VISCONTI, Francesco Bernardino
– Nacque a Brignano Gera d’Adda, nello Stato di Milano, il 16 settembre 1579 e fu battezzato due giorni dopo da padre Cristoforo Magistri. Era figlio di Giovanni Battista e di Paola Benzoni.
Il padre apparteneva a un ramo cadetto dei duchi di Milano, discendente da Sagramoro Visconti, nipote di Bernabò, mentre la madre era figlia di Fortunato Benzoni, di antica nobiltà cremasca. La famiglia risiedeva a Milano, presso la parrocchia di S. Giovanni in Conca, e a Brignano, nelle terre concesse in feudo da Galeazzo Maria Sforza nel 1454 a Pietro Francesco e Sagramoro Visconti.
Scarse sono le notizie sulla sua educazione. Il padre morì quando Francesco Bernardino era sedicenne e il curatore testamentario, Giovanni Battista Castoldo, lo mandò insieme al fratello Galeazzo Maria a studiare nel collegio dei nobili a Milano. In seguito risiedette in prevalenza a Brignano, nelle terre feudali ereditarie. Fin da giovinetto fu coinvolto in episodi di sangue relativi a faide familiari e intimidazioni legate alla pratica, all’epoca assai diffusa, della violenza nobiliare.
Tali attività avevano già caratterizzato la sua famiglia nelle generazioni precedenti. Il fratello maggiore, Francesco Maria, era stato condannato insieme ai cugini per il rapimento di sua madre, condotto allo scopo di impedire che ella si sposasse in seconde nozze dopo la morte del marito. Allora Francesco Bernardino era molto giovane, appena undicenne, e non fu coinvolto nel processo che ne seguì, anche se probabilmente non era del tutto estraneo ai fatti.
Ben presto egli cominciò a circondarsi di bande di bravi e a dedicarsi a pratiche vessatorie violente in sprezzo delle autorità giudiziarie. Diversi furono i procedimenti penali che lo colpirono, sempre in contumacia, avvalendosi egli delle molte protezioni che aveva in Stati esteri per sottrarsi alla giustizia. Le faide di cui si fece protagonista si estendevano anche oltre confine. Nel 1593, insieme al fratello Galeazzo Maria al comando di una banda di bravi, risultò coinvolto nell’omicidio di un affittuario dei beni appartenenti alla madre a Bagnolo Cremasco, nello Stato veneto. Successivamente, nel 1597, i due fratelli furono accusati dell’omicidio di Vittore De Bullis, un paesano abitante nei loro feudi di Pagazzano. Francesco Bernardino riuscì a più riprese a sfuggire alle condanne mediante lo strumento della ‘pace’, contrattata da suoi emissari con la parte lesa; attraverso questa pratica le vittime si ritiravano dal processo dietro concessione di una ricompensa e il procedimento veniva sospeso, poiché negli ordinamenti giudiziari dell’antico regime non era previsto l’obbligo dell’azione penale. Così avvenne nel 1606, quando Visconti ottenne la remissione della pena dai figli di Vittore De Bullis, ucciso alcuni anni prima.
Nel 1597 si assistette a una vera e propria guerra tra bande di bravi sul confine bergamasco adiacente a Brignano, con provocazioni, sconfinamenti e omicidi compiuti rispettivamente dai fratelli Visconti a capo della loro banda e da analoghe formazioni al servizio del conte Galeazzo Secco Suardo, suddito veneto. In seguito a questa azione Francesco Bernardino e il fratello furono arrestati e reclusi nel castello di Novara nel 1599. Ottennero successivamente di potersi trasferire a Milano, allo scopo di avviare le trattative per concludere la pace con i Secco Suardo.
Un’altra faida a carattere familiare fu rivolta da Visconti contro Ercole suo cugino, che era figlio naturale legittimato, per impedire la divisione dei beni familiari di Pagazzano e appropriarsi della quota che sarebbe spettata a Ercole. Nel 1602 Visconti fu processato in contumacia dal ‘giudice del cavallo’ di Milano e dall’avvocato fiscale e colpito da bando; infine fu condannato a morte e alla pena della confisca dei beni, ma al momento della condanna continuava a essere latitante. Furono quindi avviate le pratiche di confisca dei suoi beni, fra i quali figurava la quarta parte del feudo di Brignano e la metà del feudo di Pagazzano. I familiari, e specialmente il fratello Galeazzo Maria, presentarono numerose istanze per dimostrare che i beni non appartenevano a lui, ma ad altri parenti. Era questa una pratica consueta in casi simili, finalizzata a evitare la confisca regia e a far rimanere le proprietà del condannato nell’ambito della famiglia. Il valore dei beni di Visconti era consistente: furono stimati in 46.515 lire. Suo fratello ottenne infine di trattenerli per poter rimborsare i numerosi creditori di Francesco Bernardino, riuscendo in tal modo a evitare lo smembramento del patrimonio familiare.
Il nome di Visconti figura nuovamente in una grida emanata il 10 marzo 1603 da Pedro Enríquez de Acevedo conte di Fuentes, governatore dello Stato di Milano, che colpiva banditi e facinorosi attivi nella Gera d’Adda, nella quale si faceva speciale menzione di Visconti e dei suoi accoliti. Egli allora riparò fuori confine, nel Cremasco. Il nostro fu menzionato in una nuova grida del 1609, che colpì qualche centinaio di banditi e poi ancora nel 1614.
Rimangono ignoti gli eventi della sua vita seguente, come della morte, avvenuta forse nel 1647.
Negli anni successivi alla redazione dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni Visconti fu identificato con l’Innominato dall’autorevole voce di Cesare Cantù (1858). Questo avvenne anche in considerazione della rispondenza del racconto manzoniano con un episodio di conversione riportato da un autore del XVII secolo, Giuseppe Ripamonti, nelle sue Historiae patriae. Ripamonti narra le vicende di un potente signore nel cui palazzo, ubicato nella Gera d’Adda ai confini con la Repubblica di Venezia, si organizzava una vera e propria officina di mandati sanguinosi.
La collocazione geografica e il periodo in cui avvennero gli eventi narrati da Ripamonti corrisponde ai luoghi in cui era attivo il nostro, ma l’autore non ne riporta mai il nome; né è certo che il Manzoni si fosse ispirato proprio a Ripamonti per la vicenda dell’Innominato, anche se molti indizi paiono rafforzare questa ipotesi. Ne è seguita una serie di discussioni pro e contro l’identificazione del nostro con l’Innominato, sulla quale è impossibile dare una risposta certa, dato il silenzio di Manzoni su questo punto. Probabilmente egli utilizzò per il suo romanzo fonti diverse: ampi spunti tratti dalla storia di Ripamonti potrebbero essere stati arricchiti con altre fonti storiche, non ultimi i documenti conservati negli archivi della sua famiglia.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Famiglie, 206; Finanza Confische, 3227-3228; Feudi Camerali parte antica, 116; P. Litta, Famiglie celebri d’Italia, Milano, 1819-1883, Visconti di Milano, tav. VIII; C. Cantù, La Lombardia nel secolo XVII. Ragionamenti, Palermo 1858, pp. 106-109; C. Donini, Sull’Innominato. Comunicazione letta al I Congresso storico lombardo, Treviglio 1936; A. Dattero, La famiglia Manzoni e la Valsassina. Politica, economia e società nello Stato di Milano durante l’Antico Regime, Milano 1997; Teatro genealogico delle famiglie nobili milanesi, a cura di C. Cremonini, II, Mantova 2003, p. 299.