BIRAGO, Francesco
Da non scambiare per il contemporaneo Cornelio Francesco, spesso chiamato Francesco, nacque a Milano nel 1562, da Iacopo Marcello e da Francesca di Alessandro Beolchi, nipote di Gerolamo Castiglione, che fu presidente del Senato milanese. Come primogenito (di sei fratelli e sette sorelle) ereditò dal padre il titolo nobiliare di "signore di Metone e di Siciano", feudi del suo casato in Lomellina.
Compì gli studi giuridici all'università di Pavia; poi la sua vita fu quella di un agiato possidente e di un erudito puntiglioso, chiamato spesso a far da paciere nella rissosa consorteria dei nobili. Sposò - non si sa quando - Ersilia Farolda, dalla quale ebbe una figlia, Elena, poi maritata al gentiluomo pavese Francesco Maria Mezzabarba. Incerta rimane anche la data della sua morte, dal Mazzuchelli supposta verso il 1640, benché il Ghilini nel suo Teatro (1647) lo dica "vivente e carico di più di settant'anni". A comprovare la veridicità di tale testimonianza (nonostante l'età molto approssimativamente attribuitagli) sta, d'altra parte, una donazione - riferita dal Litta - fatta da lui nel 1642 a favore del genero, nella quale lo vincola a portare il cognome e lo stemma della famiglia milanese. Ci rimangono due suoi ritratti, dalle cui didascalie s'è potuto risalire all'anno della nascita: l'uno in fronte ai Discorsi Cavallereschi nella ristampa del 1628, l'altro preposto al II libro dei Consigli Cavallereschi in quella del 1637.
Da quando il Manzoni ironizzò così finemente sulla sua figura, riferendo il concetto che di lui aveva don Ferrante (I promessi sposi, cap. XXVII), la fama del "nostro celebre Francesco Birago" è del tutto negativa: è quella di chi è ormai assurto, e proprio per l'opera che "avrebbe rovinata l'autorità dell'Olevano", a prototipo degli oziosi e goffi trattatisti secenteschi del "punto d'onore", al quale il Manzoni stesso attinse in due punti del suo romanzo: nel circostanziare storicamente e psicologicamente il duello di Lodovico (cap. IV) e nella questione cavalleresca posta da don Rodrigo a padre Cristoforo (cap. V).
Più precisamente sarebbero questi i luoghi del B. confluiti, con altri consimili dell'Olevano, nei suddetti episodi del romanzo: il caso "di levar la strada", nei Discorsi Cav., II, 16 e 21, e nei Consigli Cav., I, 25; la conseguente "mentita" e "prova dell'armi sulla mentita", nella V delle Cavalleresche Decisioni e nei Discorsi Cav., II, 15; la pacificazione con un parente dell'ucciso, nei Consigli Cav., I, 15 e 16, e nelle varie Decisioni "della pace" e "della riconciliatione"; in particolare, il chieder perdono e il concederlo, nei Consigli Cav., II, 44. Il "caso di bastonate date a un portator di sfida", introdotto nel cap. V del romanzo, è l'argomento del II consiglio, l. I, dei Consigli Cav. (dedicato "al signor don Pietro di Padiglia castellano di Milano"), ma quasi sicuramente il Manzoni prese l'enunciazione del caso dalle Dichiarationi et avertimenti sulla Gerusalemme Conquistata del Tasso (al cui prestigio il podestà manzoniano s'era appellato), pp. 154-56, dove il B., "dichiarando" il l. VII e la sfida di Argante al campo cristiano, ricorda in forma sintetica il caso avvenuto a Milano, del quale discorre a lungo nel consiglio suddetto, e lo ricorda con parole che saranno quelle dette da don Rodrigo: "Un cavaliere Spagnolo manda una sfida ad un cavaliere Milanese, et il portatore glie la porta a casa, nella quale lui non trovato; ma un suo fratello senza dire altro gli dà la sfida, la quale da lui letta, diede poi molte bastonate al portatore". Infine l'irnnico accenno del conte Attilio alla legittimità dell'uso del bastone coi servi trae la sua origine dal XLVII consiglio del l. II dei Consigli Cav.: "con mazzate, o bastonate gli animi bruti si castigano, con esse gli schiavi, et altri huomini vilissimi si castigano, e non li cavalieri con bastone si offendono".
Con questo non è da credere che l'autorità del B., grandissima ai suoi tempi, si sia esercitata nel codificare la sopraffazione feudale. La sua competenza, sovente invocata nella vita pratica, era piuttosto diretta a risolvere i conflitti nella pace di una reciproca e incruenta soddisfazione. I contemporanei guardavano con rispetto all'ampiezza della documentazione reale e letteraria con la quale il B. suffragava le sue tesi contrapponendo la nuova cavalleria, alquanto più conciliante, a quella rigida e conservatrice dell'Olevano. Una sicura malleveria culturale gli offrivano gli autori latini e volgari maneggiati con sicurezza e ingegnosità: soprattutto il Tasso, di cui giunse a commentare minuziosamente, tra i primi col Guastavini e il Gentili, la Gerusalemme Conquistata, offrendo una larga messe di raffronti con la Liberata e accuratissimi indici delle "cose più notabili".
Opere del B. sono: Rime, in Componimenti pastorali di diversi nella partita di Pavia di A. Pietra e di F. Visconti Conforti, Pavia 1598; Dichiarationi et avertimenti poetici,istorici, politici,cavallereschi,et morali nella Gerusalemme Conquistata del sig. Torquato Tasso, Milano 1616 (le sue Allegorie sopra questo poema anche nel tomo I delle Opere di T. T., Venezia 1722); Discorsi Cavallereschi ne' quali con rifiutare la dottrina cavalleresca del sig. G. Olevano s'insegna ad honorevolmente racchettare le querele nate per cagion d'honore, Milano 1622; accresciuti ed emendati, ibid. 1628; Consigli Cavallereschi ne' quali si ragiona circa il modo di fare le paci... con un'apologia cavalleresca per il sig. Torquato Tasso, Milano 1623; Il secondo libro dei Consigli Cavallereschi, Milano 1624; col primo, ibid. 1637; Trattato cinegetico,ovvero della caccia, Milano 1626 (scritto nel 1614 durante una passeggera infermità che lo tenne lontano dal suo svago prediletto); Cavalleresche Decisioni, Milano 1637; Opere Cavalleresche distinte in quattro libri,cioè Discorsi,Consigli lib. I e II e Decisioni, Bologna 1686; Opere, a cura di P. Bellezza, Milano 1921 (scelta antologica e sfrondata dal carico di erudizione").
Bibl.: G. Ghilini,Teatro d'huomini letterati, II, Venezia 1647, pp. 86-87; F. Picinelli,Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, p. 203; F. Argelati,Bibl. scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, col. 170; G. M. Mazzuchelli,Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, pp. 1256-57; A. Solerti, recens. a V. Vivaldi,Sulle fonti della Gerusalemme liberata, Catanzaro 1893, in Giorn. stor. della lett. ital., XXIV (1894), pp. 259-60; Id.,Vita di T. Tasso, Torino-Roma 1895, I, pp. 457, 464, 772; II, p. 152; U. Mazzini,La Cavalleria nei "Promessi Sposi", in Rass. naz., XXI (1899), pp. 333-46; E. Proto,La Cavalleria nei "Promessi Sposi" e il duello di Lodovico, in Arch. stor. lombardo, s. 4, XXXV (1908), pp. 249-73; P. Bellezza, iprefazione alle Opere del B., pp. VII-XV; N. Bernardini-Marzolla,La cavalleria nel '500 e '600 e gli spunti nei "Promessi Sposi" di A. Manzoni, in La Rass. d. lett. it., LXIX (1965), 3, pp. 590, 593, 595 ss.; P. Litta,Famiglie celebri d'Italia, XII, Birago.