BRACCIOLINI, Francesco
Poeta, nato a Pistoia il 26 novembre 1566 di famiglia nobile e ivi morto il 31 agosto 1645. Per volere del padre, attese a studî giuridici. Andato a Firenze (1586), s'iscrisse all'Accademia Fiorentina, dedicandosi agli studî poetici. Ebbe colà dimestichezza con Maffeo Barberini, il futuro Urbano VIII, che doveva più tardi essere il suo più valido protettore; e nelle dotte radunanze dell'Accademia, come in quelle che si tenevano in casa di Giambattista Strozzi, lesse sonetti, canzoni, stanze rusticali, una favola pastorale, dandone più tardi a luce alcuni saggi (L'amoroso sdegno, favola pastorale, con l'aggiunta di alcune rime, Milano 1597). Verso il 1590, volendo tentar la fortuna, andò a Roma, e poco dopo a Napoli, al servizio dei principi di Sulmona; quindi a Genova, dove conobbe il Chiabrera, di nuovo a Roma, infine a Milano, al seguito del card. Federico Borromeo, creato (1595) arcivescovo di quella città. Colà rimase sei anni, dopo i quali tornò a Roma, dove entrò in qualità di segretario al servizio di Maffeo Barberini, che, conoscendo già le doti poetiche del B., lo spronò a compire quel poema sul riacquisto della Croce dalle mani dei Persiani per opera di Eraclio, al quale lavorava da tempo, e del quale era viva l'attesa. Nel 1601 seguì il suo padrone, andato nunzio in Francia, dove nel 1605 pubblicò i primi quindici libri Della Croce racquistata, poema heroico; ma non appena compita la stampa, abbandonò il Barberini e tornò in Italia, temendo che, con la morte di Clemente VIII, la stella di lui fosse tramontata, mentre l'anno dopo il Barberini fu creato cardinale. E di questa sua decisione ebbero a malignare i contemporanei, specialmente il Tassoni, che lo derise in un'ottava assai nota. Ridottosi a Pistoia a vita privata, vi rimase lunghi anni, fino a quando cioè, eletto papa il Barberini, corse a raggiungerlo. Nel periodo degli ozî pistoiesi attese con fervore agli studî poetici: portò a compimento la Croce racquistata, da lui data a luce in trentacinque libri a Venezia nel 1611; scrisse tragedie (Evandro, Firenze 1612; Arpalice, ivi 1613; Pentesilea, ivi 1617), e altri drammi, recentemente pubblicati, e specialmente un poema burlesco (Dello scherno degli Dei, Firenze 1618), per cui sorse in quegli anni e si protrasse anche in seguito viva polemica per stabilire se a lui o al Tassoni spettasse il vanto di aver dato per il primo alla letteratura italiana quello che oggi si dice poema eroicomico. Questione tuttavia vana, in quanto, come nota il Barbi, l'eroicomico, come lo intese il B., non era un genere nuovo, ma derivava naturalmente dal poemetto giocoso del Cinquecento, dal quale differisce per estensione, non per ńatura. Quanto alla scelta dell'argomento, è ben possibile che sia stato suggerito dal concilio degli Dei della Secchia.
A Roma fu bene accolto da Urbano VIII, che gli concesse onori e privilegi, fra cui quello di "metter nell'arme de' B. quella del pontefice, consistente in tre api, e di chiamarsi B. dell'Api"; e lo assegnò al servizio del card. Antonio Barberini, che il B. accompagnò a Sinigaglia, quando v'andò come vescovo (1627). Come tributo di gratitudine, il B. pubblicò nel 1627 il poema: L'elezione di Urbano Papa VIII, che gli diede modo di tornare alla corte pontificia; e a Roma scrisse altri drammi (Monserrato, 1629; Ero e Leandro, 1630) e poemi (La Roccella espugnata, 1630; La Bulgheria convertita, 1637), oltre a liriche, prose, ecc. Spentosi nel 1644 il suo protettore, tornò nella sua città natale, dove morì.
Bibl.: M. Menghini, Psiche, poemetto, l'Ozio sepolto, l'Oreste e l'Olimpia, drammi di F. B. dell'Api, Bologna 1889; M. Barbi, Notizia della vita e delle opere di F. B., Firenze 1897; A. D[avoli], Bibl. storica del poema piacevole: Lo schermo degli Dei di F. B. pistoiese, Reggio Emilia 1930.