SIMONINI, Francesco Antonio
– Nacque a Parma il 16 giugno 1686, secondo quanto attestato nel suo certificato di battesimo reso noto da Enrico Scarabelli Zunti nella seconda metà del secolo XIX. Lo storico parmigiano ci ha inoltre informato che il pittore sposò Giulia Pisani, dalla quale ebbe due figlie, Maria Caterina e Caterina Maria Maddalena, nate rispettivamente il 20 settembre 1714 e il 6 marzo 1718 (Zecchini, 2008, pp. 18 s.). Le notizie sull’artista contenute nei documenti contabili e nel copioso carteggio del nobile senese Muzio Piccolomini (Siena 1673-1761), conservati a Siena presso l’Archivio di Stato, consentono poi di correggere quanto pubblicato nel 1753 da Pietro Guarienti nella riedizione dell’Abecedario pittorico del padre Pellegrino Antonio Orlandi e di ampliare il profilo biografico del pittore (Zecchini, 2008, pp. 16 s.). Dopo un apprendistato presso Francesco Monti detto il Brescianino delle Battaglie (Brescia 1646 - Parma 1712) e Ilario Spolverini (Parma 1657 - Piacenza 1734), dai quali apprese il genere pittorico che caratterizzò la sua carriera artistica, Simonini svolse la sua attività a Parma almeno sino al 1718, anno di nascita della sua secondogenita. Poco dopo si trasferì a Bologna, dove certamente si trovava nel 1722, come documentano le descrizioni di quattro suoi disegni nell’inventario della collezione Gabburri di Firenze (Zecchini, 2008, p. 19).
Fu con ogni probabilità Sebastiano Mazzanti, corrispondente a Bologna di Muzio Piccolomini, a mettere in contatto il nobile senese con Simonini, che nel 1726 si recò a Siena per eseguire, secondo quanto annotato dallo stesso Piccolomini su di un foglietto, «li quattro quadri grandi di battaglie per la nostra sala di Siena» (ibid., pp. 16, 45 nota 3), uno dei quali è oggi conservato a Pienza nel Palazzo Piccolomini (p. 45 nota 4, figg. 4-5). Uno stretto legame s’instaurò subito tra il pittore e il nobile senese, che sino al 1761, anno della sua morte, sostenne l’attività del nostro e ne accompagnò i momenti di difficoltà. Ancora a Bologna Simonini si trovava il 28 dicembre 1729, quando scrisse a Muzio rammaricandosi di non essersi potuto recare a Siena e sperando di poterlo fare quanto prima (p. 20). Sappiamo invece da una lettera di Sebastiano Mazzanti del 21 luglio 1753 che nel 1731 si trasferì a Venezia per sfuggire ai creditori (ibid.).
Gli anni veneziani furono senza dubbio i più prodighi di soddisfazioni per il pittore sia sul piano professionale che economico. Nel 1733 entrò in contatto con il maresciallo Johann Matthias von der Schulenburg, nei cui registri di cassa e inventari conservati a Hannover compaiono diversi pagamenti effettuati tra il 1733 e il 1745 e sono elencate varie opere di Simonini (Zecchini, 2008, pp. 21-24). Tuttavia Schulenburg non è stato per lui il grande mecenate che il rinvenimento delle carte di Hannover ha fatto a lungo ritenere, anche se fu un suo importante committente e svolse un ruolo significativo nel percorso professionale dell’artista, avvalendosi della sua consulenza per l’acquisto di quadri di altri pittori e affidandogli, in collaborazione con Giovanni Battista Pittoni e Gaspare Diziani nel 1737 e con Giovanni Battista Piazzetta nel 1741, la redazione dei due principali inventari della sua collezione (p. 21).
Il 29 novembre 1738, vedovo di Giulia Pisani abbandonata a suo tempo a Parma con le due figlie (pp. 20 s.), Simonini convolò a seconde nozze con la trentenne Giustina Catta, dalla quale il 3 maggio 1739 ebbe una figlia, Maria Maddalena (Montecuccoli degli Erri, 2001, p. 191 nota 34). A Venezia conquistò una certa notorietà anche nelle decorazioni ad affresco: nella biografia edita nel 1753 Pietro Guarienti ricorda quelle eseguite nel 1744 in «una grande sala in casa Capello al ponte della Latte» (Abecedario pittorico, p. 201), oggi perdute, delle quali abbiamo memoria anche attraverso i disegni preparatori conservati a Venezia presso la Biblioteca del Museo Correr (Zecchini, 2008, p. 25, figg. 12-15); Giulio Lorenzetti nel 1926 ricordava la presenza di «paesaggi del Simonini» negli interni di palazzo Balbi (G. Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Milano 1926, pp. 600 s.); sino a noi sono invece giunti gli affreschi a monocromo, eseguiti nella prima metà degli anni Quaranta del Settecento, nella villa Pisani a Stra, sulle pareti delle quattro antisale di accesso al grande salone da ballo, con scene legate alla vita militare e due insolite raffigurazioni di vita in ambienti di villeggiatura (Zecchini, 2008, p. 25, figg. 16-17).
Nonostante i successi sul piano professionale, le difficoltà economiche che a suo tempo avevano costretto Simonini ad abbandonare Bologna lo obbligarono a fuggire anche da Venezia. Il 14 settembre 1748 Luca de Braù preannunciò a Muzio Piccolomini l’arrivo del pittore a Firenze per il precipitare della situazione e il timore di finire in carcere (p. 26). Fu lo stesso nobile senese ad accoglierlo nel palazzo che aveva in affitto in via Guicciardini e a dargli lavoro, come risulta dai suoi registri contabili (p. 27). Il 4 gennaio 1749 il corrispondente veneziano scrisse che Simonini lavorava per il marchese Andrea Gerini, uno dei personaggi in quel momento più influenti nel mondo artistico italiano, e grazie a lui il 12 gennaio il pittore venne ammesso nell’Accademia del disegno (p. 28). Ma Firenze non offriva molte opportunità di mercato, e, anche se in questo periodo l’artista raggiunse la piena maturità nella sua forma espressiva grazie alle esperienze veneziane e ai suggerimenti del marchese Gerini, fu Muzio Piccolomini a provvedere al suo sostentamento, commissionandogli diversi lavori per la sua villa di Fagnano, situata sui colli del Chianti senese. A partire dal mese di aprile 1750 Sebastiano Mazzanti e Luca de Braù iniziarono a parlare di varie richieste di dipinti da parte di diversi collezionisti veneziani. Tra questi il più ricorrente è il nome di Pietro Gradenigo (Venezia 1695-1776; Zecchini, 2008, p. 51 nota 98), per il quale sappiamo che Simonini in questo periodo realizzò varie opere: un grande ritratto a cavallo che forse possiamo identificare con il dipinto conservato in Austria presso il Landesmuseum Joanneum di Graz (pp. 28 s., fig. 19); altri due dipinti ricordati in modo generico da Luca de Braù il 13 marzo 1751; e «tre quadri istoriati della casa» menzionati il 15 gennaio 1752, ai quali potrebbero riferirsi tre disegni conservati a Venezia presso la Biblioteca del Museo Correr (pp. 30, 52 nota 111, figg. 20-21).
Ben più ampia di quanto si è sempre ritenuto fu la sua committenza a Venezia, sia nel periodo in cui vi visse che in seguito e, visto il successo delle sue opere nella città lagunare, l’artista pensò seriamente di farvi ritorno in questo frangente. Ma il timore di venire assalito dai vecchi creditori lo allontanò da tale proposito, e fu così che decise di restare a Firenze sotto la protezione di Muzio Piccolomini, rinunciando anche a una proposta di decorare a Venezia «una gran sala d’un palazzo fatto di nuovo» (Zecchini, 2008, p. 30). Per aiutarlo il nobile senese gli fece eseguire per la villa di Fagnano il ritratto di un suo antenato, il generale Ottavio Piccolomini, che partecipò alla guerra dei Trent’anni e alla presa di Praga nel 1620, dipinto che Luca de Braù alla fine di agosto 1752 affermò essere terminato (p. 31).
Sul finire di quell’anno Simonini iniziò ad accusare un incipiente problema alla vista, che si aggravò in seguito, portandolo progressivamente a liberare la sua forma espressiva dai vincoli del disegno e a esprimersi con pennellate sicure e veloci condotte con grande abilità tecnica. Nel 1754, considerando la difficile situazione economica del pittore, Muzio lo invitò a Fagnano per partecipare alla nuova decorazione della villa. Al suo arrivo nel mese di novembre l’artista ricevette in dono un paio di occhiali e in poco più di due mesi realizzò «quadri di battaglie, marce di soldati e altri pensieri di milizia in numero di nove», con grande soddisfazione del committente (Zecchini, 2008, pp. 33 s.). Da Venezia, nel frattempo, era giunta la richiesta di un altro quadro per Pietro Gradenigo, del quale Simonini, nel mese di agosto 1754, inviò il bozzetto e in poco tempo realizzò il dipinto, che venne considerato una delle sue opere più belle, e quando giunse a Venezia riscosse grande successo (p. 35). La sua situazione economica continuò tuttavia a peggiorare, e Muzio, sollecitato dai suoi corrispondenti di Venezia e Firenze e soprattutto da quello di Bologna, decise di far eseguire dal pittore una serie di quadri intitolati La vita del soldato e tratti dalle 18 incisioni di Jacques Callot dal titolo Les misères et les malheurs de la guerre, edite a Parigi nel 1633, delle quali Piccolomini possedeva una copia. Dalle note contabili sappiamo che Simonini giunse a Siena il 5 giugno 1756 e che per far procedere più velocemente il lavoro Muzio diede l’incarico di eseguire le architetture al pittore senese Francesco Marinari (pp. 37 s.). Quando il 20 ottobre Simonini tornò a Firenze aveva eseguito solo 14 dipinti della serie, che, dopo complesse vicende, completò finalmente nel 1759 con l’aggiunta di due battaglie, per un totale di 20 quadri destinati a decorare le pareti del palazzo di Siena. Di questi conosciamo solo sei dipinti, due di proprietà del Musée du Louvre, in deposito al Musée Historique Lorrain di Nancy, e altri quattro in collezioni private (pp. 37-43, figg. 24-30).
Nel frattempo, sul finire del 1757 Muzio Piccolomini rimase vedovo, e meno di un anno dopo convolò a nuove nozze, senza tralasciare di seguire con preoccupazione quanto gli veniva riferito a proposito di Simonini. In grande miseria, il pittore stava seriamente pensando di accettare la proposta di trasferirsi a Parma, e ricevere una pensione vitalizia, che gli aveva fatto il conte Jacopo Sanvitale (Parma 1699-1780), consigliere di don Filippo di Borbone, duca di Parma (Zecchini, 2008, pp. 36, 39, 43 s., 55 nota 168). Per trattenerlo, Muzio continuò a commissionargli opere e a provvedere alle sue più impellenti necessità sino a quando, il 14 ottobre 1761, la sua vicenda terrena si concluse e si interruppero anche le notizie sul pittore che il suo epistolario ci ha tramandato.
Simonini coronò comunque il sogno di far ritorno nella città natale, secondo quanto contenuto in due note manoscritte conservate a Parma, nelle quali si legge che «Francesco Simonini paesista e battaglista eccellente [...] morì in casa dei conti San Vitali nel 1766» e venne sepolto in quella città nella chiesa di S. Giovanni Evangelista (Zecchini, 2008, p. 58 nota 224).
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Francesco Maria Niccolò Gabburri, Catalogo di disegni, stampe e libri di arti belle, raccolti da esso fino l’anno 1722, Palatino, 558, nn. 93-94, 130-133, 134-135; Hannover, Niedersächsisches Hauptstaatsarchiv, Dep. 82, Abt. III; Parma, Biblioteca della Soprintendenza di Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, Enrico Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di belle arti parmigiane, 106 [seconda metà del XIX secolo], cc. 263r-264r; Archivio di Stato di Parma, Epistolario scelto, b. 23, Note su pittori e vari dipinti, lettera S e foglio sciolto; Archivio di Stato di Siena, Fondo Piccolomini Nardi Baldini.
Abecedario pittorico del M. R. P. Pellegrino Antonio Orlandi bolognese, contenente le notizie de’ professori di pittura scoltura ed architettura, in questa edizione corretto e notabilmente di nuove notizie accresciuto da Pietro Guarienti..., Venezia 1753, pp. 200 s.; F. Montecuccoli degli Erri, Venezia 1745-1750. Case (e botteghe) di pittori, mercanti di quadri, incisori, scultori, architetti, stampatori e altri personaggi veneziani, in Ateneo Veneto, CLXXXV (1999), pp. 63-140; Id., Novità su alcuni pittori immigrati a Venezia nel Settecento e sui loro contatti professionali (Battaglioli, Joli, Zompini, Simonini, Zuccarelli e altri), in Arte Veneta, LV (2001), pp. 183-192; M. Zecchini, La vita di F.A. S. nelle carte di Muzio Piccolomini, in Paragone. Arte, LIX (2008), 699 (s. 3, 79) pp. 15-58, figg. 4-31.