MONDELLI, Francesco Antonio
– Nacque a Roma il 6 febbr. 1756 da Sebastiano e da Costanza Lanti (Hierarchia catholica, p. 362).
La tradizione agiografica (Baraldi, p. 549) gli attribuisce una precoce attitudine missionaria, che si sarebbe concretata nell’insegnamento della dottrina cristiana ai contadini dell’Agro Romano. Certo è che entrò presto nel Collegio Romano, retto dalla Compagnia di Gesù, dove seguì tutta la trafila formativa: umane lettere, filosofia, teologia e diritto civile e canonico. Soppressa nel 1773 la Compagnia, il M. passò sotto la guida del canonista G. Devoti, col quale si laureò in utroque iure.
Il 14 apr. 1781 fu ordinato sacerdote e si applicò alla predicazione e alla direzione delle anime: in particolare, oltre ad amministrare il sacramento della penitenza nella chiesa di S. Ignazio, tenne per vari anni nella chiesa del Gesù le prediche «della buona morte» e lezioni di Sacra Scrittura. Da tale attività nacque la sua prima pubblicazione, la Decade di ecclesiastiche dissertazioni dedicate ai gloriosissimi principi degli apostoli Pietro e Paolo (Roma 1786).
Affrontando vari temi di storia ecclesiastica, il M. mostrò di seguire le teorie care alla Compagnia. In particolare, nella seconda dissertazione (pp. 30-54), intitolata Della forza che ha avuto, fin dagli antichi tempi, il dissenso del papa per annullare gli atti de’ Concilij ancor generali, sostenne con tale vigore la tesi del potere assoluto del papa sulla Chiesa e la sua superiorità sulle decisioni dei concili ecumenici da incontrare le critiche del Giornale ecclesiastico di Roma (II, 1786-87, p. 85), nella cui redazione prevalevano ancora le posizioni moderate di L. Cuccagni, C. Biagi e Giuseppe Fontana, fautori di una dottrina dei poteri più equilibrata tra i vescovi e il papa. Il M. rispose ai rilievi mossigli con una lettera pubblicata nello stesso Giornale (ibid., p. 101), in cui in parte mitigava le sue affermazioni.
Sempre legato ai gruppi di ex gesuiti che vivevano nella casa del Gesù, il M. ne continuò l’opera anche a S. Ignazio, dove divenne prefetto della congregazione dei Nobili; fu anche deputato all’Opera della dottrina cristiana nella chiesa di S. Maria del Pianto, teologo dell’Inquisizione e della Dataria apostolica. Intanto si segnalava sempre più per le sue qualità di canonista, con l’opuscolo Della legittima disciplina da osservarsi nella pronunzia del canone della messa, dissertazione tratta dal mandamento del 1737 di M. Languet arcivescovo di Sens contro il messale di Troyes e corredata di note…, Roma 1787, in cui mostrava anche una non comune vis polemica. Conquistò così la stima del rettore della casa del Gesù, G. Marchetti, e dell’ex gesuita G.V. Bolgeni (proprio in quell’anno richiamato a Roma da Macerata da Pio VI), che lo incoraggiarono a continuare l’attività apologetica.
L’anno successivo il M. pubblicò, con il falso luogo di stampa di Aletopoli, la traduzione dell'opera Colpo d'occhio sul congresso di Ems, traduzione dal francese arricchito di note e di un'appendice di monumenti, dell'ex gesuita F.X. Feller.
Nelle annotazioni, e più ancora nell'ampia prefazione, il M. si valse di altri opuscoli composti da Feller l'anno precedente, soprattutto del Véritable état du différent élevé entre le Nonce apostolique résident à Cologne et les trois Electeurs ecclésiastiques au sujet d'une lettre circulaire adressée aux curés de leurs diocèses. Ricostruiti gli antefatti, prendeva in esame i deliberati e analizzava le conseguenze del congresso dell'agosto 1786, promosso dall'arcivescovo di Magonza Friedrich von Erthal in accordo con gli arcivescovi di Colonia, Treviri e Salisburgo, per rivendicare una maggiore autonomia da Roma. Obiettivo del M. era quello di presentare l'avvenimento come un atto del tutto isolato, operato da pochi irresponsabili che non comprendevano come l'attribuzione ai vescovi di un'illimitata potestà giurisdizionale avrebbe condotto a «un aperto scisma» e diviso la Chiesa «in tanti pezzi, quante sono le diocesi». A tal fine poneva in evidenza il disaccordo esistente nelle file dell'episcopato, la netta opposizione dei vescovi di Paderborn, Hildesheim, Spira, Würzburg, Ratisbona, Liegi e Fulda (ma ciò era vero soltanto per i vescovi di Spira e Liegi), l'atteggiamento incerto degli arcivescovi elettori di Magonza e di Treviri, la presa di posizione in favore di Roma dell'elettore di Baviera e del re di Prussia. Addossava quindi la maggior parte della responsabilità all'arcivescovo elettore di Colonia, Massimiliano Francesco, di cui criticava aspramente la lettera pastorale del 4 febbr. 1787 che reclamava la totale indipendenza dei diritti vescovili da Roma.
Nel 1789 il M. pubblicò, sempre a Roma, un centone di vari opuscoli, Specchio istorico da servire di preservativo contro gli errori correnti tratto da alcuni opuscoli francesi, e corredato di opportune annotazioni, che comprendeva due parti: I, Geografia del giansenismo (pp. 1-134); II, Lettera di madama la marchesa di Rochefort a madama la contessa di Molle, l’una e l’altra fiamminga, nella quale le dimostra i motivi della sua sommissione alla costituzione Unigenitus, e la esorta a sottomettervisi ancor essa, tradotta dal fiammingo in francese, e stampata in Parigi nel 1719 (pp. 135-210).
Quest'opera è stata attribuita a Bolgeni, sulla base dell'elenco delle opere di questo pubblicato in Sommervogel (indicazione fatta propria anche da R. De Felice, in Diz. biografico degli Italiani, XI, p. 275). In realtà il libello era nato nelle stanze della casa del Gesù, nei mesi in cui in Francia si svolgeva il primo atto della Rivoluzione: come indicano i più informati Cernitori (pp. 102 s.) e Baraldi (pp. 552 s. e 574), estensore ne era il M., verosimilmente sotto la supervisione di Bolgeni e Marchetti. L'opuscolo accreditava la leggenda della congiura di Bourg Fontaine, organizzata dai filosofi atei e dai giansenisti per distruggere la Chiesa cattolica, uno dei topoi della pubblicistica filogesuitica. Il M., oltre a sostenere alcune tesi tipiche della Compagnia in tema di morale, come quella che riteneva sufficiente l'attrizione per ottenere l'assoluzione nel sacramento della penitenza, affrontava il problema socio-politico della necessità della religione per la sussistenza di qualsiasi governo («fondamento di ogni umana, e regolata società», p. 138); la «pianta maledetta del giansenismo», concludeva, ha tolto «di mezzo quasi del tutto nel suo esercizio la divina autorità de' pastori della Chiesa» e di conseguenza «si è veduto impetuosamente sboccare il torrente delle umane passioni a rovesciare anche la potestà del secolar principato» (pp. 139 s.).
L'attività pubblicistica del M. continuò con il Discorso etico-morale su i doveri dell'uomo verso Dio (Roma 1790), che verteva sul tema del culto esterno dovuto a Dio e alla religione: in realtà era un pretesto per giustificare l'esistenza delle decime proprio mentre in Francia l'Assemblea nazionale discuteva dell'alienazione dei beni del clero. Seguì la Seconda decade di ecclesiastiche dissertazioni (I-II, ibid.1791-92). All'avvicinarsi delle armate francesi ai confini dello Stato della Chiesa, il M. partecipò alla campagna pubblicistica controrivoluzionaria con la Vera idea del cittadino felice: opuscolo sacro-politico del sacerdote romano Francesc'Antonio Mondelli (ibid.1796), in cui riprendeva la tesi della necessità della religione cattolica per ottenere una società bene ordinata.
Rimasta vacante la diocesi di Acquapendente, Pio VI lo designò amministratore apostolico, ma il M. ricusò la nomina e rimase a Roma continuando la predicazione nella chiesa del Gesù. Al tempo della Repubblica Romana (1798-99) fu privato di ogni rendita, tanto da essere costretto a vendere la sua ricca collezione di libri, ma non subì persecuzioni. Pubblicò anche La religione maestra della felicità nell'uomo, opuscolo sacro-politico… (ibid. 1800), seconda edizione della Vera idea del cittadino felice.
Con la prima restaurazione fu nominato teologo della Dataria apostolica ed entrò nell'Accademia di religione cattolica, inaugurata ufficialmente il 5 febbr. 1801 presso l'Accademia teologica della Sapienza. Il M. fu uno dei direttori delle adunanze settimanali, in cui si tenevano conferenze riguardanti in modo omogeneo temi di carattere filosofico e teologico, con l'ambizione piuttosto velleitaria di formare una raccolta di testi apologetici di alto livello culturale che, con il trascorrere degli anni, avrebbe costituito una completa contro-Enciclopedia.
Nominato canonico di S. Maria in via Lata, il 23 sett. 1805 fu eletto da Pio VII vescovo di Terracina, Sezze e Priverno e ricevette la consacrazione il 29 settembre dal cardinale G.M. della Somaglia. Entrò in diocesi (15.000 abitanti, 14 parrocchie) facendosi precedere dall'Epistola pastoralis ad clerum, populumque universum dioecesium suarum (Romae s.d. [ma 1805]). Di fronte a una situazione di profondo degrado morale ed economico si adoperò soprattutto alla riforma dei costumi del clero e alla formazione femminile, diffondendo gli istituti delle Maestre Pie Venerini, aprendo un orfanotrofio ed erigendo un monte frumentario per prestare ai contadini più poveri il grano e l'orzo per la semina.
Nel 1809, dopo l'annessione del Lazio alla Francia, il M. rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà al nuovo governo. Perciò, come altri vescovi, fu deportato e confinato per alcuni mesi a Chambéry, in Savoia; quindi fu condotto in Francia, a Trévou.
Rientrato in Italia nella primavera del 1814, fu trasferito il 26 settembre alla diocesi di Città di Castello, in cui fece il suo ingresso il 4 novembre (Francisci Antonii Mondelli… episcopi Tifernatis… Epistola pastoralis ad clerum et populum dioecesis suae, Romae s.d. [ma 1814]). La nuova diocesi contava oltre cento parrocchie (dieci soltanto nel capoluogo) sparse su un ampio territorio prevalentemente montuoso e con scarse comunicazioni; il pauperismo era tanto diffuso da interessare oltre il 20% della popolazione. Il M. vi trovò un clero sbandato, che nella maggioranza (i due terzi dei sacerdoti e la totalità dei canonici della cattedrale) si era piegato ai Francesi occupanti prestando giuramento di fedeltà. Sua prima preoccupazione fu quindi la riforma del clero. Nel 1815 tenne un corso di esercizi spirituali e organizzò incontri periodici con i sacerdoti. Nello stesso anno stabilì le regole per il seminario (Stabilimenti e regole per il seminario di Città di Castello, Città di Castello 1815). Provvide quindi a ripristinare cinque conventi di regolari e sei di monache, parte di quelli che erano stati soppressi nel 1809. Per combattere il laicismo presente soprattutto nel ceto borghese, il M., facendo affidamento sulle proprie doti di valente predicatore, prese a «riformare il suo gregge col mezzo della divina parola» (Baraldi, p. 566), conducendo egli stesso imponenti missioni. Presto avvertì l’esigenza di avere un'oggettiva conoscenza della situazione religiosa di tutta la diocesi, non solo del capoluogo.
Lo strumento idoneo per questo scopo era la visita pastorale (nei nove anni del suo episcopato ne compì tre): iniziò la prima il 26 nov. 1814, tre settimane dopo l'ingresso in diocesi. Fu un'impresa, durata tre anni e affrontata con enorme disagio, considerati l'estensione e l'orografia della diocesi, lo stato della viabilità e dei mezzi di trasporto e le condizioni ambientali (quattro parrocchie erano in territorio del Granducato di Toscana). La constatazione delle condizioni di estrema indigenza degli abitanti delle montagne, costretti a cibarsi di ghiande e fieno cotto, lo indusse a informare la S. Congregazione del Buon Governo, perorando per essi l'esenzione dalla tassa sul macinato e altre misure di favore.
Al termine, nel 1818, celebrò il sinodo (Synodus diocesana quam… Franciscus Antonius Mondelli... in Ecclesia cathedrali Tifernatensi coëgit diebus 7, 8 et 9 aprilis anni 1818, Tiferni s.d. [ma 1818]), per richiamare i parroci al dovere primario dell’istruzione religiosa, che negli anni andò assumendo nella diocesi forme sempre più sistematiche divenendo una vera e propria scuola di dottrina cristiana, per la cui organizzazione impartì regole precise (Regolamento per la scuola di dottrina cristiana, Città di Castello 1823).
La maggiore realizzazione del suo episcopato fu la promozione di un'istituzione dedita all'istruzione ed educazione «civile e cristiana» delle fanciulle di ogni ceto e condizione sociale. Allo scopo il M. ottenne da Pio VII di poter adibire il convento dei padri agostiniani di Lombardia – che, espulsi sotto il governo napoleonico, non avevano fatto ritorno a Città di Castello – a sede di una comunità religiosa per l'educazione delle fanciulle. Con rescritto del 15 dic. 1815 il papa accolse la richiesta; la gestione dell'istituto fu affidata a quattro suore dell’Ordine della Visitazione dell’Istituto fiorentino del Bambin Gesù. Per adattare il vecchio fabbricato e per la dotazione iniziale del nuovo istituto fu necessario un impegno finanziario ingente cui il M. fece fronte con un capitale di 30.000 scudi: si trattava di tutto il suo patrimonio, per cui egli fu poi nell'impossibilità di realizzare un analogo istituto per ragazzi. Per l'educazione di questi promosse l'oratorio di S. Filippo Neri, un centro aperto tutti i pomeriggi, dove manteneva e istruiva a sue spese un gruppo di ragazzi poveri.
Il M. morì a Città di Castello il 2 marzo 1825.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Concilio, a. 1818 (relazione ad limina); recensioni delle opere del M. in Giornale ecclesiastico di Roma, III (1787-88), pp. 119 s.; V (1790), pp. 85-87, 137 s.; VI (1791), pp. 121 s.; VII (1792), p. 78; G. Cernitori, Biblioteca polemica, Roma 1793, pp. 100-103; G. Baraldi, Notizia biogr. su monsignor F.A. M. vescovo di Città di Castello, in Memorie di religione, di morale e di letteratura, IX, Modena 1826, pp. 549-576; G. Pignatelli, Aspetti della propaganda cattolica a Roma da Pio VI a Leone XII, Roma 1974, ad ind.; C. Vaiani, F.A. M. (1755/1825): un contemporaneo, Città di Castello 1992 (opuscolo celebrativo della fondazione dell’istituto delle suore salesiane, di scarso interesse storiografico); Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, VII, Patavii 1958, pp.152, 362.