TURATI, Francesco Antonio
TURATI, Francesco Antonio. – Nacque il 2 giugno 1802 a Busto Arsizio (Milano), da Antonio Ilario (1770-1828) e da Anna Maria Crespi (1776-1855).
Cresciuto in una famiglia di modesti mercanti-fabbricatori di cotone, sin dall’età di dodici anni entrò nella ditta del padre, recandosi con lui nei mercati di Magenta e Saronno per lo smercio dei propri manufatti. Ebbe così modo di affinare e dimostrare precocemente la sua straordinaria inclinazione per gli affari di commercio, ottenendo sin dall’inizio risultati rilevanti. Nel 1827, quando gli cedette l’attività, il padre riconobbe nell’atto notarile che il notevole aumento del suo patrimonio era dovuto alla «sollecita industria e grande attività» di Francesco.
Sposato con Angela Pigna (1801-1859), ebbe quattro figli: Giuseppina (1826-1899), Ercole (1829-1881), Erminia (1832-1909) ed Ernesto (1834-1918). Ereditata la ditta paterna, si associò nel primo quindicennio di attività ad Andrea Radice (che si ritirò dagli affari tra il 1839 e il 1842) e perseguì negli anni Trenta un piano articolato di coordinamento verticale dell’impresa. Comprese che l’espansione dell’industria cotoniera era solo ai suoi inizi e cercò di adattare lo sviluppo industriale alle esigenze della regione. Egli acquistava la materia prima da intermediari e riforniva gli stabilimenti industriali che, in una prima fase, furono eretti (o acquistati e poi ristrutturati) grazie alla collaborazione di vari membri della famiglia Krumm, specializzati nella direzione di impianti tessili. Diverse filature meccanizzate furono fondate o modernizzate grazie al credito commerciale o ai capitali forniti come socio accomandante da Turati che – tra gli anni Trenta e Quaranta – fu favorito dal dimezzamento del dazio sui cotoni greggi d’importazione e dalla caduta dei prezzi della materia prima nei mercati internazionali.
A man a mano prese forma una struttura più complessa e articolata che giunse a far lavorare con commesse periodiche quasi un terzo dell’industria regionale di filatura, vale a dire circa 30.000 fusi nel 1842. In quell’anno appartenevano alla sua rete gli opifici di Keller, Borroni e Crespi, Giovanni Galli, Giovanni Schoch, Eraldo e Andrea Krumm, Carlo Martin, Costanzo Cantoni. Entro pochi anni acquistò anche altre filature a Castellanza e Carate Brianza, che rifornivano in parte i propri telai che lavoravano il filato con il sistema del lavoro a domicilio e in parte altre ditte di tessitura. Mentre consolidava la tessitura, accresceva l’investimento e il rischio speculativo nell’acquisto di cotoni greggi e apriva magazzini e filiali in varie città del Lombardo-Veneto per la vendita delle proprie manifatture.
Questa espansione ricevette un nuovo grande impulso dopo il 1839-40, quando Turati si trasferì a Milano allo scopo di dirigere l’importazione diretta di materia prima dall’America, dove operava il proprio rappresentante L. Volontieri. Almeno un quarto del cotone greggio lavorato nelle filature meccanizzate in Lombardia era allora importato dalla sua ditta. L’altro grande importatore era l’impresa dei Ponti, che per diversi anni inviò in America Antonio Ponti, l’erede designato che nel 1852 sposò una figlia di Turati, Erminia.
L’impresa-rete commerciale-industriale di Turati seguiva una strategia articolata che si può riassumere nel modo seguente. Acquistava grosse partite di cotone sodo, le forniva in lavorazione alle fabbriche di cui era proprietario, socio o creditore e ad altre imprese dotate di un proprio circuito di vendita; con tutte stipulava degli accordi commerciali di fornitura esclusiva per un certo periodo. Turati consegnava alle fabbriche la materia prima e ritirava poi il filato, che entrava solo in parte nel proprio circuito produttivo (le tessiture a domicilio), mentre il resto veniva venduto a tessitori del Lombardo-Veneto. L’azienda occupava dunque una posizione di impresa guida che coordinava e controllava i flussi della materia prima e la produzione di filati esercitando, con il sistema del lavoro su commessa e con contratti di fornitura esclusiva, un indubbio condizionamento sulle scelte di molte imprese cotoniere. Nel contempo, l’imprenditore bustocco non esitò ad assicurare alle filature meccaniche i mezzi finanziari necessari per le innovazioni tecniche (sempre dietro solide garanzie ipotecarie), a patto che acquistassero da lui la materia prima fino all’estinzione del debito.
Gli accordi contrattuali con le filature meccaniche comportavano una convenienza reciproca: grazie alla posizione privilegiata nel mercato delle informazioni, nei periodi di espansione Turati ampliava le commesse e non era costretto, oltre un certo limite, a impegnare grossi capitali in immobilizzazioni e, se necessario, poteva ammortizzare per tempo le congiunture negative variando accordi e ordinativi; gli opifici di filatura, dal canto loro, lavorando ‘a fattura’ e assicurandosi la fornitura del cotone sodo a un prezzo determinato, trovavano un partner affidabile e un acquirente certo per il proprio prodotto.
Non meno duttile era l’organizzazione della sua rete di tessiture, fondata su 1000-1300 telai a domicilio che, oltre ad assicurare una flessibilità estrema, già nel 1839 erano in grado di produrre oltre duemila chilometri di tessuto all’anno. Dai suoi telai di Busto Arsizio uscirono per la prima volta il fustagno rasato, le coperte a uso di Sassonia, il dobletto alla jacquard, le stoffe per pantaloni a vari disegni, i gilet, distribuiti nelle piazze di vendita insieme a un’ampia varietà di altri articoli.
Questa complessa organizzazione, che copriva un ampio spazio economico regionale, disponeva di depositi e case filiali anche a Pavia, Bergamo, Brescia, Verona e Mantova. La rivendita delle manifatture fu affidata a collaboratori che erano incentivati attraverso la partecipazione agli utili. Questi uomini erano Giovanni Pigna, Giuseppe Lualdi, Antonio Radice, Benedetto Milani, Giovanni Tirinanzi, il nipote Luigi Turati. Essi accumularono somme rilevanti che lasciarono a disposizione della ditta dietro un interesse del 5%. A loro vanno aggiunti gli altri collaboratori come il nipote Ercole Lualdi, Cristoforo Benigno Crespi, Pietro Forni e altri. L’impresa di Turati, insomma, ebbe anche il ruolo di ‘incubatrice’, poiché contribuì alla prima formazione di personalità di spicco della classe imprenditoriale postunitaria.
Dopo il 1848, in un quadro politico ed economico contrassegnato da rapidi mutamenti e incertezza, l’imprenditore bustocco intraprese una ristrutturazione interna, creando una nuova ditta a Busto Arsizio, nella quale possedeva solo il 50% delle quote, mentre l’altra metà fu divisa tra i collaboratori (Pigna, Lualdi, Milani e Ambrogio Crespi). La ristrutturazione fu dettata da ragioni organizzative, ma rispondeva anche alla sua esigenza di occuparsi con maggiore libertà dell’importazione di cotoni sodi. Inoltre, Turati poté dedicarsi a un ampliamento dei suoi rapporti commerciali e finanziari, sia in direzione del Verbano (fino a controllare le filature dei fratelli Vanzina), sia verso oriente, con una partecipazione importante nella filatura di Montorio Veronese.
Nell’ultimo decennio preunitario l’apporto di capitale a diverse società divenne man mano più rilevante, superando i 4 milioni di lire. Oltre alle partecipazioni in diversi stabilimenti cotonieri, Turati fu socio del linificio di Antonio Trombini di Melegnano, della cartiera Maglia e Pigna di Vaprio e Anzano, delle società Badoni (siderurgia) e Boni (terrecotte) di Lecco, e Bordini di Milano (botanica e agraria). Figura di primo piano tra gli imprenditori milanesi, partecipò con investimenti cospicui anche a varie imprese che interessarono la comunità d’affari: lo ‘stabilimento agrario’ di Corte Palasio; il progetto di ferrovia tra Milano e Gallarate, promosso nel 1855 con Costanzo Cantoni; l’avvio, nel 1857, della Società Sessa per l’attivazione di un sistema di strade ferrate a cavalli; fu in prima fila nella cordata di imprenditori che ottenne una quota della nuova società concessionaria delle ferrovie del Lombardo-Veneto. L’iniziativa più interessante – che coinvolse i maggiori capitalisti lombardi, ma rimase incompiuta a causa dell’ostilità austriaca – fu quella della Banca di sconto e di emissione, in cui Turati ebbe un ruolo guida.
Fu inoltre socio della Società d’incoraggiamento d’arti e mestieri, consigliere comunale e della Camera di commercio di Milano. Nel 1862, quando ottenne il titolo di conte, dichiarò di essere socio principale e direttore di circa venti società commerciali che davano lavoro a oltre cinquemila persone e non mancò di evidenziare il notevole impegno finanziario in opere filantropiche. Come altri imprenditori dell’epoca s’interessò all’agricoltura, facendo dissodare e bonificare terreni in cui investì complessivamente oltre mezzo milione, come nel Cremasco, alla Ghisolfa (Milano) e nell’area della sua villa ad Alzate Brianza. Condivise infine con i figli la passione per la storia naturale, assecondando le loro iniziative nelle collezioni di volatili, coleotteri, minerali.
Nel 1863, mentre l’industria cotoniera attraversava una grave crisi a causa della cotton famine (la penuria di cotoni greggi provocata dalla guerra civile americana), Turati eresse a Busto un opificio accentrato di tessitura, ma due anni dopo decise di riordinare – stavolta in modo definitivo – i suoi affari guidati dalla sede di Busto Arsizio, trasferendo il 75% di tutte le attività a Eraldo Krumm e riservandosi solo una quota di capitale di accomandita del 25%. La nuova società assorbì anche le filiali di Brescia e Verona e proseguì nella politica di incentivazione dei collaboratori, mentre Turati continuò a operare, fino alla sua scomparsa, come importatore di materia prima.
Morì il 17 agosto 1873 ai bagni di Schinznach, in Svizzera.
La famiglia ereditò un cospicuo patrimonio, che nel ventennio postunitario figurava tra i primi, per entità, tra le denunce di successione milanesi.
I due figli – Ercole ed Ernesto, studiosi, naturalisti e collezionisti di una certa fama – non abbandonarono l’attività imprenditoriale, ma assunsero prevalentemente il ruolo di azionisti e investitori. Tra le proprietà industriali segnaliamo la filatura di Montorio, acquisita nel 1860, poi assorbita da una delle maggiori imprese cotoniere italiane del XX secolo, il cotonificio Francesco Turati, che Vittorio Olcese avrebbe costituito nel 1904 con i capitali degli eredi, il figlio Ernesto e i nipoti Emilio e Vittorio. Tra i lasciti, è notevole il palazzo di via Meravigli (cui si affiancò il secondo palazzo Turati, adiacente al primo, commissionato dai figli) che ospitava, oltre alla collezione ornitologica di Ercole (ventimila esemplari donati poi al Museo civico di storia naturale), anche una celebre raccolta di quadri di arte contemporanea.
Fonti e Bibl.: Le numerose fonti archivistiche, in particolare notarili, sono riportate in S.A. Conca Messina, Strategie d’impresa nella Lombardia ottocentesca. Il caso di Francesco Antonio Turati (1802-1873), in Archivio storico lombardo, CXXVII (2001), pp. 131-193, e in Ead., Cotone e imprese. Commerci, credito e tecnologie nell’età dei mercanti industriali. Valle Olona 1815-1860, Venezia 2004, ad indicem.
Filature di cotone in Lombardia. Notizie intorno all’attuale loro condizione nell’anno 1842, in L’Eco della borsa, 16 novembre 1842, p. 181; Il conte F. T., in Il Sole, 24 agosto 1873; S. Zaninelli, L’industria del cotone in Lombardia dalla fine del Settecento all’unificazione del paese, Torino 1967, ad ind.; R. Romano, La modernizzazione periferica. L’Alto Milanese e la formazione di una società industriale 1750-1914, Milano 1990, ad ind.; S. Licini, Guida ai patrimoni milanesi. Le dichiarazioni di successione ottocentesche, Soveria Mannelli 1999, p. 71; S.A. Conca Messina, Il progetto della banca di sconto e di emissione del Regno Lombardo-Veneto. Problemi, proposte e trattative (1853-1859), in Società e storia, 2007, n. 116, pp. 321-355; Ead., Cotton enterprises: networks and strategies. Lombardy in the industrial revolution 1815-1860, New York 2016, ad indicem.