CAETANI, Francesco
Nato l'11 marzo 1594 da Filippo e da Camilla Gaetani d'Aragona, a quindici anni fu condotto dallo zio cardinale Antonio in Spagna, dove rimase fino al 1616 come paggio alla corte di Filippo III. Nel dicembre 1614 la morte del padre lo rese duca di Sermoneta. La necessità di sollecitare da vicino benefici e pensioni lo trattenne però in Spagna fino al 20 ott. 1616, quando gli venne finalmente concesso il titolo di grande di Spagna, al quale sarà conferito, nel 1617, il carattere di perpetuità per i suoi discendenti. Rientrato in Italia, prese energicamente la direzione degli affari familiari.
Le condizioni economiche della casa non erano in quel momento floride, ma il C. le affrontò con decisione chiedendo anzitutto che gli fosse compilato un prospetto di tutti i debiti che gravavano sul bilancio familiare. Un aiuto gli venne in questo momento dal cardinale Antonio che rinunciò in suo favore ai beni ereditati alla morte del fratello cardinale Bonifacio.
Da tempo la famiglia andava svolgendo trattative per accasare il C., incontrando però grave ostacolo a un matrimonio vantaggioso nelle disagiate condizioni familiari. La concessione del grandato di Spagna facilitò finalmente la conclusione dei capitoli matrimoniali con Anna Acquaviva d'Aragona, figlia di Andrea Matteo, principe di Caserta e di Isabella Caracciolo, la quale nel 1635 erediterà i beni e il titolo paterni. Le nozze furono celebrate nel dicembre del 1618 e da esse nasceranno quattro figli: Filippo, erede del ducato di Sermoneta e del titolo di principe di Caserta; Maria Isabella; Andrea Matteo, abate di Valvisciolo, e un terzo figlio maschio il quale morì bambino.
Le strettezze finanziarie, non che ostacolare, stimolarono lo spirito d'iniziativa del C., che si dedicò con energia e accanimento al ripopolamento del feudo malsano e abbandonato di Ninfa: nel 1615 vi fece confluire alcune famiglie di San Felice Circeo, ritentando più tardi l'impresa con duecento nuclei familiari provenienti dall'Albania e infine, nel 1630, con una immigrazione di fiamminghi, senza tuttavia ottenere altro risultato che un'alta mortalità. Parallelamente, e con esito migliore, cercò di far rifiorire San Felice, mediante bonifiche e iniziative edilizie che si protrassero dal 1615 per oltre venticinque inni. Pare che intorno al 1626 tentasse di introdurvi l'arte della seta. A Sermoneta intanto, con la collaborazione degli architetti Breccioli e Rovelli, era impegnato in grandi lavori di restauro dei muri castellani e della rocca, dove in seguito adattò l'armeria. Nel marzo 1622 ottenne infine l'autorizzazione a costruire una torre a Fogliano.
Le difficoltà incontrate nell'estinzione del Monte Caetano, eretto nel 1604 dagli zii paterni, costrinsero il C. a chiedere a Gregorio XV, il 7 dic. 1621, l'autorizzazione per un nuovo Monte Sermoneta di 400.000 scudi. Ma i debiti continuavano ad angustiarlo, mentre la vita a Sermoneta gli era insopportabile. Rendevano più penoso il suo compito le recrudescenze periodiche della lotta con Sezze e, nel dicembre 1623, una sollevazione di popolo nella stessa Sermoneta, provocata dall'imposizione di una nuova colletta. Fu forse questo episodio che lo indusse, nel giugno seguente, ad una modifica dello statuto della comunità. Nel 1627 si sparse la voce della vendita di Sermoneta e forse il C. esaminò realmente la convenienza di una simile operazione, che gli avrebbe fruttato non meno di un milione di scudi.
Certo le difficoltà in cui il C. si dibatteva inasprirono un carattere di per sé poco malleabile, così da farlo ricordare per i suoi atteggiamenti tirannici e per le innumerevoli liti che suscitò con gli affittuari, lasciate in triste eredità ai suoi successori. Spesso inoltre si lasciò prendere la mano dal desiderio di salvaguardare la dignità del casato: così, mentre le necessità finanziarie lo costrinsero a vendere nel 1638 il palazzo degli Anizi sull'isola Tiberina, nel 1641, pur di non alienare il ducato di San Marco, che alla morte della zia Felice Maria Orsini sarebbe stato devoluto alla Curia del re di Napoli, lo acquistò per 50.000 ducati.
Le ininterrotte trattative presso la corte di Spagna per il conferimento di onori e pensioni diedero un ulteriore risultato nel 1626, quando Filippo IV nominò il C. capitano della cavalleria pesante e gentiluomo di camera. Il 27 dic. 1659 fu infine insignito del Toson d'oro, che gli sarà tuttavia consegnato solo dopo quattro anni. La morte di Anna Acquaviva, nello stesso anno, gli permise di passare a seconde nozze nel 1661 con Eleonora Al Mencia Pimentel, figlia di Antonio, marchese di Navarra e ministro di Filippo IV. Questi il 21 febbr. 1660 lo aveva nominato capitano generale di Milano. Il 21 novembre dello stesso anno il C. divenne governatore di Milano.
Per prepararsi all'incarico fece raccogliere in volume gli elementi fondamentali delle costituzioni emanate dalla corte di Spagna per quel governatorato e una raccolta di memorie e di ordinanze. La situazione che trovò a Milano era scoraggiante: la guerra dei trent'anni aveva grandemente danneggiato l'economia del paese, gravata soprattutto dalle pesanti contribuzioni imposte per gli alloggiamenti militari. Il trattato di pace tuttavia non era stato ancora perfezionato e il ritorno sul trono inglese di Carlo II costituiva un elemento di tensione da parte francese. Il governatore, conte di Fuensaldaña, non aveva potuto perciò prendere in considerazione una riduzione delle soldatesche, ed aveva rinviato le suppliche cittadine in tal senso all'esame del suo successore. L'arrivo del C. non mutò tuttavia la situazione: egli sollecitò infatti l'intervento dell'agente milanese a Madrid presso il marchese di Guzmán, allora membro del Consiglio di stato e di guerra, ma questi non si dimostrò un buon interlocutore. Anche per il settore laniero, il più colpito dalla crisi, non si ottennero risultati di rilievo con l'emissione incessante di grida ed ordinanze.
Il C. del resto poté fare ben poco dal momento che nel settembre del 1661 fu richiamato in Spagna, dove ormai era maturata la sua designazione a viceré di Sicilia. Dopo aver incontrato ad Alessandria, nel maggio 1662, il duca Rodrigo Ponce de León, che gli succedeva a Milano, il C. si recò a Madrid. Qui, il 24 sett. 1662 ricevette ufficialmente la carica viceregia.
Il C., preso possesso del suo ufficio a Palermo l'8 marzo 1663, iniziò il suo governo sotto buoni auspici riuscendo a sanare rapidamente un'accesa polemica sorta tra nobiltà antica e nobiltà nuova per questioni di precedenza: egli mostrò di sapersi districare con tatto e prudenza ma anche con sufficiente decisione. Sembrò anche che con queste doti potesse inaugurare un periodo di tregua nelle tensioni interne che il suo predecessore - il conte d'Ayala - aveva create, inasprendo le contese municipalistiche, che da tempo dividevano Palermo e Messina, e ostentando un comportamento sprezzante ed astioso nei riguardi dei Messinesi, che a un certo punto aveva fatto temere il peggio.
è probabile, in effetti, che il C. sia giunto in Sicilia anche con l'incarico di placare gli animi e riguadagnare simpatie alla Corona. D'altro canto è da tener presente che protettori dei Messinesi occupavano posti preminenti alla corte di Madrid e un cittadino di Messina, Ascanio Anzalone Escovedo duca della Montagna, era reggente del Supremo consiglio d'Italia: pertanto non sembra eccessivo ipotizzare che essi abbiano esercitato pressioni per ottenere la sostituzione del d'Ayala e abbiano cercato di guadagnare le simpatie del nuovo viceré alla loro città. È poi da considerare che il C. scelse a suo segretario un Giovanni López de Cortez, che a lungo era stato agente del Senato di Messina a Madrid e che ancora nel marzo 1663 era investito dal Senato dell'incarico di esercitare lo stesso ufficio presso il viceré. Questo aiuta anche ad intendere l'impegno con cui il C. prese a cuore, negli eventi succedutisi durante il suo viceregno, la causa di Messina.
Poco dopo il suo arrivo in Sicilia il C. riprese un'antica consuetudine che voleva che i rappresentanti della Corona alternassero la permanenza della corte nelle due maggiori città del Regno, consuetudine che il suo predecessore aveva ostentatamente ignorata, e il 23 maggio lasciava Palermo per sbarcare a Messina il 29 successivo accolto entusiasticamente dalla popolazione. Qualche giorno dopo giunse notizia che il sovrano, dopo avere accettato un donativo di 60.000 scudi offertogli dagli ambasciatori di Messina, aveva deciso di confermare i privilegi concessi in passato alla città e di concedere a essa anche una vera e propria privativa sulla "estrazione" della seta.
La cosa provocò nel Regno reazioni diverse e all'entusiasmo di Messina fece riscontro la costernazione viva di Palermo e di altre città dell'isola. Il cozzo degli interessi in gioco, notevolmente contrastanti, non poteva non travolgere lo stesso viceré, anche perché a intorbidare di più le acque risorgeva il vecchio spirito municipalistico, che divideva da tempo Palermo e Messina. Palermo e la Deputazione del Regno si opposero subito alla esecuzione del privilegio, che nella sola Palermo avrebbe lasciato senza lavoro circa 30.000 persone, e inviarono messaggeri altamente qualificati alla corte di Madrid per indurre il sovrano a revocare il privilegio.
Nello stesso tempo, per rallentarne i tempi di attuazione, si esercitarono pressioni sul C., ma costui, "nimicissimo e tutto per Messina in ciò", si mostrò sordo a ogni sollecitazione cosicché il pretore di Palermo, sentito il parere di avvocati ed eminenti giuristi, decise di fare opposizione legale al privilegio denunciando che esso ledeva profondamente i privilegi della capitale e gli interessi dei suoi cittadini. A questo punto il viceré, forse anche per superare l'ostacolo determinato dall'opposizione legale del pretore che sospendeva la validità del privilegio contestato, pensò di emanare una Prammatica, che ne ripetesse il contenuto, e convocò subito il Sacro regio consiglio perché l'approvasse.
Riferisce l'Auria, cronista non certo imparziale, che il C. "andava, ed egli ed il suo secretario, or con carezze or con minacce cercando e sovvertendo i voti di quei consiglieri, che all'effetto gli parevano avversi, cioè che inclinavano alla partita di Palermo" (p. 105). Ora, se pure non si dà credito a quanto scrive l'Auria, che d'altra parte sul fatto si rivela decisamente partigiano, è indubbio che il C. si aspettasse dal Consiglio un voto favorevole alla sua tesi; ma le cose andarono diversamente e la Prammatica fu respinta con 11 voti contro 10. Il 17 genn. 1664 la notizia del voto contrario del Sacro regio consiglio, con tutte le implicazioni che comportava sul piano economico e politico, si diffuse rapidamente per Messina ed il popolo scese tumultuosamente per le vie, minacciando incendi e distruzione, e s'accalcò davanti al palazzo del viceré.
Il C. sotto la pressione degli avvenimenti, e forse temendo violenze peggiori, riconvocò il Consiglio, e la Prammatica, riproposta al voto dei presenti, Venne approvata. Subito dopo egli stesso ne dava notizia alla folla da una finestra del palazzo e la calma ritornava in città. Ma la Deputazione del Regno e il Senato di Palermo non desistettero dalla loro opposizione e infine videro premiata tanta perseveranza perché alla fine di maggio si scrisse da Madrid al viceré affermando che "il privilegio… dell'estrazione della seta per Messina era contro la ragione… e di gran pregiudicio ed incomodo del regno" e ordinando che se ne sospendesse l'attuazione. Al C. non restò che attenersi agli ordini di Madrid. Egli però consigliò al Senato di Messina d'inviare ambasciatori al sovrano per ottenere la conferma del privilegio, "et detti Signori Ambasciatori partirono da Messana 19 agosto di detto anno 1664, havendo fatta l'uscita accompagnati dal Senato" (Ramirez, f. 444v).
Ma l'azione da loro svolta diligentemente fino al settembre 1665, e che pare il C. abbia sostenuto con lettere di raccomandazioni inviate ad amici e parenti, non sortì l'effetto sperato: prima il ritardo con cui il Consiglio d'Italia espresse il suo parere sulla questione poi l'aggravarsi delle condizioni di salute del sovrano e infine la sua morte fecero sfumare le ultime speranze dei Messinesi.
D'altra parte anche il prestigio del C. uscì abbastanza malconcio dalla questione; infatti insieme all'ordine di sospendere l'esecuzione del privilegio giunse al viceré anche quello di licenziare il segretario accusato di avere appoggiato non disinteressatamente la causa dei Messinesi.
Intanto, mentre si attendeva che il sovrano facesse conoscere il suo definitivo parere sulla validità o meno del privilegio, il C. convocava a Messina per il 24 nov. 1664 il Parlamento ordinario (scrive il Di Blasi: "volle dare ai messinesi l'ultima prova del suo amore") e nella prima seduta, che si tenne nel palazzo viceregio, esponeva ai tre bracci, nel rituale discorso di apertura, le necessità della Corona, chiedendo la conferma dei donativi ordinari e la concessione di uno straordinario per il "maritaggio" della principessa Margherita. Il 9 dicembre successivo i rappresentanti dei bracci comunicavano l'accettazione, da parte del Regno, delle richieste del sovrano e la concessione dei donativi. Il rappresentante di Messina comunicava, inoltre, che la città offriva al re la somma di 40.000 scudi per contribuire alle necessità del Regno e certamente ciò era legato alla speranza che il re riconoscesse valido il privilegio contestato.
Ai primi di gennaio del 1665 il C. rientrò a Palermo con la corte, e sembra che in seguito nulla sia intervenuto a turbare lo svolgimento della vita isolana. Nell'aprile 1666, allo scadere dei tre anni di governo, venne sostituito dal duca di Albuquerque, che però giunse a Palermo solo il 4 apr. 1667. Il giorno dopo il C. lasciò la capitale con la viceregina, dopo aver retto il Regno per quattro anni, "privatamente… temendo le villanie dell'irritato popolo e il dispregio della nobiltà" (Di Blasi, p. 382), e lasciando risentimenti e malcontento in tutta l'isola.
Ritiratosi a Roma, il C. vi morì il 9 ottobre del 1683.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Caetani, Fondo generale [vecchia numerazione], nn. 14460, 185524, 14877, 14878, 14897, 188048, 188070, 169947, 141201, 86589, 67774, 177669, 185875, 185878, 81813, 12526, 60156, 74226, 74227, 57330, 47198, 187314, 183963, 96834, 188100, 137707, 154105, 135568, 137441, 137470, 13744, 137438, 12324, 182505, 51583, 154105, 15822, 136022, 140056, 58987, 15831, 9207, 58989, 141539, 141535, 98899, 154927, 71001, 77640, 139563, 138038, 599974, 139285, 25056, 21489, 143706; Prg.2915, 2962, 3405, 3413, 3422, 2417, 2838; Misc. 168, 171-179; Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di A. Segarizzi, Bari 1913, II, pp. 85 s.; Archivio de Simancas, Catalogo XXIII. Papeles de Estado. Milan y Saboya, a cura di R. Magdaleno, Valladolid 1961, ad Indicem, sub voce Sermoneta; P. Verri, Storia di Milano, Firenze 1851, II, p. 325; F. Mutinelli, Storia arcana ed aneddotica d'Italia, Venezia 1855, p. 118; D. Muoni, Governatori dello Stato di Milano, Milano 1859, pp. 54 s.; P. Pantanelli, Notizie istor. appart. alla terra di Sormoneta, Roma 1911, I-II, ad Indicem;G. Caetani, Caietanorum genealogia, Perugia 1920, tav. A-XXXIX e pp. 79 s.; Id., Domus Caietana, II, San Casciano Val di Pesa 1933, pp. 100 s., 229, 279, 319, 327; F. Catalano, La fine del dom. spagnolo, in St. di Milano, XI, Milano 1958, pp. 151 s.; P. E. Visconti, Città e fam. nobili e celebri dello Stato pont., Roma 1847. Sul Viceregno di Sicilia: Arch. de Simancas, Catal. XIX. Papeles de Estado. Sicilia, a cura di R. Magdaleno, Valladolid 1951, leg. 3490, n. 29; Arch. di Stato di Palermo, Protonot. del Regno, voll.625-632 (Priviligi e investiture, 1662-1666), 1018 (Atti, 1658-1672), 1709 (Dispacci e corrisp., 1649-1754), passim; Regia Cancelleria, voll.740-752, passim;Palermo, Biblioteca comunale, ms. Qq. G. 45: L. Ramirez, Scritture diverse [su Messina], ff. 440, 444; ms. 4 Qq. D. 50: V. Di Giovanni, Palermo ristorato, ff. 251-252; ms. Qq. F. 177: Lettere reali [1663], ff. 125-195; V. Auria, Diario delle cose occorse nella città di Palermo e nel regno di Sicilia…, in Diari della città di Palermo dal sec. XVI al XIX, Palermo 1870, pp. 97-129, 140-147; A. Mongitore, Parlamenti generali del Regno di Sicilia, Palermo 1749, II, pp. 49-53; G. E. Di Blasi, Storia cronologica dei viceré luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia, Palermo 1842, pp. 379-382; G. B. Caruso, Storia di Sicilia, IV, Palermo 1877, pp. 130-133; C. D. Gallo, Gli annali della città di Messina, III, Messina 1881, pp. 369-375, 408, 410; C. Giardina, Capitoli e privilegi di Messina, Palermo 1937, pp. 456-459.