FRASCELLA, Francesco Antonio
Nacque a San Fele, nella zona montana del Vulture, probabilmente nei primi anni del sec. XVII. Non è noto il nome del padre; quello della madre, Rosa, risulta da una richiesta di aiuti economici in suo favore inoltrata dal F. alla congregazione di Propaganda Fide nel 1637, prima di partire per l'Oriente.
Intorno al 1620 il F. entrò tra i francescani conventuali nella provincia pugliese di S. Nicolò. Terminati gli studi e ordinato sacerdote nel 1627, venne mandato nel collegio di S. Bonaventura in Roma, dove nel 1630 ottenne il dottorato in teologia. Il 30 maggio 1630, insieme con il confratello A. Petricca da Sonnino, ottenne da Propaganda Fide di essere inviato a Costantinopoli, dove l'Ordine francescano dal 1220 amministrava una fiorente missione.
I due arrivarono a destinazione il 4 sett. 1631 e si diedero a studiare la lingua turca. Pur essendo maestri, non vollero godere dei privilegi loro accordati dalle costituzioni dell'Ordine, rinunziando agli speciali sussidi previsti. Si erano impegnati a non separarsi, sia per aiutarsi spiritualmente sia perché, cadendo l'uno in schiavitù, l'altro lo potesse riscattare.
Nel 1632 il F. e il Petricca vennero inviati missionari in Valacchia. Giunti a Bucarest, ottennero dal voivoda il permesso di costruire un piccolo convento nella stessa capitale, donde si proponevano non solo di assistere spiritualmente i pochi cattolici, ma di convertire la popolazione. A questo scopo presero contatto con la nobiltà e la gerarchia ortodossa, intavolando dispute circa i punti controversi tra le rispettive confessioni. Il progetto peraltro ebbe vita breve: già verso il mese di settembre del 1632 l'instabilità della situazione politica li costrinse a trasferirsi nella vicina Moldavia, dove rimasero solo pochi mesi.
Nella primavera del 1633 i due missionari tornarono a Costantinopoli per esporre i risultati del loro operato e chiedere di essere inviati in Transilvania o in Ungheria, dove speravano di trovare un campo di apostolato più fecondo. Una loro relazione alla congregazione di Propaganda, in cui illustravano le prospettive di lavoro missionario nei paesi da loro visitati, fu letta il 21 nov. 1634 davanti al papa. In seguito a ciò vennero loro assegnate dal ministro generale dell'Ordine nuove province, che essi avrebbero dovuto evangelizzare insieme con altri dieci missionari. Il 17 apr. 1634 il Petricca fu nominato ministro provinciale di Ungheria; il 20 genn. 1635 il F. divenne provinciale di Transilvania, visitatore e commissario generale per le province ultramontane.
In quegli anni Propaganda Fide si stava occupando attivamente della cristianità giapponese, travagliata dalla persecuzione, nell'intento di crearvi una gerarchia e di istituire un seminario per la formazione del clero indigeno. Agli sforzi di Propaganda i portoghesi opponevano il loro patronato con l'intento di estendere la loro influenza anche sul Giappone. Morto improvvisamente il domenicano A. delle Piaghe, designato amministratore apostolico della cristianità giapponese, al suo posto fu scelto il F., interpellato attraverso il nunzio in Germania, competente per territorio.
Il 14 nov. 1637 il papa lo promosse alla sede arcivescovile di Mira e nel concistoro del 16 novembre lo nominò amministratore apostolico del Giappone.
Il 26 genn. 1638 si trovava a Napoli, dove gli vennero spediti i brevi e le patenti. Più tardi si imbarcò da Messina per Corfù e Zante. Il 25 settembre si trovava a Candia. Rimasto senza denaro, tornò a Messina. Imbarcatosi per Malta, dopo un'inutile attesa di mezzi per proseguire il viaggio verso Oriente, dovette tornare a Napoli, dove giunse il 9 apr. 1639. Da qui scrisse a Propaganda, chiedendo un compagno di viaggio che conoscesse l'arabo e il turco. Finalmente il 10 ott. 1639, accompagnato da un gruppo di teatini, partì da Livorno e sbarcò ad Alessandretta il 25 dicembre. Proseguì il viaggio attraverso Babilonia, Maskat e Cormoran, per giungere a Goa il 24 ott. 1640.
La prospettiva di continuare il viaggio fino a destinazione si rivelò subito illusoria. In Giappone erano stati emanati severi provvedimenti che vietavano i contatti tra giapponesi ed europei. La sollevazione di Shimabara del 1637 aveva reso ancor più precaria la situazione dei cattolici e provocato forti restrizioni nei traffici con gli occidentali. Il F. dovette quindi restare a Goa e prese alloggio nel convento dei francescani. Inoltre, pur essendosi guadagnata la benevolenza delle autorità religiose e civili portoghesi, si rese conto che non gli sarebbe stato mai permesso di recarsi in Giappone. Poiché la sede vescovile di Macao era vacante, il F. propose alla congregazione di Propaganda e al re di Portogallo la propria candidatura; non avendo ottenuto risposta, chiese a Propaganda Fide di essere impiegato come collettore o vicecollettore di Goa. Nel 1643, vista inutile l'attesa, sollecitò presso la stessa congregazione il permesso di rientrare in Italia.
Nel frattempo il F. non rimase inattivo: battezzò nella fede cattolica il re Vagiapala di Mattalé nell'isola di Ceylon e i suoi due figli, e nel 1644 spedì per la via delle Filippine una lettera pastorale ai cristiani giapponesi, consegnandola al francescano Cristoforo della Maddalena, che con un compagno intendeva recarsi in Giappone. Lo stesso anno ricevette ordine dalle autorità portoghesi di lasciare Goa e ritornare in Italia, cosa che rifiutò, adducendo gli ordini ricevuti da Roma che gli ingiungevano di restare al suo posto anche a costo della libertà.
Nel 1647 giunsero nuovi ordini da Roma: vista la difficile situazione delle missioni in Cina, dove si agitava tra gli ordini religiosi la controversia circa i riti, il F. venne designato da Propaganda amministratore di quelle missioni. Il documento di nomina, in data 9 maggio 1646, confermava tutte le facoltà già concesse al F. per il Giappone, con l'intenzione di avvicinarlo alla sua primitiva destinazione. Tuttavia, data la difficile situazione cinese, il F. decise di attendere a Goa e in un secondo momento chiese di tornare in Italia, ricevendo però il diniego di Propaganda. Nel 1649 l'autorizzazione a recarsi in Cina gli fu definitivamente negata dal viceré delle Indie, che gli ingiunse di partire per Lisbona.
Nella primavera del 1653 intraprese il viaggio di ritorno in Europa. Sbarcato a Lisbona, attraversò la Spagna e si diresse verso Parigi, ove nello stesso 1653 morì per cause sconosciute.
Fonti e Bibl.: A. Launay, Documents historiques relatifs à la Société des missions étrangères, I, Paris 1904, pp. 145 s., 506; C.Ch. de Nazareth, Mitras Lusitanas no Oriente…, II, Lisboa 1913, p. 304; Ph. Ghesquière, Mathieu de Castro. Premier vicaire apostolique aux Indes. Une création de la Propagande à ses débuts, Louvain 1937, pp. 63-68, 77 s., 88-92, 130 s., 133-138, 140 s.; L.M. Pedot, La S.C. de Propaganda Fide e le missioni del Giappone (1622-1838), Vicenza 1946, pp. 216-230, 308 s., 313; B. Morariu, Il p.m. F.A. F.…, in Miscell. francescana, L (1950), pp. 498-514; A. Meersman, A few notes concerning archbishop F.A. F. O.f.m. conv. in Goa (1640-1653), ibid. LIX (1959), pp. 346-351; P. Gauchat, Hierarchia catholica…, IV, Monasterii 1935, p. 251.