BELLAFINI (Bellafino, Bellafinus), Francesco
Nacque a Bergamo nella seconda metà del secolo XV di famiglia padovana. Attese prima agli studi di eloquenza greca e latina ed entrò quindi nella vita pubblica della sua città ricoprendo le cariche di segretario e di cancelliere del Maggior Consiglio (1504).
In anni di lotte interne e di rivolgimenti sanguinosi, ebbe almeno due volte importanti incarichi diplomatici: nel 1508 fu mandato come oratore a Venezia e, nel febbraio 1512, insieme con Oliviero Agosti a Milano, per placare i Francesi vittoriosi a Brescia con Gastone di Foix e in procinto di volgersi contro Bergamo per vendicare l'insurrezione filoveneta del popolo. La missione, pur ricevendo l'appoggio di Gian Giacomo Trivulzio, riuscì solo in parte: la città fu spogliata dei privilegi e i notabili, fra cui il B., vennero imprigionati. Tornato in libertà dopo nove mesi, al ritorno dei Veneziani, fu reintegrato nel suo ufficio e si dedicò a raccogliere i materiali per la sua unica opera che appare a stampa: De origine et temporibus urbis Bergomi (con un altro scritto da lui edito: Agri et urbis bergomatis descriptio di Marcancantonio Michiel, Venetiis 1532), fonte principale per la sua bìografia.
È, una narrazione stringata, immune dall'enfasi umanistica, pregevole per doti di stile, e - nell'ultima parte, che riflette vicende contemporanee all'autore fino al 1516 - perscrupolo di esattezza e di obbiettività; le pagine sulle "origini" fanno invece credito a racconti fantastici e agli apocrifi scrittori anniani. Il libretto ebbe notevole successo: fu tradotto in volgare, con appendice, da Giovanni Antonio Licino (Bergamo [ma Brescia] 1555)e inserito dal Graevius nel Thes. Antiq. et Histor. Italiae (Lugduni Batav. 1723, IX, 7).
Il B. morì a Bergamo il 13 febbr. 1543, lasciando erede delle sue sostanze il figlio Giovan Paolo, avuto da Lucrezia Colleoni, da lui sposata nel 1509.
Il nome del B., pressoché dimenticato all'infuori della storiografia locale, fu portato nel campo più vasto della questione della lingua per merito del Cian, che ne rese nota una lunga lettera diretta verso il 1530al Michiel e trovata in un codice raccolto da D. Francesconi. In essa, facendo sfoggio di erudizione e spiegando un inconsueto tono polemico, depreca la sempre maggior diffusione del volgare, mettendosi in tal modo dalla parte dell'Amaseo e del Buonamico contro il Bembo e i suoi seguaci. È interessante notarvi, fra l'altro, gli esempi delle storpiature o riduzioni volgari di forme latine in uso a quel tempo, nonché gli accenni alle questioncelle ermeneutiche intomo a testi di Dante e del Petrarca, ai quali peraltro il B. conferma la sua stima, solo scagliandosi contro i pedissequi imitatori.
Bibl.: D. Calvi, Scena letter. degli scrittori bergam., Bergamo 1664, I, pp. 158 s.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scritt. d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 635; B. Vaerini, Gli Scritt. di Bergamo, Bergamo 1778, pp. 176-179; G. Tiraboschi, Storia d. letter. ital., VII, Venezia 1796, p. 921; E. Narducci, Giunte all'opera "Gli Scrittori d'Italia", Roma 1884, p. 68; V. Cian, Contro il volgare, in Studi letter. e linguistici dedic. a P. Rajna, Firenze 1911, pp. 287-91 (un cenno sulla lettera del B. al Michiel era in E. A. Cicogna, Intorno la vita e le opere di M. A. Michiel, nelle Mem. dell'Istituto Ven. di Scienze, Lettere ed Arti, IX, 3 [1861], p. 384, come ricorda lo stesso Cian nel suo libro Un decennio della vita di Pietro Bembo, Torino 1885, v. 150 n. 1); B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, III, Bergamo 1959, pp. 196 s., 205 s. e passim.