FEROGGIO (Ferroggio), Francesco Benedetto
Figlio dell'architetto e ingegnere Giovanni Battista (cfr. voce in questo Dizionario) e di Anna Maria Manera, nacque a Torino verosimilmente intorno al 1760, ed in questa città compì gli studi di architettura e ingegneria. Il 6 dic. 1782 il F. acquisì il titolo di architetto civile e contemporaneamente di misuratore (Torino, Arch. stor. dell'Università, Esami facoltà scienze matematiche, fisiche e naturali. Registro degli architetti, maestri de conti e misuratori, XD, 3 [1759-1838], c. 88), presentando quattro elaborati grafici riguardanti una "Casa civile" (Torino, Bibl. naz., Indice dei volumi di architettura civile, militare ed idraulica. Architettura civile, VII, 1764-1784). L'anno seguente lo ritroviamo studente del quarto anno di idraulica (Arch. di Stato di Torino, Fabbriche e Fortificazioni. Relazioni a S. M., 1783), e il 7 ag. 1784 gli fu rilasciato il titolo di architetto idraulico (Torino, Arch. stor. dell'Università, Esami facoltà scienze matematiche, fisiche e naturali..., XD, 3, c. 94), con due disegni aventi come soggetto "L'elevazione di un corpo d'acqua perenne di due ruote all'altezza di piedi dieci da un canale per mezzo di una macchina" (Torino, Bibl. naz., Indice..., II [sino al 1806]).
Evidentemente con questa specializzazione idraulica il F. completava il ventaglio di possibili commesse che la piazza professionale di Torino sembrava offrire, integrando le nozioni che l'insegnamento paterno gli poteva dare, e nel contempo ufficializzava una specializzazione che sia il padre sia lo zio Benedetto (cfr. voce in questo Diz.) avevano già avuto modo di esplicare nella soluzione di problemi legati a corsi di fiumi e bealere (rogge). Inoltre, con molta probabilità, in questa specializzazione erano comprese anche le nozioni tecniche riguardanti le macchine, non essendo attivato presso l'università un corso di meccanica a sé stante, come risulta dalla totale mancanza di approvazioni in tal senso nei registri della stessa, e proprio questa sembra essere la specializzazione che meglio qualifica l'attività del più giovane rappresentarIte della famiglia degli architetti Feroggio.
Seguendo le tradizioni famigliari, il F. entrò alle dipendenze dell'Azienda delle fortificazioni e fabbriche e nel 1787 era misuratore assistente (Arch. di Stato di Torino, Camera dei conti, art. 183, 1787). La collaborazione con il padre era molto stretta e lo diventò sempre più negli anni, sino alla totale sostituzione negli incarichi, soprattutto nell'ultimo periodo di vita di Giovanni Battista. Nel 1786 fu commissionata a questo la ricostruzione, che durò sino al 1788, del teatro Carignano, parzialmente distrutto da un incendio: e Giovanni Battista propose il figlio quale direttore dei lavori, motivando la richiesta con il bisogno di un tempo maggiore da trascorrere a tavolino, libero da impegni di controllo in cantiere, per approntare le tavole, i calcoli e le istruzioni necessarie alla realizzazione dell'opera. Curiosamente non ci sono rimaste piante firmate da Giovanni Battista, bensì una pianta redatta dal F., firmata e datata 10 maggio 1786, su cui è delineato il perimetro esterno del teatro (Ibid., Savoia Carignano, Cat. 52, mz. 4). Inoltre al F. fu affidato l'incarico di recarsi a Monza per prendere visione del congegno del teatro ducale di G. Piermarini. La realizzazione, nel teatro torinese, del complesso meccanismo che permetteva di alzare o abbassare il palcoscenico al livello della sala in occasione di balli e manifestazioni, è infatti opera sua (ibid.). Piùavanti nel tempo (6 dic. 1794) il F. firmò anche due piante relative al piano terreno della casa prospiciente la via Nuova e situata dietro al teatro, anch'essa di proprietà del principe di Carignano, per definirne l'estimo (ibid.), testimoniando così una relazione professionale con il principe Carlo Emanuele destinata a durare nel tempo. Tra il 1787 ed il 1788 ebbe la direzione dei lavori nei cantieri per gli interventi da farsi nelle carceri di Acqui, Saluzzo e Mondovì, anche questi commessi al padre (Ibid., Fabbriche e Fortificazioni. Relazioni a S. M., 1787, 1788).
Nel corso del 1788 il F. ottenne l'aggregazione al Real Collegio delle arti, presso l'università degli studi di Torino, come membro della classe dei matematici; per l'occasione (7 maggio) lesse il discorso, poi pubblicato (Torino s.d.), Dell'utilità e applicazione delle matematiche all'architettura civile, da cui traspare come per il F. fosse la matematica a determinare "le ragioni della bellezza, le regole della comodità, e le leggi della sodezza", ma ancora secondo il filone accademico che si riconosceva nella tradizione vitruviana classicistica, rivista però alla luce di un atteggiamento scientista. Le idee del F. trovarono espressione sul Giornale scientifico e letterario e delle arti di una Società filosofica di Torino di G. Giobert e C. Giulio, sulle cui pagine comparvero, tra il 1789 e il 1790, suoi contributi a tema diverso. L'intervento più interessante è sicuramente la recensione alla riedizione del saggio sul teatro di F. Milizia, pubblicata a Venezia nel 1789 (ibid., 1790, VIII, 3, pp. 77-89).
Accanto a questi interessi di carattere prettamente teorico il F. continuò un'intensa attività professionale. Il 18 maggio 1788 firmò il progetto di sopraelevazione della casa del conte di Sambuy (palazzo Scaglia di Verrua) nell'isola di S. Bonifacio (Torino, Arch. stor. della città, Cart. 62, fasc. 5, dis. 5), e nel corso dello stesso anno, avendo il re Vittorio Amedeo III deciso di erigere a sue spese una specola ad uso dell'Accademia delle scienze, gli fu affidato dall'Azienda delle fortificazioni e fabbriche l'incarico più prestigioso della sua carriera torinese, cioè la progettazione dell'osservatorio, da realizzarsi superiormente ai locali occupati dall'Accademia.
Il primo disegno, redatto in data 11 luglio 1789, dopo avere avuto il collaudo dall'architetto C. A. Rana (Torino, Arch. stor. d. Accad. delle scienze, Cartella disegni), fuapprovato dal re. Ciononostante l'Accademia ritenne opportuno pagargli viaggio e soggiorno a Milano per studiare direttamente l'osservatorio dell'imperiale collegio di Brera e per consultarsi con gli astronomi milanesi su eventuali possibili migliorie (Ibid., Cat. 3, cl. I, vol. 2, reg. 16). Data la natura del progetto, è evidente che al F. era ormai riconosciuta una preparazione tecnica nella direzione delle macchine - già del resto dimostrata nella realizzazione del meccanismo del teatro Carignano - che gli permetteva di tenere conto, nell'ideazione architettonica, dei complessi movimenti che il congegno meccanico della specola doveva attuare. Al ritorno da Milano presentò un nuovo disegno, datato 4 dic. 1789 (Arch. di Stato di Torino, Genio civile, n. 8/ 16), e un modello in legno "di una torre mobile con il suo meccanismo" (Torino, Arch. stor. d. Acc. delle scienze, Cat. 3, Cl. I, vol. 2, reg. 16). Con molta probabilità anche i disegni dei meccanismi, ancora oggi conservati presso l'Accademia, e non firmati, - a sono opera del F. (Ibid., Cartella disegni), lui spetta inoltre l'istruzione per gli impresari, la direzione dei lavori in cantiere e l'approvazione di tutte le spese. Nel corso del 1790 la specola fu ultimata con piena soddisfazione degli accademici e al F. fu concesso (11 aprile), su sua istanza, il titolo di architetto dell'Accademia delle scienze; nel novembre dello stesso anno gli fu assegnata una medaglia d'oro (Ibid., Cat. 3, Cl. vol. 2, reg. 16) quale riconoscimento "della singolare maestria" dimostrata. Dalla descrizione dell'edificio realizzato, apparsa, priva di firma, sul Giorn. scient. lett. e delle arti... (VIII [1790], 2, pp. 42-46), èevidente la complessità del progetto, soprattutto a livello tecnico. L'attenzione del progettista non si era però soffermata sulle esclusive parti architettoniche e meccaniche, ma si era espressa in modo veramente globale, prevedendo nella sala principale, dimezzata nell'altezza da una galleria sostenuta da sedici atlanti, la decorazione del soffitto con la rappresentazione del sistema planetario; aveva inoltre disegnato anche gli arredi (scansie per i libri della biblioteca astronomica e per i piccoli strumenti). Purtroppo questi disegni non si sono conservati e la specola, gravemente danneggiata durante la seconda guerra mondiale, in seguito è stata distrutta. Esiste invece ancora un disegno, firmato dal F., ma senza data, di scansie ad altezza d'ambiente, con una balconata superiore sorretta da colonne ed espositori a vetro per collezioni (Torino, Arch. stor. d. Acc. delle scienze, Cart. dis.). Queste scaffalature a parete erano state progettate, e poi realizzate, per il Gabinetto di scienze naturali che si trovava presso l'Accademia, come risulta dall'iscrizione posta a tergo del disegno stesso e da un documento di pagamento da farsi all'architetto F. firmato dal presidente C. L. Morozzo il 27 maggio 1797 (Ibid., Cat. 11, Cl. I, mz. 344).
Ultimato il cantiere della specola, il F. (che in qualità di architetto dell'Accademia, seguì sempre e controfirmò i lavori e le spese che si susseguirono per la manutenzione dell'osservatorio sino al 1797), già nel marzo del 1790 riprese l'attività professionale e si occupò della sistemazione provvisoria delle scuderie del principe di Carignano sotto il regio magazzino dei grani. Si trattava di un intervento di consolidamento delle volte che prevedeva il rifacimento di sedici pilastri (Arch. di Stato di Torino, Fabbriche e Fortificazioni. Relazioni a S. M., 1790).
Tra le motivazioni addotte per la richiesta vi era la collaborazione attiva che il F., poteva offrire per il miglioramento tecnologico dell'impianto. Infatti nella primavera del 1792 entrò in funzione un nuovo "edificio" per la lavorazione meccanica dei marmi, che utilizzava l'albero della grande ruota mossa dalle acque della Dora per mettere in funzione tre seghe diverse, di cui due utilizzate per il taglio dei marmi e una per le pietre dure (Biblioteca oltremontana, II [1792], p. 294). L'impianto idraulico polivalente, opera del F., tecnologicamente superiore al precedente, dimostra la notevole preparazione ed abilità da lui acquisita.
Ma il F., nonostante questa propensione per la creazione di congegni, non tralasciò mai la progettazione architettonica in senso stretto. Nel febbraio dello stesso anno firmò il disegno per l'altare maggiore della chiesa della Misericordia in Torino: in marmo colorato, di gusto già neoclassico, doveva sostituire il precedente ligneo ormai in cattive condizioni (Torino, Arch. parr. d. Chiesa della Misericordia, Cart. disegni). Nel marzo sempre del 1790 il F. fornì il disegno per le carceri di Casale Monferrato (Arch. di Stato di Torino, Approvazione contratti fabbriche, 1792;la commessa in realtà era stata data al padre, in cattive condizioniùi salute). Nel 1793 era ancora attivo per Casale Monferrato, dove fornì alcuni disegni per la cappella di S. Evasio nel duomo intitolato allo stesso santo (Bellini, 1978): di particolare interesse è il progetto, di gusto pienamente neoclassico, del pavimento in marmo policromo (Casale Monferrato, Arch. parr. S. Evasio, Cartella disegni).
Nel 1793 divenne accademico di S. Luca (Torino, Accademia di S. Luca, Archivio); risulta inoltre che era l'amministratore della Casa Messier, posta nell'isola di S. Pietro (Rebaudengo-Beccaria, 1977, p. 168), dove evidentemente abitava con la famiglia. Suppliva ormai a tutte le incombenze professionali e legali per conto del padre, avendone avuto ufficialmente la procura (Arch. di Stato di Torino, Insinuazioni di Torino, 1793, lib. V, c. 1911). Il F. fu nominato professore straordinario di geometria presso l'università di Torino con patente del 21 apr. 1795 (Ibid., Registri Regie Provvidenze, 1795). Tre giorni dopo gli venne data anche la successione al padre nella custodia dei Regi Magazzini dei marmi (ibid.).
Il 3 genn. 1796 sposò Anna Alasia, nipote del teologo G. A. Alasia, professore di geometria presso l'università di Torino (Ibid., Insinuazioni di Torino, 1796, lib. I, c. 1449). Ma la notte tra il 13 ed il 14 aprile fu arrestato, si può supporre per fatti legati al particolare momento politico, e l'8 giugno fu rilasciato (Ibid., Fabbr. e Fort., Relaz. a S. M., 1796). Nel maggio dell'anno successivo lasciò una procura alla madre ed ai fratelli per tutte le eventuali incombenze in quanto in procinto di recarsi a Nizza, "Dipartimento della Repubblica Francese per particolari sue convenienze e previo aggradimento di questo real governo" (ibid., 1797, lib. 5, c. 794); a giugno risiedeva già ufficialmente in quella città (ibid., c. 789). Due anni dopo rinunciò alla sua parte di eredità paterna a favore dei fratelli Giacinto ed Angelo, ed anche all'enfiteusi dell'edificio della sega dei manni (ibid., 1799, lib. 8, c. 923), lasciando così intendere di volere sciogliere ogni legame con Torino; infatti da questo momento si perde ogni traccia di sue eventuali attività professionali, anche se il suo nome fu incluso nell'elenco della pianta dell'organico dei professori dell'università di Torino, quale professore di matematica mista, allorquando si decise la riapertura dei corsi nell'ottobre del 1800 (Ibid., Corte, Regia Università di Torino, mz. 1 da ordinare; mz. 3 di addizione). Paroletti (1819) lo dice vivente ed attivo in Francia, dove per il suo talento era molto ricercato e stimato. Presso le Archives nationales di Parigi sono presenti alcuni disegni firmati dal F. e precisamente "Un projet d'une caserne de conscrits, d'une maison de police municipale, d'un marché aux herbes et au poisson pour la ville d'Alessandrie" e un "Plan de l'Hotel de la Préfecture de Marengo" (Fondo N, Pays étrangers, N III Marengo 1 1-4, Prov. F. 13 1564).
Non si conoscono la data e il luogo di morte.
Fonti e Bibl.: Oltre ai documenti citati all'interno della voce, vedi: G. B. Vigo, Marmora subalpina, Torino 1792, p. 17 e tav. f.t.; Commentari bibliogr. per l'anno 1792, III, 3, p. 253; Biblioteca oltremontana e piemontese, II (1792), p. 294; M. Paroletti, Turin et ses curiosités, Torino 1819, p. 386; C. Brayda-L. Coli-D. Sesia, Ingegneri e architetti del Sei Settecento a Torino, in Atti e Rass. tecnica della Soc. degli ingegneri e architetti in Torino, XVII (1963), 3, pp. 34 s., 76 e passim dell'estratto; Schede Vesme, II, Torino 1966, p. 469; D. Rebaudengo-M. Beccaria, Le isole di S. Pietro e S. Baldassarre, Torino 1977, pp. 24-26, 28, 168; A. Bellini, B. Alfieri, Milano 1978, pp. 269-271; W. Canavesio, Dal bello matematico al bello ideale. Percorsi della teoria architettonica piemontese nel declino del Settecento, in Studi piemontesi, XXII (1993), 2, pp. 315-320; A. Gilbert, Marmora subalpina, in Piemonte minerario (catal.), Torino 1993, pp. 40, 42 s., 51, 55; A. Ceratti, Idisegni italiani del Fondo N agli Archives Nationales di Parigi, in Il Disegno di architettura, 1994, n. 9, p. 26.