BONFIGLIO, Francesco
Nacque a Lentini (Siracusa) il 19 genn. 1883 da Giovanni e da Concetta Incontro. Studiò medicina e chirurgia all'università di Roma ove si laureò a pieni voti all'età di ventitré anni. Orientatosi subito verso il campo degli studi neuropsichiatrici, si indirizzò dapprima verso la carriera universitaria: dal 1908 al 1920 fu infatti assistente effettivo nella clinica neuropsichiatrica dell'università di Roma, allievo di A. Tamburini e di S. De Sanctis. Compì durante i primi anni della sua carriera diversi viaggi di formazione all'estero, ove frequentò i più reputati ambienti clinici dell'epoca: fu in Germania presso E. Kraepelin, frequentò il laboratorio anatomopatologico diretto da L. Alzheimer e la clinica di F. Nissi; a Berlino apprese le tecniche sierologiche nell'istituto di A. Wassermann. Nel 1913 conseguì la libera docenza in clinica delle malattie nervose e mentali. Con una vasta ricerca condotta in quel periodo sui prodotti di disfacimento delle guaine mieliniche, che studiava con un metodo rapido messo a punto da lui stesso, aveva dimostrato che a quei prodotti appartenevano le granulazioni basofile metacromatiche già intraviste dall'Alzheimer; e fu questo l'argomento che presentò per la tesi di libera docenza "I prodotti di disfacimento del sistema nervoso centrale" (I prodotti di disfacimento basofilo-metacromatici. Loro rapporti col disfacimento delle guaine mieliniche, in Histologische und histopathologische Arbeiten ueber die Grossturminde, V [1912-13], pp. 359-06). Fino dal 1912, quando era ancora assistente universitario, il B. aveva cominciato a frequentare l'ospedale psichiatrico di Roma, e nel 1914 fu chiamato a dirigerne il laboratorio anatomopatologico e sierologico. In quegli anni il vecchio manicomio di S. Maria della Pietà veniva trasferito dalla antica sede di via della Lungara al nuovo istituto a Monte Mario, che fu inaugurato ufficialmente nel maggio 1914, ma che aveva cominciato a funzionare già dall'estate precedente.
Il nuovo ospedale segnò una svolta radicale nella assistenza psichiatrica di Roma e della provincia. Le sue caratteristiche si armonizzavano con i più recenti orientamenti della psichiatria e permettevano di affrontare i problemi della terapia e dell'assistenza superando l'immagine di reclusorio, attrezzandosi in senso riabilitativo per la popolazione lungodegente e collocandosi a fianco delle cliniche universitarie nel concorrere ai progressi scientifici della disciplina. In quegli anni, infatti, la psichiatria, ancora strettamente unita alla neurologia sotto molti aspetti, era animata da ottimistico fervore verso la ricerca biologica e trovava nell'ampia casistica degli ospedali la collocazione più idonea e il più abbondante materiale di studio. La tradizione neuropatologica della scuola psichiatrica romana era stata poco prima consacrata dai lavori di G. Mingazzini e dei suoi allievi, che avevano ottenuto riconoscimenti e consensi in tutto il mondo scientifico. A. Giannelli, che nel 1913 iniziò a dirigere il nuovo ospedale, confermò questo indirizzo; procurò eccellenti attrezzature al laboratorio istopatologico, e ne affidò la direzione al B. che già si era segnalato per valore nella ricerca e che si poneva come il continuatore di una consolidata tradizione. Nella prospettiva di interessi sempre crescenti per questo ambito di studi il B. scelse di dedicarsi completamente al lavoro in ospedale psichiatrico. Mantenne contatti con l'ambiente universitario e fu docente per molti anni nelle scuole di specializzazione e di perfezionamento, ma sviluppò la sua carriera in ambito ospedaliero. Divenne medico primario, acquisi una notevole esperienza in campo clinico, e non abbandonò mai i suoi interessi per il laboratorio e per la ricerca raggiungendo una notevole fama anche in ambito scientifico.
Quando, nel 1938, morì improvvisamente A. Giannelli, il B. fu chiamato a sostituirlo alla direzione del nosocomio. In quell'ufficio egli operò per circa diciotto anni, reggendo l'istituto nel periodo difficile della guerra e del dopoguerra quando fu necessario riparare i danni e le perdite subite e riorganizzarne il funzionamento.
L'attività scientifica del B. è testimoniata da una lunga serie di pubblicazioni che evidenziano in gran parte i suoi interessi per la ricerca biologica, ma che mostrano comunque l'apertura verso tutti i principali temi della cultura psichiatrica della sua epoca.
Il lungo arco di tempo durante il quale si svolse la vita e l'opera dei B. vide rinnovamenti e mutamenti anche profondi nella psichiatria. Egli si era formato nelle cliniche in cui, all'inizio del secolo, neurologia e psichiatria si trovavano orientate sul versante delle ricerche biologiche, strettamente congiunte in un unico ambito scientifico, dal quale ci si attendevano progressi e conquiste utili a comprendere e affrontare anche il campo delle psicosi. Gli ospedali psichiatrici, con la vastissima casistica clinica e l'abbondante materiale per le indagini autoptiche e di laboratorio, erano una eccellente palestra per questi studi. Il B. si cimentò, con i suoi primi lavori, in questa direzione e conseguì precocemente lusinghieri successi scientifici. Visse poi nell'ospedale il periodo in cui la disciplina cominciava a essere animata dai temi della cultura psicoanalitica, che pure rimase estranea agli ambienti psichiatrici ufficiali per diversi anni. Egli fu attento e sensibile anche agli strumenti psicoterapici introdotti negli ospedali e alle sollecitazioni del movimento per l'igiene mentale che metteva in guardia dai pericoli della istituzionalizzazione e propugnava lo sviluppo dell'assistenza extraospedaliera. Vide il nascere e l'affermarsi delle nuove terapie biologiche e terminò la carriera quando la cultura psichiatrica cominciava a essere animata dal dibattito critico interno, dalle esigenze di riforma legislativa e dal sorgere dei primi movimenti di opposizione. Nel suo itinerario clinico e scientifico il B. fu sicuramente personaggio di primo piano nella psichiatria italiana; fu definito maestro di'istopatologia cerebrale, e infatti sostenne sempre con fiducia il modello biologico della ricerca stimolando i suoi allievi a seguirne l'esempio con l'attività ricca e complessa del suo laboratorio. Nondimeno fu uno psichiatra attento alla esigenza di adeguare la prassi chnica anche alle necessità assistenziali, agli aspetti e ai riflessi sociali del lavoro ospedaliero.
Nella sua prima formazione ebbe grande importanza l'esperienza che acquisì negli istituti e nei laboratori delle università tedesche dove poté soggiornare prendendo conoscenza dei metodi e dei temi di ricerca più interessanti. Egli già nel 1906 si dedicò allo studio dei reperti caratteristici dell'istopatologia senile e divulgò in Italia la conoscenza delle piastre o sfere di Redlich Pischer e dell'alterazione "vorticosa" intracellulare nella malattia di Alzheimer (Anatomia patologica delle psicosi dell'età senile, in Quaderni di psichiatria, VII [1920], pp. 264-269). Compì, in quegli anni, le ricerche sulla intossicazione sperimentale saturnina e delimitò il quadro istopatologico della encefalite produttiva. Dedicò un'importante serie di lavori allo studio di una. particolare malattia encefalitica del coniglio, che egli individuò come una parassitosi e della quale descrisse le ripercussioni umorali canatomopatologiche a carico di tutti gli organi interni. Mise in evidenza l'agente eziologico che chiamò Soroplasma citophilum e da cui derivò il nome di soroplasmosi (Nuovi dati e nuove vedute sulla così detta encefalite spontanea del coniglio (soroplasmosi) e sul suo parassita (soroplasma citophilum), in Note e riviste di psichiatria, XIII [1925], pp. 355-396). Questi studi, condotti per diversi anni, ebbero dapprima importanza per le analogie con le encefaliti epidemiche e i riflessi sulle ricerche nel campo delle encefaliti sperimentali, e si collegarono poi alle ricerche sulla toxoplasmosi in patologia umana.
Il B. è ricordato anche come il primo che introdusse in Italia la reazione di Wassermann per la lue; un gruppo di suoi lavori intese chiarire alcuni aspetti sierologici, clinici, anatomopatologici e terapeutici della infezione luetica dei centri - nervosi; dimostrò l'alta percentuale di positività della reazione di Wassermann nel liquor dei tabetici; portò contributi critici al dibattito allora vigente sulla demarcazione tra paralisi progressiva e sifilide cerebrale; scopri la presenza di pigmenti emosiderinici nel sistema nervoso dei soggetti affetti da paralisi progressiva (Circa l'importanza diagnostica del "quadro umorale" nella paralisi progressiva, ibid., XVII [1929], pp. 259-298). Nel 1910 presentò alla XII riunione della Società italiana di dermatologia e sifilografia, a Roma, il lavoro Sulla cura della sifilide col "606" di Ehrlich-Hata, pubblicato in Giorn. ital. delle malattie veneree e della pelle, XLVI (1911), pp. 131-143, in collaborazione con G. Ciarrocchi e U. Bertera, e nel 1911, a Perugia, al XIV congresso della Società freniatrica italiana, presentò la comunicazione La reazione di Wassermann nella clinica delle malattie nervose e mentali.
È noto il contributo che il B. diede allo studio delle demenze presenili, al quale si dedicò per oltre quarant'anni, raccogliendo una gran mole di materiale anatomico e costituendo una vera cerebroteca e istoteca di importante interesse scientifico. Si occupò in modo particolare degli aspetti clinici e di quelli istopatologici della malattia di Pick: nel 1937 tenne una relazione sull'argomento L'atrofia cerebrale circoscritta (malattia di Pick), al congresso della Società italiana di psichiatria in Napoli (Clinica ed anatomia patologica dell'atrofia cerebrale circostritta dei cervello, in L'Ospedale psichiatrico, V [1937], pp. 683-698), e tornò a occuparsene al I congresso di istopatologia del sistema nervoso a Roma, nel 1952, con la relazione L'istopatologia delle psicosi dell'età senile e presenile. Accanto ai lavori di istopatologia e alle ricerche di laboratorio, il B. seppe comunque sviluppare i suoi interessi per gli altri tertii che animavano in quel tempo la psichiatria. Soprattutto nel periodo in cui resse la direzione dell'ospedale romano, diede contributi di rilievo ai settori dell'assistenza e della riabilitazione del paziente psichiatrico. Sostenne la pratica applicazione dell'ergoterapia e la divulgazione dei suoi principi; la sua posizione al riguardo è riassunta nella relazione L'importanza dell'ergoterapia per la cura delle malattie tali, presentata nel 1938 a Monaco di Baviera (si veda anche l'articolo col medesimo titolo in L'Ospedale Psichiatrico, VI [1938], pp. 537-556) alla V riunione europea per l'igiene mentale. Le pratiche ergoterapeutiche avevano avuto fautori entusiasti già negli psichiatri dei secolo scorso e videro un sostanziale rifiorire di interesse nei primi decenni di questo secolo. In Germania H. Simon ne aveva proclamato esplicitamente il carattere di mezzo psicoterapeutico sovrano nella cura e lo aveva applicato indistintamente a tutti i ricoverati dell'ospedale di Gütersloh. La sua originale posizione aveva stimolato un ampio dibattito scientifico al quale partecipò anche il B., che aveva potuto prendere conoscenza diretta di quell'esperienza. Egli aderì ad alcuni dei principi che Simon sosteneva; concordava con il giudizio che l'inerzia della istituzione e l'inoperosità potevano creare grave danno al malato ricoverato; distingueva chiaramente l'efficacia curativa del lavoro; ma non poteva ritenere questo strumento il solo né il principale dei mezzi terapeutici. Pertanto prendeva le distanze dalle posizioni estreme di Simon che predicava l'uso generalizzato dell'ergoterapia di tutti i degenti, a prescindere dai quadri nosografici. Negli ospedali italiani, invece, il lavoro era applicato largamente, ma con rigorosi criteri. selettivi; e in questa linea si ritrovava anche il B. che ne raccomandava l'utilizzo come mezzo assai efficace ad agire sulla componente "psichica" della malattia. Egli infatti sosteneva che gli strumenti psicoterapici, tra i quali annoverava la ergoterapia, erano utili ad affrontare i sintomi "psicogeni" della malattia, che teneva ben distinti dai sintomi "fisiogeni". Dei resto, in quell'epoca, la sua attenzione era rivolta anche alle terapie di recente introduzione che erano ritenute efficaci a combattere in modo diretto le basi somatiche della malattia. Fu molto interessato ai temi della malarioterapia che, allora, era ritenuta la cura specifica della paralisi progressiva. Era convinto che buoni risultati nella cura delle psicosi si potessero avere dall'applicazione delle nuove terapie di shock: l'insulinoterapia di M. J. Sakel, la cardiazolterapia di L. J. Meduna, la elettroshockterapia di U. Cerletti. A questo proposito è da ricordare la collaborazione che egli offrì al Cerletti quando, a partire dal 1948, ospitò nel laboratorio del suo ospedale il Centro studi per l'elettroshock, nel quale il clinico romano, dopo avere lasciato la cattedra universitaria, continuò la sua attività di ricerca sostenuta dal Consiglio nazionale delle ricerche.
Col Cerletti, nel 1947, aveva dato vita alla rivista Il Lavoro neuropsichiatrico che si pose subito come una delle principali testate specialistiche italiane.
L'opera del B. è ricordata anche per la sua attività nel campo dell'assistenza extraospedaliera. Nell'ospedale romano egli ottenne, tra i primi in Italia, un nucleo di assistenti sociali e sanitarie. Creò il Centro di igiene mentale di via Fornovo a Roma sostenendo e sviluppando le nuove tendenze all'assistenza psichiatrica aperta e dispensariale. Egli ne raccomandava l'utilizzo come strumento che poteva permettere dimissioni precoci dall'ospedale, vantaggiose sotto il profilo morale, economico e anche terapeutico (Problemi ed onentamenti odierni per la difesa sociale contro le malattie mentali, in Il Lavoro neuropsichiatrico, I [1947], pp. 197-221; Compiti odierni della lega italiana di igiene e profilassi mentale, ibid., V [1949], pp. 137-153).
Gran parte delle sue energie egli dedicò, soprattutto negli ultimi anni, al tema della necessità di riforme legislative in campo psichiatrico. Così, già nel congresso della Società italiana di psichiatria a Roma nel 1946, fece sentire il suo parere sulla urgenza di riformare la legge del 1904, collocandosi tra i principali protagonisti dei movimento che diede avvio a questo dibattito.
Nel 1955 egli lasciò la direzione dell'ospedale psichiatrico di Roma, nel quale aveva svolto tutta la sua carriera clinica e scientifica. A succedergli fu chiamato U. De Giacomo.
Visse ancora alcuni anni, operoso, e morì a Roma, dopo breve malattia, il 6 luglio 1966.
Fonti e Bibl.: M. Vacchini-A. Benincasa Stagni, Il contributo della scuola istopatologica dei prof. B. nell'ospedale psichiatrico di Roma sul problema della toxosoroplasmosi, in Il Lavoro neuropsichiatrico, X (1956), pp. 283-306 (il fascicolo del febbraio 1956 porta l'indicazione Raccolta di scritti dedicata al prof. F. B., con Presentazione di U. De Giacomo, pp. 3-8); necrologio, ibid., XX (1966), pp. 149-150; U. De Giacomo, Storia dell'ospedale S.Maria della Pietà dal 1548 al 1963, ibid., pp. 536-538; C. D'Angelo, Cinquanta anni di neuropatologia del laboratorio istopatologico dell'ospedale psichiatrico provinciale S. Maria della Pietà, ibid., pp. 557-568.