CALBO, Francesco
Nato a Venezia il 24 ag. 1760 da Giovanni Marco e da Lucrezia Crotta, percorse la tradizionale carriera dei giovani patrizi nelle magistrature minori: savio agli Ordini dal 1785 al 1790 e dal settembre 1796 al marzo 1797, era ancora in carica nel maggio del 1797 quando cadde la Repubblica veneta. Testimone diretto dunque, ma non protagonista, di vicende forse più grandi di lui (come ha osservato il Cessi, che ne ha ricostruito la biografia), la vita sua e quella di suo fratello Filippo trascorsero nel "grigiore di pigra mediocrità burocratica, senza prendere posizione aperta o assumere responsabilità decisive di fronte ai maggiori problemi di politica interna e internazionale" (Cessi, Le "Annotazioni"p. IV). Nel 1798 il C. pubblicò la Memoria che può servire alla storia politica degli ultimi otto anni della Repubblica di Venezia, un pamphlet aspro e risentito in cui attacca con violenza alcuni scritti di patrizi partecipi del governo democratico; "sfogo postumo, dettato da comprensibile nostalgia" spesso insincero e "in gran parte viziato da parzialità" lo definisce giustamente il Cessi. Più sereni e pacati i giudizi sui fatti e gli uomini nella sua corrispondenza quasi settimanale con Giacomo Giustinian; astio e risentimento sono del tutto assenti anche nelle sue celebri Annotazioni alle sedute del Consiglio dei rogati (Senato): le esperienze del periodo democratico che si interpongono tra i due scritti spiegano il mutamento sostanziale di tono.
Il C. ha voluto fare non "una cronistoria degli avvenimenti degli ultimi anni di vita della Repubblica" ma una "sobria, quotidiana registrazione dei lavori del Senato dal 1785 al 1797" (Cessi, Le "Annotazioni", p. VIII); egli annota i dibattiti con una obiettività ed uno scrupolo che giungono sino a rispettare anche il vincolo di segretezza che copriva le discussioni su alcuni argomenti; vanamente dunque, ha osservato il Cessi, si cercherebbero nelle Annotazioni quei particolari che ci avrebbero consentito di "penetrare un po' intimamente nella cognizione dello spirito del tempo e degli uomini di un momento assai agitato"; ciò nonostante il suo diario è documento prezioso dei sentimenti della classe dirigente veneziana alla vigilia del crollo dello Stato.
A differenza di altri esponenti del patriziato il C. non partecipò al nuovo governo democratico e si mantenne estraneo a qualsiasi carica pubblica anche durante i governi della prima dominazione austriaca e del Regno italico. Seguendo una parabola comune a parecchi nobili veneziani, il C. tornò invece alla ribalta durante la Restaurazione, in un clima segnato in modo evidente da quel desiderio di pace e di ordine che aveva permeato tanta parte della classe dirigente del '700. Nel 1816 fu nominato vicepresidente della Commissione generale di beneficenza di Venezia, nel 1824 consigliere di amministrazione del collegio-convitto di S. Caterina, nel 1826 fu aggregato come membro onorario dell'Ateneo veneto di Venezia. Testimonianza del prestigio raggiunto sotto l'amministrazione austriaca è la sua nomina a podestà di Venezia nel 1818, carica che conservò ininterrottamente sino alla morte, avvenuta il 13 nov. 1827.
Bibl.: R. Cessi, Il diario di F. C., in Atti e memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova, n.s., LIII(1936-37), pp. 159-165; Verbali delle sedute della Municipalità provvisoria di Venezia 1767. Appendice. Le "Annotazioni" di F. C. alle sedute dei Consigli dei Rogatti (1785-1797), a cura di R. Cessi, Bologna 1942.