ARESE LUCINI, Francesco
Nato a Milano il 12 ag. 1805 dal conte Mirco, deputato lombardo ai Comizi di Lione del 18021 e da Antonietta dei marchesi Fagnani, amata dal Foscolo che la cantò nell'ode All'amica risanata, crebbe in un ambiente ove le idee liberali e patriottiche si fondevano con le mem,3rie della Repubblica Cisalpina e del Regna d'Italia, traducendosi nell'aspirazione all'indipendenza.
Risentì particolarmente l'influsso del barone Alessandro Zanoli, storico delle glorie militari italiane dell'epoca napoleanica, e di uno zio, anch'egli veterano delle armate di Bonaparte, il colonnello Francesca Teodaro A.' poi imprigionato allo Spielberg per aver preso parte con il Confalonieri alle cospirazioni del '21, la cui grazia il giovane A. chiese personalmente per ben due volte, ma invano, all'iinperatore Francesco I.
L'A. si uni a quel gruppo di giovam patrioti milanesi appartenenti alla nobiltà e alla borghesia, Gaspare Ordoflo de Rosales, Carlo Bellerio, il principe Luigi di Belgioioso, i fratelli Carlo e Giovanni d'Adda, i quali, legati al Mazzini, si orientavano per la repubblica. Nel 1831 questo gruppo intensificò la sua attività e i contatti con gli agenti mazzinianL Scoperta la società segreta da parte della polizia asburgica, il Rosales fu arrestato e gli altri si sottrassero alla cattura espatriando. Fra questi l'A., che trovò affettuosa ospitalità presso la regina Ortensia, nel castello di Arenenberg, nel cantone svizzero di Turgovia. Qui egli rinsaldò i vincoli d'amicizia che già da tempo lo legavano a Luigi Napoleone Bonaparte, figlio dell'ex re d'Olanda, amicizia fondata ora anche su comuni aspirazioni politiche e sulla partecipazione di entrambi ai fatti del '31.
L'A. fu a Zurigo compagno di studi del principe e con lui visitò nel 1832 l'Inghilterra. Sulle sue idee politiche ebbe grande influenza il gen. G. Dufour, precettore dei giovane Bonaparte. Divenuto amico di Giovanni Ruffini e di Terenzio Mamiani, dopo la sfortunata spedizione di Savoia (1834) l'A. si allontanò definitivamente dal Mazzini e dai suoi metodi. Si arruolò nella Legione straniera come semplice cavalleggero, divenendo poi aiutante di campo del maresciallo B. Clausel, governatore francese dell'Algeria. Andato Luigi Bonaparte in esilio negli Stati Uniti d'America dopo la fallita cospirazione di Strasburgo (1836), l'A. lo raggiunse a New York: in America essi incontrarono il conte F. Confalonieri, che, liberato dal carcere, vi era stato deportato insieme con altri reduci dallo Spielberg. Rientrato il principe in Svizzera nell'estate del 1837' l'A. rimase in America; come, dopo il congedo dall'esercito francese, cedendo alla sua passione per i viaggi, aveva visitato l'Africa settentrionale spingendosi sino al Sahara, così ora percorse alcune regioni della Confederazione e del Canada, annotando le sue impressioni (Notes d'un voyage dans les prairies et dans l'intérieur de l'Amérique Septentrionelle, pubbl. integralm. da R. Bonfadini in Vita di F. A., pp. 445-544). Nel 1838, in virtù dell'amnistia generale concessa dall'imperatore Ferdinando I, tornò a Milano, e l'anno successivo sposò la figlia di un alto dignitario napoleoníco, la marchesa Carolina Fontanelli. Frequentò la casa del Manzoni, si legò d'amicizia con M. d'Azeglio, conobbe letterati quali G. Torti, T. Grossi e A. Mauri, (al quale, poi, esule anchegh a Torino dopo l'insurrezione lombarda, affiderà l'educazione dei figli), ritrovò i vecchi amici d'Adda, L. Porro e C. Giufiffi, e partecipò al movimento politico-culturale che precedette e preparò gli eventi del '48.
Insorta AUano, l'A., di cui erano note le inclinazioni albertiste, venne inviato a Torino per sollecitare l'intervento piemontese e il 21 marzo 1848 fu ricevuto dal re che gli diede ampie assicurazioni. Nell'aprile fu, insieme con Carlo BeRerio, incaricato dal governo provvisorio lombardo di stabilire rapporti diplomatici con il regno di Baviera, ma i Bavaresi, preoccupati per le sorti del Tirolo minacciato dagli insorti italiani, parteggiavano per l'Austria, e perciò la missione fallì. Rientrato da Monaco, l'A. prese parte attiva alla guerra combattendo a Peschiera, dove poté dar prova delle sue capacità militari, e fece poi parte del Comitato di vigilanza, cui era affidata la tutela dell'ordine pubblico in Lombardia. Nell'agosto 1848 abbandonò Milano poco prima dell'ingresso degli Austriaci e riparò a Genova. A rendergli ancor più amaro l'esilio sopraggiunse nel dicembre 1849 la morte della moglie.
L'amicizia di Luigi Napoleone, la fiducia illimitata che questi riponeva in lui e la considerazione di cui godeva nei circoli bonapartisti permisero all'A. di rendere preziosi servigi alla causa nazionale italiana. Gli uomini responsabili della politica subalpina, il Giobertí prima, l'Azeglio, il Cavour, il Lamarmora dopo, ben compresero che, tramite il compagno di gioventù e d'esilio, si poteva avvicinare con maggiore facilità, e più proficuamente, il Bonaparte, che non con gli usuali mezzi diplomatici. Ebbe così inizio la lunga serie delle missioni ufficiali, uffìclose, confidenziali dell'A. a Parigi. Nel dicembre 1848 fu inviato nella capitale francese a porgere gli omaggi del re di, Sardegna al prm*cipe, eletto presidente della repubblica, e per guadagnare al Piemonte l'appoggio della Francia; anche dopo il colpo di stato del 2 dic. 1851, che l'A. non approvò, rimase in ottimi rapporti con l'imperatore.
All'indomani dei moti milanesi del 6 febbr. 1853, il governo austriaco, nel tentativo di fame risalire la responsabilità all'imperatore francese, accusò l'A. di aver fatto pervenire, per incarico di Napoleone III, denaro ai promotori della sedizione. Accusa indubbiamente infondata, avendo l'A. da tempo interrotti i rapporti col Mazzini e i suoi agenti; già nell'autunno del 1848, al Mazzini che richiedeva il suo appoggio alla Giunta d'insurrezione nazionale che si stava organizzando a Lugano, egli nemmeno aveva risposto. Nel'53 ebbe, insieme con gli altri profughi lombardi, confiscati dall'Austria i suoi beni e, sebbene restio a farlo essendo egli stesso colpito, cedé alle molte pressioni del governo subalpino e invitò Napoleone III ad intervenire per tutelare gli interessi degli esuli divenuti sudditi sardi.
Nel 1853 l'A. aveva rifiutato la candidatura per la Camera dei deputati offertagli dal Cavour; l'anno successivo fu chiamato a far parte del Senato, di cui fu vice-presidente nel 1863 e nel 1874. Nel 1856, durante il congresso di Parigi, facilitò l'azione diplomatica del conte di Cavour, mettendolo in diretto contatto con il dottor Enrico Conneau, medico di corte, suo vecchio amico ed intimo di Napoleone III. Nel maggio 1859 accolse in nome di Vittorio Emanuele II l'imperatore dei Francesi, che entrava in Italia alla testa dell'esercito alleato. Dopo Villafranca - sebbene sollecitato dallo stesso dimissionarío Cavour - ritenendo di poter essere più utile rimanendo libero da diretti impegni govemativi, declinò l'incarico offertogli dal re di formare il nuovo governo. Scrisse una nobilissima lettera a Napoleone III, rammentandogli la vecchia amicizia e le antiche promesse, per esprimergli francamente la propria amarezza ed esortarlo a non abbandonare l'Italia. L'imperatore lo invitò a raggiungerlo a St.-Cloud, dove, ai primi d'agosto del '59, l'A. ebbe con lui importanti colloqui, nei quali difese calorosamente, contro l'impostazione della diplomazia francese incline a una soluzione federalistica del problema italiano, la tesi unitaria. Alla fine dello stesso mese fu di nuovo presso Napoleone III, per concordare il tenore della risposta che Vittorio Emanuele II avrebbe dovuto dare ai deputati dell'Italia centrale, che recavano i voti delle popolazioni da loro rappresentate per l'annessione al suo regno. Il Cavour, ritornato al potere nel gennaio 1860, lo inviò a Parigi perché, impiegando presso l'imperatore tutta la sua influenza, affiancasse l'azione diplomatica del Nigra. La missione fu difficile, ma alla fine, anche per l'appoggio del Conneau, sortì esito positivo. Alla fine di giugno 1861, mentre la Francia riconosceva (25 giugno) il regno d'Italia, l'A. partiva da Torino in qualità di ambasciatore straordinario per notificare a Napoleone III l'assunzione da parte di Vittorio Emanuele II del titolo di re d'Italia. Egli aveva però dal presidente del Consiglio Ricasoli precise istruzioni per avanzare proposte di soluzione della questione romana, sia richiedendo l'appoggio francese nelle trattative dirette fra Torino e Roma, sia cercando di guadagnare il favore defl'imperatore per l'eventualità di soluzioni radicali in seguito ad un conclave, allora ritenuto prossimo per la malferma salute del papa. Nell'agosto dell'anno precedente l'A. aveva ottenuto dal Bonaparte il consenso all'invasione del territorio pontificio da parte delle truppe sarde, consenso che, del resto, Napoleone III, convinto dell'impossibilità di arrestare E moto italiano e timoroso di possibili sviluppi rivoluzionari dell'impresa garibaldina, aveva già espresso in precedenza al Farini e al Cialdini. Adesso però l'A. incontrava un rifiuto, motivato da cause politiche generali, al ritiro delle truppe francesi da Roma e consigli di attesa. Nella primavera del 1866 l'A. fu di nuovo a Parigi per predisporre favorevolmente Napoleone III all'alleanza italo-prussiana, e. fu l'ultima volta che trattò argomenti politici con lui.
Caduto l'impero, s'incaricò di sistemare gli interessi del Bonaparte in Italia e, per conto di lui, negoziò col governo italiano la vendita del Palatino in Roma. Nel 1871, poté riabbracciare l'amico~ nell'esilio di Chislehurst e, dopo la morte di lui, si mantenne in costante rapporto con l'imperatrice Eugenia, seguendo con affettuoso interesse lo sfortunato principe Napoleone Eugenio. Nel 1869 era stato insignito del Collare dell'Annunziata. Fu consigliere comunale di Firenze, ove si era stabilito dopo il trasferimento della capitale. Era decorato della Legion d'onore.
L'A. morì a Firenze il 25 maggio 1881.
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