BIBBONI, Francesco (Francesco o Cecchino da Bibbona)
Nacque a Bibbiena, nel Casentino, da Domenico di Conte tra il marzo e l'agosto del 1516. Soldato di ventura, tra il 1536 e il 1538 combatté a fianco dei Francesi in Piemonte e in Piccardia come capitano di una compagnia. Dopo la tregua di Nizza del 1538 tornò in Italia; nel 1540, scoppiata la "guerra del sale", lo ritroviamo combattente contro Paolo III al comando di una compagnia di trecento fanti assoldati dai Perugini. Terminato il conflitto il 5 giugno 1540 con la caduta di Perugia, si recò a Roma e poi in Francia.
Qui, il 6 giugno 1541, veniva arrestato a Lione sotto l'accusa di aver voluto attentare alla vita di Lorenzino de' Medici, il quale, dopo aver ucciso Alessandro de' Medici, viveva nascosto in Francia per sfuggire ai sicari suscitatigli contro dall'odio del nuovo duca, suo cugino Cosimo, e dalla taglia di 4.000 fiorini d'oro che, insieme con esenzioni, privilegi e pensioni, era stata promessa dagli Otto a chiunque fosse riuscito ad ucciderlo.
Se il B. avesse veramente tramato contro la vita del tirannicida non è certo: fatto arrestare dal Medici, cui era stato denunciato da Roberto de' Rossi (che in seguito ritrattò l'accusa), il 1º luglio del 1541scrisse a Lorenzino, per scolparsi e chiedergli di esser liberato; il Medici rispose da Saintes il 16 luglio con la nota lettera "al suo carissimo capitano Cecchino da Bibbona", forse la più bella delle poche che di lui ci sono rimaste, dichiarandosi favorevole alla liberazione del mercenario, della cui innocenza peraltro non sembrava troppo convinto.
I sospetti su questo dubbio episodio lionese sono in parte giustificati dal fatto che il B. sentì il bisogno di stendere una relazione del suo arresto, la cui presenza all'Archivio di Stato di Firenze assieme a una copia della lettera del tirannicida (Mediceo, filza 351, c. 533), se da un lato testimonia la vocazione memorialistica dell'avventuriero, dall'altro induce a supporre che egli fosse a Lione non senza previi accordi con la corte di Cosimo.
In agosto il B. abbandonò la Francia, recandosi a Venezia e poi in Germania, dove passò al soldo degli Imperiali. Tornato in seguito in Italia, si stabilì a Vicenza, dove era già il suo amico Gabriello Ricci detto Bebo o Riccio da Volterra, un "capitano" che aveva militato in Germania ed era stato bandito dallo Stato fiorentino. Servirono vari signori vicentini, fino a che, sopravvenuta una pacificazione generale, il Ricci, trovandosi nel 1547 a Milano, vi incontrò come ambasciatore di Firenze un conterraneo, il volterrano Francesco Vinta, il quale gli propose di riconquistare la grazia di Cosimo uccidendo Lorenzino. Recatosi a Firenze con lettere del Vinta, il Ricci ricevette dal duca ampie promesse d'impunità e di premi per sé e per gli eventuali complici: fatto allora partecipe della missione, il B. andò con lui a Venezia, dove il Medici viveva nascosto sotto falso nome e gelosamente protetto dai fuorusciti fiorentini.
In breve il B., sfruttando le proprie conoscenze tra i fuorusciti stessi e i loro servitori - aveva tra l'altro conosciuto a Roma Roberto Strozzi -, riuscì a scoprire che la vittima designata abitava a S. Polo e commetteva continue imprudenze per amore della bella Elena Barozzi, moglie del patrizio Alvise Zantani. Dopo vari. tentativi non riusciti, la mattina del 26 febbr. 1548 Lorenzino e lo zio Alessandro Soderini, usciti dalla chiesa di S. Polo, furono aggrediti dai sicari presso il ponte di S. Tomà.
Nella Relazione che il B. scrisse sull'avvenimento quasi non si parla che della propria azione. A quanto si desume dal confronto dell'opera con altre testimonianze sembra tuttavia che fosse il Ricci a colpire improvvisamente Lorenzino, mentre il B. fronteggiava e feriva il Soderini; fuggito l'amico, il B. pugnalò a sua volta il Medici che tentava di rialzarsi. Lorenzino, portato nel suo palazzo, vi morì nello spazio di mezz'ora, seguito pochi giorni dopo dallo zio.
Accolti festosamente all'ambasciata di Spagna, i due sicari vi si tennero nascosti per diciotto giorni; poi, travestiti per sfuggire alle ricerche, non solo della giustizia veneta, ma anche delle milizie mobilitate dall'ambasciatore francese, dai fuorusciti e dal nunzio pontificio mons. Giovanni Della Casa, amicissimo di Lorenzino, riuscirono ad uscire da Venezia sotto la scorta dell'ambasciatore imperiale e dei suoi uomini e a raggiungere avventurosamente Firenze. Qui il duca Cosimo li accolse con onore e li ricompensò con privilegi, titoli e pensioni, seppure in misura minore di quanto i sicari avessero sperato. Rinunciarono infatti alla taglia, accontentandosi di una pensione annua di 300 ducati, che era tuttavia bastante per far loro ritenere, come afferma il B. terminando la sua Relazione, di poter ormai vivere "splendidamente e senza verun pensiero".
Mentre il Ricci diveniva governatore della rocca di Massa, dove morì nello scoppio della polveriera, il B. si ritirò a Volterra, dove nell'agosto 1551 sposò Elisabetta vedova di Bartolomeo Turazza, pronipote del Ricci per parte di madre; da lei ebbe Cosimo, che fu poi per tre volte, nel 1600, nel 1602 e nel 1609, tra i Priori di Volterra. Nel 1563, avendo acquistato una casa, il B. chiedeva una dilazione per il pagamento delle tasse e della gabella del sale; nel novembre del 1577 era a Livorno, comandante dei cavalleggeri sotto il Montauto. Morì a Volterra il 7 marzo 1595 e fu sepolto nella chiesa di S. Agostino.
Opere: La Deposizione di Cecchino da Bibbona in Lione preso per sospetto di voler ammazzare Lorenzino de Medici è stata pubblicata da L. A. Ferrai, in Lorenzino de' Medici e la società cortigiana del Cinquecento, Milano 1891, pp. 473-4. Più interessante è la Relazione sull'uccisione di Lorenzino, scritta probabilmente non molto tempo dopo i fatti, e pubblicata da vari editori, tra cui il Morbio (Storia dei Municipi ital., VI, Milano 1846, pp. 524-38), il Cantù (Spigolature negli Archivj toscani, in Riv. contemporanea, XX [1860], pp. 332-45), il Fanfani (La guerra di Serrezana. Il lamento di Lorenzino de' Medici e del duca Alessandro,aggiuntavi La Morte di Lorenzino, Firenze 1862, pp. 67-104) e, infine, il Del Vita (L'uccisione di Lorenzino de' Medici, in Il Vasari, X[1939], pp. 53-76).
La Relazione èassai importante, per i particolari che fornisce sulla preparazione e sull'esecuzione di uno dei più tipici omicidi per mandato del Cinquecento. Il B., che la scrisse probabilmente per tramandare al posteri la memoria di quella che egli riteneva una nobile impresa, ci ha lasciato un documento prezioso sulla figura e sulla mentalità dei "cavalieri erranti", come i soldati di ventura amavano chiamarsi. Lo scritto è tutto pervaso di un amoralismo così sereno e convinto che è difficile pronunciare un giudizio sull'uomo, il quale affida tutta la sua gloria a un delitto che pure afferma d'aver compiuto solo per denaro. Notevoli dell'operetta sono anche la lingua e lo stile, popolareschi, vivaci e liberi da inibizioni tanto da far pensare - e non solo per la suggestione dell'ambiente, dei fatti, del personaggio millantatore e temerario - alla prosa di un Cellini minore.
Bibl.: Oltre alle opere del Cantù, del Ferrai e di Del Vita citate nel testo, v. M. Battistini,Il capitano F. B. e Gabbriello Ricci, in Arte e storia, e. s 5, XXXIII (1914), pp. 198-202.