BUCELLI, Francesco
Appartenente ad antica e influente famiglia magnatizia, il B. nacque a Firenze, nella seconda metà del sec. XIV, da Giovanni di Francesco; ci è ignoto, per il silenzio delle fonti, il mome della madre.
Suo padre, una delle personalità più in vista della vista pubblica fiorentina nel corso del sec. XIV, era stato numerose volte membro degli organismi consultivi della Signoria - i Dodici buonomini ed i Sedici gonfalonieri di Compagnia -, finché nel 1418 non era stato eletto gonfaloniere di Giustizia, la suprema magistratura della Repubblica. Il rispetto e l'influenza godute da Giovanni di Francesco Bucelli sono sufficientemente testimoniate da un episodio avvenuto appunto in quello stesso anno 1418 in cui egli ricoprì il gonfalonierato. Quando gli ambasciatori, che dovevano rappresentare Firenze presso il pontefice Martino V, ricevettero dalla cancelleria della Repubblica le istruzioni relative alla loro missione, furono incaricati, tra l'altro, di raccomandare al pontefice uno dei figli di Giovanni di Francesco, Matteo, perché gli ottenessero un beneficio ecclesiastico a Volterra, "però che per lo suo' virtù, e per le degne operazioni e virtù di suo padre, al presente Gonfaloniere di iustizia, degnamente merita ogni favore e grazia".
Probabilmente anche il B. si giovò, agli inizi della sua carriera politica, del prestigio del padre. Certamente, a partire dagli ultimi anni del secolo XIV, dopo l'instaurazione del regime oligarchico, egli fece parte di quel ristretto gruppo di cittadini più frequentemente chiamati dalla Signoria a partecipare a quei dibattiti sulla politica del governo conosciuti col nome di "consulte e pratiche". Dai suoi interventi registrati nei verbali di queste riunioni, si può dedurre che il B. si allineava di norma con il parere della maggioranza: come quando, discutendosi la guerra contro Lucca (1429), egli, che in un primo tempo aveva perorato la causa della pace, secondo l'opinione prevalente tra i membri della classe dirigente, finì invece con l'appoggiare, in seno al governo, le tesi dei fautori della guerra non appena si accorse che essa era voluta, con meravigliosa concordia, dall'opinione pubblica fiorentina.
Del B. ci rimangono anche una mezza dozzina di lettere d'ufficio a testimoniare la coscienziosità e lo scrupolo con cui egli svolgeva gli incarichi pubblici. Il gruppo dei dispacci, che egli inviò ai Dieci di Balia (i magistrati incaricati della condotta della guerra), quando si trovava come commissario della Repubblica a Castrocaro nel 1425, mettono in luce con rara evidenza i problemi più urgenti e le particolari esigenze della zona sottoposta al suo controllo, e sottolineano la pressante necessità di risolverli. In uno di essi assicurava il suo corrispondente di aver fatto quanto era umanamente possibile per risolvere un certo problema: per poterlo dimostrare, aveva conservato copia - scriveva il B. - di ogni messagio da lui inviato ai Dieci o da costoro a lui, "a ciò che parrà per mia negrigenzia non procedere...".
Benché facesse parte di quel ristretto gruppo di persone che, appartenendo all'oligarchia dominante, potevano allora venire elette alle più, alte magistrature dello Stato, il B. non ricoprì spesso funzioni di un certo rilievo nell'amministrazione pubblica: nei sei anni compresi fra il 1429 ed il 1434 l'ufficio più importante che gli fosse stato affidato fu quello di conservatore delle leggi (febbraio 1434). Ciò sembra doversi attribuire al fatto che egli aveva come concorrenti, nell'aspirare alle diverse cariche dello Stato, due suoi fratelli, Lapo e Zanobi, anch'essi datisi alla vita pubblica. Tra il 143 e il 1434 il B. ricoprì, al di fuori di Firenze, quattro capitanie - compresa la capitania di Pistoia, per la quale ricevette il considerevole compenso di 4.500 libbre -, la vicaria di Firenzuola, e quindi le podesterie di Colle e di Terza Nova: nella portata catastale del 1427 egli dichiarava di aver ricoperto di recente cariche retribuite a Prato, a Pistoia, a Firenzuola, a Piano di Ripoli, uffici per i quali il Comune di Firenze gli doveva ben 264 fiorini per salari arretrati. Fautore di Rinaldo degli Albizzi e della sua linea politica, nella seconda metà del 1433 il B. fece parte della Balia che, sotto il gonfalonierato di Bernardo Guadagni, preparò e condusse a termine l'azione contro il potente capo del partito democratico ed antioligarchico, Cosimo de' Medici.
Quest'ultimo, convocato a consiglio dalla Signoria ed arrestato (7 settembre), fu sottoposto a giudizio per direttissima: privato di ogni diritto politico per un periodo di dieci anni, fu confinato a Padova come perturbatore dello stato pacifico dell'"aurea patria". Fu proprio questo periodo di esilio, tuttavia, a rendere palesi sia l'influenza politica di Cosimo sia la necessità che il Comune aveva delle sue enormi risorse finanziarie. Nell'agosto del 1434 venne estratta a sorte una Signoria composta da personalità generalmente favorevoli ai Medici: fu insediata, nonostante il tentativo di colpo di Stato compiuto da Rinaldo degli Albizzi, il quale venne addirittura arrestato, mentre il nuovo governo convocava il popolo per far eleggere una Balia, che richiamasse Cosimo dal confino ed esiliasse l'Albizzi con i suoi amici e fautori. Poco dopo il rientro del Medici a Firenze, infatti, anche il suo grande oppositore era sbandito per sempre dalla città (13 nov. 1434).
Colpito, con gli altri maggiori esponenti dell'oligarchia, dalle rappresaglie che accompagnarono e seguirono il trionfo di Cosimo de' Medici, il B. venne privato dei diritti politici ed esiliato, per dieci anni, a Ravenna. Ma anch'egli, così come Rinaldo degli Albizzi, dovette rompere assai per tempo il confino, cercando di ristabilire i contatti con gli antichi compagni di partito od iniziando segreti maneggi con le potenze straniere avversarle di Firenze e del Medici: quattro mesi dopo la sua prima condanna, infatti, venne dichiarato ribelle dalle magistrature repubblicane, per non aver rispettato le precise norme che regolavano la vita di quanti erano stati inviati a domicilio coatto. Così egli fu condannato una seconda volta, in contumacia, a morte, se mai avesse rimesso piede in territorio fiorentino o fosse caduto in potere del Comune. Aveva, allora, poco più di cinquant'anni.
Sembra che il B. abbia trascorso gli ultimi suoi anni fuori dell'ambito del Comune di Firenze, lontano dalla sua città natale; così come sembra che non abbia mai ottenuto in seguito il perdono del governo fiorentino. Certo è che, sino alla caduta della Repubblica, nessun membro della sua famiglia ottenne più il priorato o alcuna altra carica pubblica. Non conosciamo il luogo né la data esatta di morte del Bucelli.
Come molte altre famiglie magnatizie, i Bucelli, se conservarono la loro tradizionale influenza nella vita pubblica fiorentina per tutto il sec. XIV e nella prima metà del sec. XV, pure cominciarono a perdere gradualmente la loro potenza economica che di quella politica era la causa e il fondamento. Alla fine del sec. XIII essi avevano una posizione rilevante nel mondo economico fiorentino, e nel 1403 tre membri della loro famiglia compaiono fra i trentatré maggiori contribuenti del quartiere di S. Croce. A partire dal 1427 il Bucelli maggiormente tassato compare al sessantacinquesimo posto nella lista dei contribuenti. Quanto al B., egli versava in tasse una somma puramente nominale, dato che i suoi debiti superavano il valore complessivo dei suoi beni sui quali veniva stabilito il tributo. Suo padre - Giovanni di Francesco - non era stato mai particolarmente ricco: benché dirigesse una compagnia commerciale che da lui prendeva il nome (e che fu sciolta, comunque, prima della sua morte avvenuta nel 1427), le sue "prestanze" per il 1389 furono inferiori ai. tre fiorini. Lo stesso B. finì col decidere, su consiglio di "amici con parenti insieme", di rinunziare all'eredità paterna, probabilmente perché non era in grado di pagare tutti i debiti che su di quella gravavano. Oltre ad un piccolo appezzamento di terreno e poche azioni nel Monte - del resto intestate alla moglie e destinate a passare al fratello di lei dopo la sua morte -, non sembra che il B. abbia mai avuto altra fonte di guadagno che non fosse la sua attività di pubblico amministratore o di rappresentante della Repubblica fiorentina in diverse città della Toscana. Eppure egli riteneva che, appunto in virtù delle cariche pubbliche da lui ricoperte, la sua situazione economica potesse venir considerata florida nonostante egli risultasse non abbiente. Nella portata catastale del 1427 si faceva premura di sottolineare che egli aveva denunziato fedelmente le sue entrate, per quanto "di me s'è fatto e fa altra riputazione di valsente... per gli avviamenti avuti dal nostro Commune". Del resto, il suo matrimonio con una donna di famiglia allora assai oscura, Vaggia di Filippo di Piero Rinieri, deve essere stato un mezzo per risolvere le pressanti difficoltà finanziarie in cui egli si dibatteva. All'epoca in cui il B. si sposò (nel primo trentennio del sec. XV) il ramo dei Rinieri, cui apparteneva Vagia: era infatti ricchissimo.
I Bucelli, fin dal sec. XIII, risiedevano nel quartiere di S. Croce ed appartenevano al gonfalone del Bue. Fautori della parte guelfa, avevano combattuto contro i ghibellini a Montaperti e, in seguito, avevano subito la vendetta dei loro avversari vittoriosi: una loro torre ed una loro casa, site nella parrocchia di S. Apollinare, erano state gravemente danneggiate nel 1266, secondo quanto ci riferisce una fonte coeva. Nel 1427 il B. affitiò, in borgo dei Greci, una casa di proprietà di una altra antica famiglia magnatizia, i Buondelmonti degli Scolari; ebbe così come vicini i Peruzzi, che vivevano raggruppati in un unico blocco di case, appena fuori borgo dei Greci, site nella cosiddetta volta dei Peruzzi. Appartenenti al ristretto gruppo di famiglie che dominò Firenze dopo il 1381, fautori degli Albizzi e ostilissimi ai Medici, i membri della famiglia Peruzzi vennero duramente colpiti dalle rappresaglie che accompagnarono il rientro di Cosimo il Vecchio in Firenze.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 3, CXXXII, cc. 148, 164; Ibid., Catasto, 29, ff. 188r-189r; 69, f. 50v;446, f. 411r; 491 bis, f. 173v; Ibid., Consulte e Pratiche, 48, 49, 50, e passim;Ibid., Manoscritti, 248, f. 122; 250, f.500; 269, f.63rv; 555, passim;Ibid., Medici avanti il Principato, filze I, III, 113, 119, 120, 124, 131, 165, 174 s., 206; Ibid., Otto di Guardia e Balia, 224 (periodo repubblicano), ff. 21-71r; Ibid., Prestanze, 1197 (fogli non numerati); Ibid., Tratte, 67, 80, 93 passim; Delizie degli eruditi toscani, VII, Firenze 1776, p. 223; Commissioni di Rinaldo degli Albizzi, a cura di C. Guasti, Firenze 1867-1873, I, pp. 301, 307; II, p. 32; III, pp. 195, 199, 202, 204; N. Ottokar, Il Comune di Firenze alla fine del Dugento, Torino 1962, pp. 58 ss.; G. A. Brucker, Florentine Politics and Society 1343-1378, Princeton 1962, p. 26; L. Martines, The Social World of the Florentine Humanists, Princeton 1963, pp. 353-56, 365-68.