BASSET (Bassetti), Francesco
Al pari dei vari altri Basset, che come ufficiali o sottufficiali fecero parte alla fine del Settecento dell'esercito napoletano, fu uno degli oriundi francesi venuti a servire nel Mezzogiorno in reggimenti reclutati all'estero. Già appartenente al reggimento Borgogna, nel gennaio 1791 era primo tenente addetto alla R. Accademia militare di Napoli. Promosso capitano tenente del reggimento Borgogna soltanto nell'ottobre del 1796, quando si prese a largheggiare nelle ammissioni nell'esercito e nelle promozioni per formare i quadri dell'armata destinata a combattere i Francesi, continuò a servire nell'Accademia. Nel 1798 ebbe da capitano il comando del Secondo Corpo dei Volontari della Calabria citra e finalmente ai primi del seguente novembre il comando del 190 battaglione Volontari Cacciatori di Terra di Lavoro. Con questo grado e con queste truppe il B. partecipò alla guerra del 1798 contro l'esercito dello Championnet. Finalmente gli avvenimenti che seguirono all'ingresso dei Francesi in Napoli gli offrirono larghe possibilità di carriera nei reparti armati organizzati dalla Repubblica.
Non sappiamo per quale ragione, ma forse, come inclina a credere il Croce, per la sua appartenenza alla massoneria e ai clubs giacobini, ben presto fu nominato comandante di battaglione e subito dopo raggiunse il grado di generale. E, come ricaviamo sia dalla Storia del Colletta, testimone degli avvenimenti, sia dai Mémoires pour servir d l'histoire des dernières révolutions de Naples del Nardini, altro testirnone, il 7 giugno 1799, dopo aver battuto a Barra gli insorti che minacciavano la capitale, "tornò respinto e ferito in Napoli"; tre giorni dopo chiamò a raccolta le guardie nazionali spingendole a combattere in sostegno del Wirtz e del Manthoné, e con esse il 13 tentò l'estrema difesa d'accordo con lo Schipani, che era a Torre Annunziata, al quale diede particolari istruzioni in una lettera che ci è giunta perché sequestrata addosso a un ufficiale repubblicano. La sorte delle armi non gli fu favorevole in quel giorno e a lui si fece risalire la colpa del fallimento del piano di estrema difesa stabilito dal governo repubblicano, avendo egli, contrariamente agli ordini di questo, attaccato le truppe del Ruffo proprio il giorno sacro a S. Antonio, che le masse degli insorti ed il volgo napoletano ritenevano sarebbe stato quello della vittoria decisiva. Un bene informato profugo napoletano, autore di una Storia della rivoluzione napoletana del 1799 resa nota dal Croce, riferisce che il B., lasciandosi trascinare dal desiderio di battersi col nemico attaccò le avanguardie del Ruffo e le ricacciò sin quasi a Portici, non sapendo però poi trar vantaggio dell'iniziale successo, anzi abbandonando le proprie truppe per recare la notizia a Napoli. E anche altri contemporanei, se non espressero dubbi sulla sua fedeltà repubblicana né sul suo coraggio personale, peraltro avanzarono sospetti sulla sua bravura e sulla sua prudenza.
Dopo la caduta della Repubblica napoletana il B. nell'ultima decade di settembre del 1799 fu condannato a morte e trasferito da Castelnuovo al Castello del Carmine, vicino al luogo dell'esecuzione, che avrebbe dovuto aver luogo il 24 settembre. Ma il giorno precedente l'esecuzione il coraggio gli venne meno e, per ottenere un rimando ed eventualmente la gr la della vita, promise di svelare una grande cospirazione. Così nei giorni seguenti fece molti nomi di cospiratori, fra i quali Annibale Giordano, suo compagno di carcere, e il Medici; a quanto riferisce il Colletta, fra gli altri denunziò 17 prigionieri chiusi nella "fossa profonda" di Castelnuovo che si preparavano a un tentativo di fuga. In realtà, a parte la denunzia del tentativo di fuga nel quale avrebbero avuto parte le sorelle Chiarizia, e che peraltro ebbe soltanto un inizio di preparazione, si trattava di fandonie inventate soltanto per prendere tempo in attesa di qualche indulto generale. Lo stesso principe di Cassaro, luogotenente generale del Regno, si convinse che il B. si era prefisso soltanto di "sfuggire alla pena di morte", mentre egli era "uno dei più gravissimi rei", e nel gennaio del 1800 propose che subisse la pena capitale. Tuttavia il B., raggiunse il suo intento perché, forse per la protezione della corte e della regina, ottenne che la condanna gli fosse commutata; dopo il fallimento di un tentativo di evasione dal carcere napoletano, fu inviato alla Favignana. A restituirgli la libertà provvidero, dopo poco, la pace di Firenze e l'indulto che ad essa seguì. Ma ormai l'aria di Napoli non gli si confaceva più perché era pubblicamente accusato di avere denunziato i patrioti che con lui erano in carcere: si facevano perfino il nome di Cirillo, del Pagano e di altri famosi, che avrebbero perduto la vita per il tradimento suo e del Giordano. E di tale accusa si fece portavoce il Lomonaco, che nel suo Rapporto stampato nel 1800 denunziò lui e Annibale Giordano come "i soli vili che indultaronsi e scoprirono i patrioti occulti". Il B. si recò allora a Costantinopoli in cerca di fortuna, ma, preoccupato del pericolo di divenire oggetto delle persecuzioni dei Turchi quando si diffuse la voce che la Russia avrebbe obbligato la Porta a dichiarare la guerra alla Francia, abbandonò anche questa città. Nei primi mesi del 1806 era a Parigi. Rivoltosi al ministro della polizia imperiale per ottenere il sussidio che la Francia aveva concesso ai profughi delle Due Sicilie, l'ottenne per le favorevoli informazioni che di lui diede un profugo di ottima reputazione, il medico Giosuè Sangiovanni.
Nulla sappiamo del B. dopo tale data. Se ritornò a Napoli, certamente non fu accolto nel nuovo esercito formato da Giuseppe Bonaparte e dovette morire poco dopo, perché il Colletta riferisce che ebbe "vita corta".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Casa Reale, Scrutini Militari; Ibid., Esteri, f. 4066; Gazzetta Civica Familiare, n. 44, Napoli 15 ott. 1796; B. Nardini, Mémoires pour servir à l'histoire des dernières révolutions de Naples, Génes 1803, p. 156 ss.; A. Sansone, Gli avvenimenti del 1799 nelle Due Sicilie, Palermo 1901, pp. 120 ss; A. Cortese, La politica estera napol. e la guerra del 1798, Napoli 1924, p. 111; V.Cuoco, Saggio stor. sulla Rivol. napoletana del 1798, a cura di N. Cortese, Firenze 1926, pp. 180 ss.; F. Lomonaco, Rapporto, a cura di F. Nicolini, Bari 1925, p. 307; P. Pieri, Una pretesa cospirazione a Napoli nel settembre 1799, in Rass. stor. d. Risorgimento, XIV (1927), pp. 488-506; Frammenti di una ined. storia della rivoluz. napol. del 1799, a cura di B. Croce, in La Critica, XXX (1932), pp. 230-231; B. Croce, Varietà di storia letteraria e civile, Bari 1935, 1, pp. 201-211; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1951, II, passim.