BONARDI, Francesco
Nacque in Villanova, presso Casale Monferrato, il 30 genn. 1767, da Domenico e da Caterina Demichelis; il padre era un piccolo proprietario e artigiano ed il nonno era stato maestro di scuola. Il B. si formò nel seminario di Casale, allora fortemente penetrato di fermenti giansenisti; la lettura di Rousseau, da lui considerato il più sincero discepolo di Cristo, fece avvicinare il B. agli ideali giacobini ed a quel giacobinismo evangelico che lo avrà fedele sostenitore. Diacono nel 1789, nel 1791 divenne sacerdote proponendosi di contribuire a realizzare una piena fraternità cristiana attraverso la soppressione dei privilegi e la redenzione delle plebi. Nel 1794 ebbe in Villanova la cappellania di S. Michele, che tenne tutta la vita; contemporaneamente, esercitò la mansione di maestro di scuola. Accolse con giubilo e favorì, nel 1798, l'ingresso dell'esercito rivoluzionario a Casale; non rinunciando, per la sua condizione di prete, alla qualità di cittadino, col governo provvisorio del Piemonte fu, nel 1799, "accusatore pubblico nel Tribunale di Alta polizia", che estendeva la sua giurisdizione su Casale e Vercelli; capo del partito giacobino locale, rivelò onestà civica e, nella carica di accusatore, spirito cristiano.
Alla venuta degli Austro-Russi, nel 1799, la sua casa fu oggetto di saccheggio e i suoi di violenze e di angherie, mentre egli riparava a Genova; ritornato, dopo Marengo, non chiese indennizzi, né volle figurare nell'elenco dei "patrioti martiri" che il Ranza andava compilando. Nel 1801 fu commissario in Casale; poi, pur non condividendo la politica degli annessionisti alla Francia, ma desideroso di aiutare la popolazione e di continuare la lotta per i suoi ideali, per le pressioni di C. Botta e di C. Bossi accettò nel maggio la sottoprefettura di Voghera, che dapprima aveva rifiutato, come per analoghe cariche avevano fatto gli altri antiannessionisti. Dal 1804 al 1811 fu a Parigi come deputato al Corpo legislativo per il dipartimento di Marengo.
Dal soggiorno in Francia ricavò più larghi contatti politici e letterari, ad esempio col Grégoire e col Kościuszko, e fu accolto nell'intimità familiare di V. Marochetti, suo compagno di cospirazioni in Piemonte, e di C. Botta: l'amicizia con questo, nonostante la diversa evoluzione politica, durò tutta la vita. In casa del primo incontrò G. B. Marochetti, che per protesta contro la politica napoleonica di accentramento si era dimesso dalla prefettura della Stura, e che fin dal 1803 apparteneva alla società segreta Adelfia, cui poi appartenne anche il Bonardi.
Scaduto nel 1811 il mandato, il B. non fu riconfermato, né volle riavere l'antico ufficio nelle prefetture, né altri impieghi; ritornò invece nel paese natale, di cui volle essere maire per meglio difendere le popolazioni stremate dalla sempre maggiore estensione delle risaie, causa di ricchezza per i proprietari e di miseria e degradazione per il proletariato rurale. Con gli stessi intenti del B. era tornato in patria, a Biella, G. B. Marochetti, e d'or innanzi fino all'esilio essi saranno uniti nella lotta politica.
Con la caduta dell'Impero e la restaurazione dei Savoia il B. dovette lasciare la carica di maire, pur proseguendo nelle sue attività assistenziali. Per qualche tempo egli dovette lavorare come economo e agronomo in una grossa proprietà agraria a Lucedio, presso Trino Vercellese, pur senza interrompere mai la sua propaganda per la libertà politica e l'indipendenza italiana. Quando nel 1818 l'Adelfia prese il nome di Ordine dei sublimi maestri perfetti, e questa organizzazione buonarrotiana operò per assumere la direzione della società popolare dei Federati italiani, il B. ne fu uno dei massimi propagatori. Per lunghi anni intensa fu la sua opera nel Monferrato, nel Vercellese ed in Lomellina, con qualche escursione a Milano e a Torino, ove si trovava il medico M. Gastone, "diacono" della "chiesa" di Nicea (Torino), a cui facevano capo tutte le "chiese" dell'Alta Italia.
La carta di aggregazione ai Federati è stata rintracciata solo nell'anno 1909, tra le CarteBonardi a Villanova, presso i discendenti, in una busta sopra cui di mano dello stesso B. era scritto: "Norme segrete dei Federati italiani". Risultò così la struttura dell'associazione, con ordinamento di tipo militare e con numero indefinito di unioni; la parola d'Ordine, e i segni di riconoscimento; la liberazione d'Italia come obiettivo; due forme di giuramento, corrispondenti a due momenti diversi dell'associazione (la prima imponeva di considerare sacri i diritti dei monarchi italiani, la seconda prescriveva l'obbligo di lottare per imporre una costituzione analoga a quella spagnola); infine, che la direzione era affidata all'Ordine dei sublimi maestri perfetti. Le unioni, di cinque federati, ubbidivano a capitani di unione, e questi a comandanti di distretto, che dovevano essere adelfi; quindi, in apparenza autonome, e senza che i federati se ne avvedessero, le unioni erano un'appendice dell'Ordine buonarrotiano dei sublimi maestri. Il ritrovamento di queste norme ha permesso perciò la soluzione di una tra le più delicate controversie sui rapporti intercorrenti tra le varie sette rivoluzionarie all'inizio del secolo XIX.
Nei moti piemontesi del marzo 1821 il B. agì in accordo con i capi politici vicini (G. Malinverni per Vercelli, G. Trompeo per Ivrea, G. B. Marochetti per Biella, il Prina per la Lomellina, G. Ansaldi per Alessandria), fornendo assistenza agli insorti e cercando di ottenere rinforzi. Fallito il tentativo insurrezionale, il B. sfuggì a un mandato di cattura intimatogli nel luglio 1821, dandosi alla latitanza: alla fine dell'anno era già riparato nel Canton Ticino sotto mentite spoglie. Il 25 maggio 1822 il Senato lo condannò in contumacia a venti anni di galera, col divieto ad ognuno di "ricettare favorire soccorrere detto Bandito" (la sentenza è riprodotta in Bersano, L'abate F. B. ..., p. 149).
Nel Canton Ticino il B. fu accolto e protetto dal landamano G. B. Maggi e organizzò la sua vita in comune con gli esuli G. Bottacco ed i fratelli Romagnoli: Giovanni, dirigente delle corriere tra Roveredo e il Canton Ticino, e Francesco, che sarà comproprietario della tipografia Ruggia e poi viceamministratore di quella di Capolago. Era pure presso di loro il medico P. Umiltà (nei Grigioni, dottor Ripoldi), condannato a morte con decapitazione in effigie nel processo di Rubiera. In seguito, ritenendo più sicuro il Cantone dei Grigioni, si stabilì a Roveredo di Mesolcina, che offriva opportunità di rapporti quotidiani con gli esuli del Ticino e coi patrioti del Piemonte e della Lombardia. Continuavano infatti i rapporti del B. col Buonarroti, per i contatti organizzativi tra il centro buonarrotiano ed i nuclei attivi in Italia. Nel dicembre 1822 il Buonarroti inviò in Italia l'Andryane per riallacciare le file sconvolte dell'associazione, facendo assegnamento speciale sul colonnello P. Varese, valoroso ufficiale napoleonico, che si sapeva amicissimo del Bonardi. Da questo l'Andryane ottenne lettere per il Varese, per O. Mossotti ed altri, ma fu sconsigliato dall'introdurre in Italia il materiale segreto affidatogli dal Buonarroti per l'associazione. In effetti il sequestro a Milano delle carte dell'Andryane fornì indicazioni preziose alla polizia, richiamandone tra l'altro l'attenzione sul Bonardi. Nel 1824 il B. ottenne le funzioni parrocchiali in Cauco in Val Calanca; spinto però dalla passione politica, ritornò appena poté a Roveredo, divenendo collaboratore infaticabile della tipografia Ruggia.
Presso questa lavorava a riduzioni e traduzioni di scritti liberali di provenienza francese, che venivano disseminati in Italia, ove pure curava l'invio di pubblicazioni anonime in versi od in prosa, di vari catechismi tra cui il Catechismo italiano... del Pecchio (Filadelfia 1830) e la Guerra nazionale d'insurrezione perbande... (Italia 1830) del Bianco di Saint-Jorioz. Spesso il B. fu denunziato come autore di questa letteratura, necessariamente anonima.
Dopo le giornate di luglio a Parigi, una nuova prospettiva e speranza di liberazione italiana portarono alla collaborazione tra Mazzini e Buonarroti, col patto federativo tra la Giovine Italia e i Veri Italiani; il B. entrò così in contatto con Mazzini. La polizia intanto lo ricercava nel Canton Ticino per allontanarvelo; il B. si trovava però nei Grigioni. Espulso da questi nell'ottobre 1831, si rifugiava proprio nel Canton Ticino, a Bellinzona, ove si trovava Giacomo Ciani, e dove stampava la tipografia Patria, filiale dell'Elvetica di Capolago.
Legato da decenni al Buonarroti, il B. ne condivideva le aspirazioni egualitarie ed il culto per Robespierre; concordava anche su certi tentativi insurrezionali, come ad esempio il tentativo di spedizione dalla Corsica nel 1831; fu contrario invece alla prima spedizione di Savoia, appoggiata da Mazzini, giudicandola, con il Buonarroti, una chimera. Finché durò l'accordo tra Mazzini e Buonarroti, il B. collaborò alla Giovine Italia con due articoli pubblicati nel 1832: il Cristianesimo distrutto dal despotismo e Stato dell'Europa dal 1830 al 1832, firmati il primo "un p.d.c." (un parroco di campagna) ed il secondo "un parroco ottuagenario". Quando il contrasto ideologico e la diversa concezione della tattica insurrezionale portarono alla rottura tra i due, il B. interruppe i rapporti col movimento mazziniano e tentò di propagare in Italia la setta dei Veri Italiani, fondata dal Buonarroti.
Nel 1833 le polizie austriaca e piemontese reclamarono l'espulsione del B. anche dal Canton Ticino, che fu però differita dal governo cantonale con il pretesto che egli era gravemente malato. Costretto a partire, ritornò clandestinamente subito dopo, e in ultimo riparò di nuovo in Val Calanca. Nel febbraio 1834 rientrò realmente malato a Roveredo, dove morì l'8 marzo di quell'anno.
Fonti e Bibl.: L'unica biografia dettagliata con un elenco delle fonti archivistiche e un'esauriente bibliografia, è di A. Bersano, L'abate F. B. e i suoi tempi. Contributo alla storia delle societàsegrete, Torino 1957. Si ricordano anche L. Malvezzi, Elogio funebre del sac. F. B., Capolago 1834; L'Osservatore del Ceresio (Lugano), n. 11, marzo 1834; A. Andryane, Mémoires d'unprisonnier d'étatau Spielberg, I, Paris 1838, pp. 16 ss.; A. Bersano, Adelfi,Federati e Carbonari, in Atti dell'Acc. dellescienze di Torino, XLV (1909-1910), p. 409; Id., Alcune lettereinedite di C. Botta,ibid., XLVI (1910-11), p. 12; R. Caddeo, Le edizioni di Capolago, Milano 1934, passim; A. Saitta, F.Buonarroti, I, Roma 1950, pp. 219, 220, 226.