei testi in latino) nella ricerca e nell'accarezzamento della parola rara e desueta, del morbido diminutivo, dell'aggettivo elegante.
L'ultimo quindicennio del Settecento, sino alla grande crisi di fine secolo che travolse il pontificato del Braschi, vide precisarsi l'attività del C. nei sensi indicati, con la pubblicazione di una ricca serie di opere minori, dedicate da una parte alla celebrazione delle "cerimonie" pontificie e della liturgia sacra (Le cappelle pontificie e cardinalizie, I, Roma 1788: opera prevista in otto tomi, ma rifusa poi in un'edizione complessiva nel 1796), e dall'altra all'illustrazione dei singoli monumenti romani, quali il carcere Mamertino, la statua di Marforio, quella di Pasquino, ecc., destinata, nell'intenzione del C., non soltanto agli studiosi, ma anche ai turisti italiani e stranieri. Ma l'opera sua più organica e pregevole (un "archivio perenne e dilettevole", com'è definita nell'approvazione di L. de Torres, p. IX) fu compiuta soltanto al termine del periodo e all'inizio del nuovo secolo; a malgrado del futilissimo argomento, come molto spesso gli accadeva (Storiade' solenni possessi de' sommi pontefici detti anche processi..., Roma 1802), il C., nel narrare per ogni pontefice (da Leone III nel 795 a Pio VII nel 1801) le fasi e le particolarità della processione trionfale che dopo l'incoronazione li conduceva da S. Pietro in S. Giovanni, espone una grande massa di notizie, pubblica documenti non consueti, fornisce testi di notevole valore storico, soprattutto per l'età a lui più vicina, e riesce anche a giustificare esplicitamente il suo metodo di compilazione e di classificazione dei dati (pp. XVIII-XX). Nello stesso periodo egli venne insinuando sempre di più la sua figura e il suo prestigio nella società colta, stringendo fruttuosi rapporti sia con studiosi di fama quali E. Q. Visconti, G. Marini, F. Daniele, sia con cardinali o ecclesiastici influenti come S. Borgia, B. Chiaramonti (poi papa Pio VII), L. Litta, e raccogliendo con tutti i mezzi, anche i meno corretti, materiali manoscritti appartenuti a letterati o personaggi defunti. Sono noti i suoi sforzi per mettere le mani sui manoscritti e soprattutto sulle memorie del suo maestro Cordara, al fine, secondo le sue asserzioni, di prepararne un'edizione critica; ma probabilmente (come i fatti dimostrarono dopo la morte del gesuita piemontese e il passaggio di una parte delle sue carte al C.) soltanto per usa quei testi, ricchi di notizie e di giudizi di carattere politico e personale, al fine di accattivarsi il favore dei potenti personaggi, cui usò concederne a poco a poco brani o copie integrali, magari manipolate, o al fine di arricchire di particolari inediti le sue proprie opere; lo stesso fece ad esempio con i materiali dell'erudito G. C. Terribilini, a lui ceduti in prestito dal troppo fiducioso Garampi, e di cui egli abusò nelle sue pubblicazioni topografiche (vedi la minuta di una lettera del Garampi al C. in Archivio Segreto Vaticano, Fondo Garampi, ms. 277, n. 42). Altro mezzo per allargare la cerchia delle sue conoscenze e della sua influenza era allora offerto al C. dalla carica di agente in Roma della città di Ferrara, il che, per esempio, gli permise nel 1788 di apparire "bellissimo, elegantissimo, compitissimo" a L. Cicognara e di conquistarne l'entusiastica amicizia (Malamani, Memorie, I, p. 33).
La crisi di fine secolo ed i successivi rivolgimenti politici costrinsero il C., sempre legato allAntonelli e divenuto per nomina di Pio VI canonico di S. Giovanni in Laterano, ad uscire dal suo guscio romano; fatto soprintendente della Stamperia vaticana nel settembre del 1802 (secondo sue testimonianze; ma nel luglio del 1803secondo S. G. Mercati, Briciole, p. 207), partecipò fra il novembre del 1804ed il maggio dell'anno seguente alla spedizione pontificia in Francia che culminò il 2 dic. 1804 nell'incoronazione di Napoleone a Parigi.
Il viaggio in Francia rappresentò per il C. una importante svolta: abile come sempre nei rapporti sociali, egli seppe farsi apprezzare dalla società colta parigina; esaltò, nello sfarzo del cerimoniale imperide e di quello pontificio singolarmente confrontati, la sua passione per i fasti delle liturgie; accentuò, redigendo in un giorno un elogio del cardinale S. Borgia defunto improvvisamente a Lione, la fama delle sue miracolose doti di memoria e di dottrina; precisò la sua personale fisionomia di uomo cagionevole di salute e attentissimo agli umori del suo corpo, sofferente, com'era divenuto proprio alla vigilia del viaggio, di una piaga ad una gamba, dalla quale non sarebbe più guarito.
Del viaggio di Pio VII il C., cronista per vocazione, redasse due diversi Diari, ambedue oggi conservati manoscritti presso la Biblioteca Angelica di Roma e sulla cui genuinità i biografi del C. non si sono finora messi d'accordo (Seni, Vita, pp. 71-74). Il primo (ms. 2191), con frontespizio autografo, è il diario ufficiale, preciso fino nei minuti particolari e privo di ogni sia pur minimo giudizio di carattere politico; l'altro, invece (ms. 2131), copiato in parte da S. Siepi e in parte da un amanuense, è il diario privato, ricco di osservazioni particolari e curiose. Né l'uno né l'altro furono mai pubblicati dal C., che certamente avrebbe desiderato farlo, almeno per quanto riguarda il primo, ma dovette esserne impedito dalla censura pontificia, che pare abbia anche tentato di impossessarsi dell'autografo del diario ufficiale; né furono mai pubblicate le lettere-relazioni inviate durante il viaggio dal C. al cardinale G. Firrao, oggi proprietà Gerra (Praz, Omaggio, p. 380).
Tornato a Roma, il C., divenuto prosigillatore della S. Penitenzieria il 12 sett. 1807, continuò nella pubblicazione di operette topografiche, di elogi, di epistole erudite; ma l'occupazione francese (5 luglio 1808), la deportazione del cardinal Antonelli a Senigallia, ove morì (25 genn. 1811), la perdita dei benefici, una perquisizione poliziesca subita alla fine del 1809 lo turbarono profondamente e gli impedirono di produrre con la consueta abbondanza. È comunque del 1809 un'opera divisa, anche formalmente, in due contributi, l'uno dedicato alla questione delle origini di Cristoforo Colombo e l'altro all'identificazione dell'autore del De imitatione Christi, in cui il C., secondo una tesi già abbandonata, voleva vedere un G. Gersen abate di S. Stefano di Vercelli (Notizie storiche e bibliografiche di Cristoforo Colombo... Notizie storiche e bibliografiche di G. Gersen..., Roma 1809); si tratta nel complesso, così come l'autore stesso afferma, di una "biblioteca Colombaria e Gerseniana" (p. 347), cioè di una guida biobibliografica ragionata allo studio delle due questioni recentemente da altri studiosi risollevate: un tipo di produzione occasionale, caratterizzata dalla casualità del collegamento dei dati, che diverrà sempre più propria e specifica del C. ormai vecchio; il quale, dopo un breve periodo di relativo silenzio consumato fra il 1810 ed il 1811, rinchiusosi in casa anche per mesi in preda ad ossessive sofferenze fisiche (per cui nel 1815, dopo il ritorno di Pio VII a Roma, ottenne alla Stamperia un coadiutore), disperse ulteriormente le fila della sua attività letteraria, allargando i suoi interessi alla letteratura volgare, alla storia della scienza, alle curiosità più diverse, allontanandosi così dalla tradizione culturale più viva e propria della Roma neoclassica, e cioè da quella specificamente antiquaria (cui del resto non aveva mai appartenuto a pieno diritto), senza potersi inserire, anche per i limiti della propria preparazione culturale, oltre che per disinteresse, nella nuova tematica linguistico-letteraria agitata dai Monti e dai Perticari, o in quella filologica, di cui erano campioni un Mai o un Amati.
Nella Roma cosmopolita ch'era stata di Goethe e accoglieva ora, con la Restaurazione, Niebuhr, l'Akerblad, Bunsen e tanti altri filologi, storici dell'antichità, archeologi, artisti di ogni regione d'Europa, il C., padrone della sola lingua francese, lettore di libri vecchi di decenni o di secoli e di gazzette, finiva così per simboleggiare nella sua persona (forse ingiustamente) la parte più arretrata ed isolata della erudizione romana contemporanea. Eppure proprio in questo periodo il suo metodo di compilazione di notizie e di informazione bibliografica, la sua capacità di elaborare in brevissimo tempo strumenti di informazione, futili e disorganici quanto si vuole, ma sufficientemente corretti e funzionali, raggiungeva i suoi migliori risultati dal punto di vista tecnico; a ciò contribuiva la sempre maggiore conoscenza che il C. veniva acquisendo dei fondi manoscritti delle biblioteche romane e di alcune fonti documentarie, da lui abilmente utilizzate.
Fra le opere degli anni della Restaurazione va ricordato, oltre ad un incondito zibaldone sulla presenza portoghese in Roma, rimasto inedito e pubblicato soltanto in questo, secolo (Roma lusitana, a cura di A. de Faria, Milano 1926), il fortunato saggio sulla cosiddetta visione di Alberico e sull'originalità della Commedia dantesca, in cui il C., prendendo lo spunto da scritti di G. Di Costanzo e di P. Pozzetti, pubblicava il testo della Epistola fratris Alberici Cassinensis traendolo da un codice della Biblioteca Alessandrina, con una traduzione in volgare, e nella lunga introduzione finiva per ammettere la possibilità di una diretta dgrivazione del poema dantesco dalla fonte cassinese (Osservazioni intorno alla questione promossa... sopra l'originalità della Divina Commedia di Dante..., Roma 1814). meritandosi perciò le critiche immediate di G. G. De Rossi (cui rispondeva nel 1815 stesso ammettendo di avere errato nel giudizio critico), e poco più tardi quelle durissime di U. Foscolo in una lunga recensione pubblicata in Inghilterra (Edinburgh Review, XXX, giugno-settembre 1818, pp. 317-351). Ancora più violenta ("articolo sanguinoso" lo definì il C.: Lettere di F. C. a F. Scolari, p. 33) era la recensione che nel frattempo la Biblioteca italiana di Milano (I [1816], pp. 298-304) aveva dedicato ad un'altra opera del C., forse altrettanto nota e fortunata della precedente, ma ben più futile: la Dissertazione intorno agli uomini dotati di gran memoria e di quelli divenuti smemorati… (Roma 1815), in cui, in mezzo ad un'enorme congerie di notizie fra le più strane e curiose, e accanto all'enunciazione di metodi di "memoria artificiale", compariva anche per la prima volta alle stampe il nome del giovanissimo G. Leopardi (pp. 87-89). L'incontro, prima soltanto epistolare, poi anche personale, con costui, fu l'episodio ai nostri occhi di posteri più significativo della senilità del C.; ma probabilmente per lui (che non era il Giordani), il Leopardi, cui pure dedicò alti elogi, costituiva soltanto un giovane di belle promesse e di nobile famiglia, cui era piacevole e conveniente rendere qualche servigio; mentre, com'è noto, al Leopardi (che gli dovette l'edizione romana, presso F. Bourlié, dei suoi primi parti poetici nel 1818 e che lo conobbe personalmente e lo frequentò nel soggiorno romano del 1822-1823) egli apparve come un "coglione", "un fiume di ciarle" (Epistolario, II, p. 190), insomma come un fatuo esponente di quella, per lui spregevole, società colta romana. Ma non è forse giusto ridurre a tali episodi (cui si può aggiungere la distaccata irrisione belliana: G. G. Belli, I sonetti, a cura di G. Vigolo, I, Milano 1952, p. 1940 nota) il senso di un intenso periodo di attività, che vide l'ormai settantenne C., dopo una nuova pausa intercorsa fra il 1815 ed il 1920 (ma del 1817, oltre ad una curiosa dissertazione sul "tarantismo", è l'importante Elenchus dei libri editi dalla Stamperia di Propaganda, di cui manteneva la direzione), impegnato ancora una volta in una vivace produzione letteraria orientata sia nei settori a lui più abituali della topografia romana e della storia ecclesiastica (si ricordano qui le notevoli Notizie istoriche delle chiese di S. Maria in Iulia, di S. Giovanni Calabita e di S. Tommaso degli Spagnuoli..., Bologna 1823, con ricca silloge di iscrizioni moderne; le Notizie istoriche delle stagioni e de' siti diversi in cui sono stati tenuti i conclavi nella città di Roma..., Roma 1823, di informazione esatta e di stampo cronachistico; le Notizie sopra l'origine e l'uso dell'anello piscatorio..., Roma 1823, unico, e ovvio, contributo del C. alla scienza diplomatica), sia in quelli dell'epigrafia cristiana (Dissertazione epistolare sopra due iscrizioni delle martiri Simplicia madre di Orsa e di un'altra Orsa..., Roma 1819: ma si tratta di un contributo prevalentemente di onomastica), dell'edizione di testi letterari o di documenti storici, della storia della scienza, a proposito della quale raccolse un imponente materiale sulle vicende della prima Accademia dei Lincei, rimasto manoscritto (Bibl. Apost. Vat., mss. 9679-9685, e Bibl. dell'Acc. naz. dei Lincei e Corsiniana di Roma, mss. 40 e 41-42). Tanti e così diversi contributi furono sollecitati probabilmente anche dal desiderio di comparire attivamente sul duplice palcoscenico letterario dell'erudizione romana, costituito allora dalle Effemeridiletterarie da un lato e dal nuovissimo (e severo) Giornale arcadico dall'altro; cui il C. collaborò con una certa costanza, non affievolitasi con il passare degli anni.
Nel 1821 acquistò la casa al Mascherone ove abitava da decenni, e vi appose nell'atrio un'epigrafe ("Sum Francisci Cancellieri: o utinam celebrer fidis ego semper amicis, parva licet nullo et nomine clara domus") cui nel 1825 ne aggiunse altre quindici antiche, scavate presso l'Appia e tuttora esistenti in loco. Nel 1824 le ristrettezze economiche lo costrinsero a vendere ad un visitatore inglese dodici volumi di lettere a lui dirette (dal Tiraboschi, dal Cordara, dal Millin e dal Marini per la maggior parte) e di miscellanee erudite, oggi mss. Add. 22885-22896 del British Museum (Catalogue of additions to the manuscripts in the British Museum in the years 1854-1860, London 1875, pp. 757-765). L'ultima sua opera uscì postuma nel 1827 e consistette in un accurato catalogo della biblioteca manoscritta di P. Tioli (morto nel 1796), a lui affidata per l'ordinamento nel 1822. Era morto nella sua casa romana il 29 dic. 1826, a settantacinque anni.
Nel 1817 G. Perticari giudicava in una lettera il C. come "principe dei viventi eruditi nelle cose italiane" (Seni, Vita, p. 52) e lo considerava erede della tradizione muratoriana; ma in realtà a quella cultura erudita italiana, fatta di studi storici e diplomatici, e alla sua variante regionale romana, fatta soprattutto di antiquaria e di archeologia e culminata piuttosto nel Garampi, nel Visconti, nel Borghesi, il C. non appartenne mai, collocandosi in una linea che dall'erudizione spicciola da gazzetta e da giornale conduceva direttamente all'indigesta enciclopedia di G. Moroni. La sua più vera connotazione va invece individuata nella capacità di tradurre in termini di colta divulgazione alcuni grandi motivi della ideologia e della cultura italiana neoclassiche, dalla celebrazione trionfalistica del potere e della religione al gusto del cerimoniale fastoso, dal nazionalismo antiquario alla monumentalità eloquente (si pensi al coetaneo V. Monti) e nell'averli saputi adoperare in modo coerente ai fini di una rivalutazione del ruolo della Roma classica e cristiana, fatta rivivere, come un teatro, nei suoi momenti ed aspetti più esteriori di esaltazione. Nella sua indefessa opera di raccoglitore e di ordinatore di notizie il C. sfiorò alcune grandi questioni della storiografia erudita contemporanea, da quella agitata intorno alle reliquie dei martiri, a quella del rinvenimento nei palinsesti di testi classici ignoti, fino a quella relativa al significato dell'opera dantesca, ma non seppe mai fornire un contributo che non fosse ovvio, un giudizio che non fosse conformistico; e ciò non soltanto per l'indifferenza alla critica che era propria della sua bibliografia meramente classificatoria, ma anche per innata pavidità intellettuale. Resta di lui l'enorme ed in parte ancora utile apporto fornito alla conoscenza della liturgia cattolica romana, di cui fu per i tempi conoscitore esperto, e della topografia della sua città natale, allo studio delle cui "glorie antiche e moderne" affermava nel 1812 di avere dedicato l'intera vita (Lettera filosofico morale sopra la voce sparsa dell'improvvisa sua morte..., Roma 1912, p. 7), riassumendo così l'originale esperienza di quello che può essere considerato il primo dei "romanisti".
Fonti e Bibl.: Elenchi delle opere edite ed inedite del C. furono pubblicati più volte, sia da lui stesso in vita sia dai suoi biografi; i più completi sono quelli editi rispettivamente da G. T[omassetti], in Bibliografia romana. Notizie della vita e delle opere degli scrittori romani, I, Roma 1880, pp. 48-66, da A. Moroni, Nuovocatalogo delle opere edite e inedite dell'abate F. C., Roma 1881, e da F. Seni, Vita di F. C., Roma 1893, pp. 83-117. I manoscritti del C., contenenti testi di sue opere inedite e moltissimi zibaldoni inediti, sono finiti in buona parte alla Bibl. Apost. Vat. nel 1840 e costituiscono i Vat. lat. nn. 9155-9205, 9672-9711, 9728-9733, 10323-10324, 12924, pp. 188-351; altri se ne trovano nella Bibl. nazionale di Roma, Mss. vari, nn. 902-913. Il suo estesissimo epistolario è disperso; oltre all'importante blocco conservato nel British Museum di Londra e di cui si è detto, numerose altre lettere di lui e a lui si trovano nella Bibl. Estense di Modena, ove è anche (γ.22.2.3) un suo Elenco di scrittori fioriti in Roma dal 1740 al 1800. Vedi inoltre lettere del C. a G. Marini in Vat. lat. 9045, nn. 280-319; a eruditi napoletani in Bibl. naz. di Napoli, ms. XIX, 15 (7); al Vermiglioli in Bibl. Augusta di Perugia, ms. 1512 (cfr. G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti, V, p. 294); e inoltre nell'"Epistolario di B. Gamba" nella Biblioteca civica di Bassano del Grappa (cfr. ibid., LV, p. 295); ma si tratta evidentemente di indicazioni fornite qui solamente a titolo esemplificativo. Alcuni gruppi di lettere di e al C. sono stati pubblicati: Lettere di F. C. romano a Filippo Scolari veneto (1816-1820), a cura di S. Scolari, Pisa 1885; G. Albertotti, Lettere di G. C. Cordara a F. C. (1772-1785) pubblicate sugli autografi del Museo Britannico, I-III, Modena 1912-1916; vedi anche G. Albertotti, La corrispondenza Cancellieri-Tiraboschi, in Atti del I Congresso naz. di studi romani, II, Roma 1929, pp. 373-80. Esemplari di opere sue e a lui appartenuti e a volte postillati di sua mano si trovano presso la Bibl. Apost. Vat., la Bibl. dell'Acc. naz. dei Lincei (31.A.12), la Bibl. dell'Ist. di archeol. e storia dell'arte in Roma. Il catalogo della sua biblioteca (ms. in Vat. lat. 9688-9689) fu edito subito dopo la sua morte: Catalogo della libreria della ch. memoria dell'abate F. C., Roma 1827. Fonti contemporanee importanti per la conoscenza della biografia del C. sono: Lettre de M. Pouyard à M. Millin, in Magazin Encyclopédique, settembre 1809, pp. 105-118; I. Cordarae De suis ac suorum rebus aliisque suorum temporum usque ad occasum Societatis Iesu Commentarii, a cura di G. Albertotti-A. Faggiotto, Torino 1933, pp. I-XVII, 129-131, 377, 381, 383, 384, 405; Epistolario di V. Monti, a cura di A. Bertoldi, I, Firenze 1928, pp. 111 s.; IV, ibid. 1929, pp. 328, 342, 344; Epistolario di G. Leopardi, a cura di F. Moroncini, I, Firenze 1934, pp. 10, 17, 34, 39, 40, 197, 210-214, 236; II, ibid. 1935, pp. 124, 127, 180, 197-198, 203-204, 220-221, 240, 246, 267. Fra i necrologi: S. Siepi, Elogio del ch. abate F. G. C. romano, Perugia 1927; Ultimi uffizi alla memoria dell'abate F. C. romano, Napoli 1827 (con necrologio diC. A. de Rosa marchese di Villarosa); E. A. Muzzarelli, Elogio di F. C., in Giornale arcadico, LVI (1832), pp. 347-356. Oltre alla già cit. biografia del Seni, si vedano anche: G. Baseggio, F. C., in E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri, VI, Venezia 1838, pp. 409-424; D. Guéranger, Institutions liturgiques, II, Paris 1880, p. 579; V. Malamani, Memorie del conte L. Cicognara, Venezia 1888, I, pp. 25-27, 33-35; II, pp. 38 s., 164, 248, 273 s.; A. Favaro, Notizie sui cataloghi originali degli Accademici dei Lincei..., in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, s. 7, V (1893-94), pp. 1321-1339; G. Gabrieli, Gli storiografi della prima Accademia lincea, in Rend. dell'Acc. naz. dei Lincei, classe di scienze morali, s. 6, V (1929), pp. 81 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, XVI, 3, Roma 1934, pp. 39, 41, 50, 52 5.; S. G. Mercati, Briciole documentarie intorno a F. C., in Strenna dei romanisti, X (1949), pp. 207-219; M. Praz, Omaggio all'abate C., in Nuova antologia, 1º dic. 1951, pp. 379-390; C. Martini, Incontro del Leopardi col C., in Orazio, dicembre 1951, p. 78; P. Romano, Il C. e i suoi Diarii, ibid., ottobre 1952, p. 79; S. Timpanaro, La filologia di G. Leopardi, Firenze 1955, pp. 27 ss., 93, 95 s., 129; A. Petrucci, Note di diplomatica pontificia, in Archivio della Società romana di storia patria, LXXXIX(1966), p. 83; A. Cosatti, La riscoperta di Dante da Vico al primo Risorgimento. Mostra..., Roma 1967, pp. 79-82; H. Rienstra, Gaetano Marini and the historiography of the Accademia dei Lincei, in Arch. della Soc. rom. di storia patria, XCIV(1973), pp. 209-233; J. Bignami-Odier, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI, Città del Vaticano 1973, pp. 216, 228, 292, 311; Enc. Italiana, VIII, p. 689; Enc. catt. III, col. 515.