FRANZONI, Francesco Antonio
Figlio di Pietro Ottavio, nacque a Carrara il 23 genn. 1734. Si formò presumibilmente presso le maestranze locali, acquistando quell'abilità nella lavorazione e nella sperimentazione di ogni tipo di materiale lapideo che lo rese famoso.
Dal 1758 è documentato a Roma, in una locanda di via della Purificazione, con uno scultore conterraneo, Michele Baratti. Nel 1765 lo raggiunse il fratello Giuseppe, all'epoca adolescente, cui si aggiunse, per il solo biennio 1767-68, l'incisore Antonio Valli. Il 10 apr. 1768 sposò Bernardina Torraca, vedova Bersanti, e si stabilì definitivamente con lei e con la figliastra in via della Purificazione. Alla fine degli anni Sessanta, insieme con G.A. Grandjacquet e Lorenzo Cardelli, restaurò la raccolta di antichità di Giovanni Battista Piranesi, lavoro che lasciò su di lui una profonda traccia.
Dal 25 sett. 1769 al 20 genn. 1774 ricevette pagamenti per la decorazione e la relativa fornitura di marmi per la chiesa di S. Caterina dei Senesi, rinnovata dall'architetto Paolo Posi.
Eseguì lo scudo araldico, posto al di sopra della porta d'ingresso, il piede cuspidale e i quattro vasi fiammati in cima al prospetto, le acquasantiere e le due teste di cherubini sottostanti ai mensoloni laterali dell'altare. La lavorazione pastosa e la composizione ricercata delle acquasantiere denotano un gusto quasi rocaille, meno accentuato nei putti e nei vasi della facciata.
Per lo stesso architetto nel 1772 realizzò l'aquila, lo scoglio, il leone e il vaso fumigante del Monumento a Flaminia Odescalchi Chigi in S. Maria del Popolo (Minor, 1982).
Le sculture, pagate 1447 scudi e 80 baiocchi, furono realizzate secondo una resa naturalistica, peraltro intonata con la struttura compositiva tardobarocca del sepolcro, che il Posi evidenzia nel pagamento finale quando scrive che il F., oltre a eseguire il modelletto in cera e modelli in creta di maggiori proporzioni, era stato soprattutto impegnato a "fare i studi presso il vero dell'Aquila, e Leone con dispendio, e perdimento di tempo" (Paardekooper, 1996-97, p. 305).
In questo periodo il F. risulta presente nel Museo Pio-Clementino, prima sotto Clemente XIV, per il quale eseguì "l'arme" (1772) nella galleria delle Statue e il restauro della Capra Amaltea (1773), poi con Pio VI che, divenuto il suo maggior protettore, lo impiegherà per tutta la vita come intagliatore, restauratore e fornitore di marmi e di antichità nell'ampliamento delle sale e della collezione vaticana. In quasi tutti gli ambienti, dalla galleria delle Statue a quella dei Candelabri, dalla sala delle Muse a quella della Biga, troviamo infatti una qualche traccia del Franzoni. Ma a dargli la celebrità fu la sala degli Animali, con le sue originali e talora bizzarre figure zoomorfe (Anatra dentro la conchiglia, Cicogna con il serpente, Testa di capra con mano di putto), spesso di sua proprietà, che furono in parte restaurate e in parte da lui lavorate con materiali rari (per esempio l'Aragosta di granito verde) insieme con alcuni piedistalli marmorei con lo stemma dei Braschi (basi del gruppo con Dioniso e satiro, 1776, ora del Meleagro di Scopa).
Il F. integrò i pezzi antichi con più rigore filologico rispetto al passato, ma sempre in modo che non si riconoscesse il moderno dall'antico, badando di dare un aspetto particolare, per esempio all'espressione dell'animale, e talora mimetizzando i gigli dello stemma dei Braschi sul marmoreo tappeto erboso che fa da zoccolo al gruppo scultoreo (Cervo atterrato dai cani).
Esistono, inoltre, sue creazioni di grande pregio, in particolare i due tavoli di verde antico (sala degli Animali, già nella sala dei Busti), sostenuti da quattro montoni alati che si intrecciano con estro piranesiano agli emblemi dei Braschi (1791); i troni con attributi di Cerere e Bacco (oggi al Louvre di Parigi), ricavati da due antiche sedie provenienti dalla collezione Piranesi (1779), formati da due sfingi e da due chimere (1792); la biga dell'omonima sala vaticana, ottenuta dal seggio della chiesa di S. Marco, già nel Museo nel 1771, e da un cavallo offerto al papa dal principe Borghese e unito a un altro di sua produzione (1787-89). Il successo che queste opere riscossero - si ricordi come Stendhal ancora nel primo Ottocento fosse rimasto colpito dal "bel tavolo di un magnifico verde antico" (Passeggiate romane, Roma 1964, p. 142) - indussero il F. a replicare alcune realizzazioni. Si segnala il Tavolo con pilastri scolpiti in forma di arieti alati (Malibù, Getty Museum), collegati da festoni di alloro e poggianti su plinti che sorreggono una spessa lastra in breccia medicea. Gli arredi vaticani del F. ispirarono le realizzazioni di mobili Impero francesi e inglesi degli architetti C. Percier, P. Fontaine, C. Heathcote Tatham (González-Palacios, 1994).
Contemporaneamente il F. partecipò alla decorazione della sagrestia di S. Pietro, eretta tra il 1776 e il 1784, eseguendo le "armi" dei Braschi all'esterno dell'edificio e nell'ingresso principale, sopra la statua di Pio VI, dove appunto si trova, sorretto da due leoni, lo stemma della famiglia.
La sua bottega era alquanto nota. Il 12 apr. 1780 vi giunse in visita il giovane A. Canova che apprezzò l'esecuzione, allora in corso, dei grandi capitelli per la sala rotonda del Museo Pio-Clementino e osservò i numerosi modelli e le copie disposte al secondo piano. All'inizio degli anni Ottanta il F. creò un sodalizio d'arte e d'affari con lo scultore V. Pacetti che in precedenza l'aveva contattato (1776, 1779, 1782) solo come fornitore di marmo di Carrara. Nel 1784, mentre il Pacetti era impegnato a ritoccare il ritratto marmoreo di Pio VI, eseguito da Giuseppe Angelini su commissione del marchese Locatelli di Spoleto in ricordo del passaggio del pontefice in quella città, il F. intagliò per 80 scudi e 20 baiocchi la cornice con il motivo del guscio d'uovo, che costituisce la sua prima opera di gusto neoclassico, fors'anche su una precisa indicazione del committente e - oppure - dell'amico.
Nello stesso periodo realizzò l'Aquila, oggi unico pezzo rimasto (giardino dell'École des beaux-arts) del monumento funebre dei coniugi Louis Boullenois e Charlotte Dubois, ideato dallo scultore François-Marie Poncet per la chiesa parigina di Nôtre-Dame-du-Mont-Carmel. Il F. scolpì il rapace - che secondo le incisioni dell'epoca dominava il sepolcro a forma di piramide - con una forte resa naturalistica, cogliendo un momento indefinibile tra l'inizio o il rientro dal volo (O. Michel, in Lyon et l'Italie, Paris 1984, p. 147).
Nel maggio 1785 vennero messe in opera le sue due acquasantiere ai lati dell'ingresso principale della sagrestia di S. Pietro. Rispetto a quelle di S. Caterina dei Senesi, esse presentano una composizione più articolata e complessa anche sotto il profilo simbolico, unendo i motivi dell'emblema dei Braschi con quelli tradizionali della conchiglia, delle palme e dei delfini guizzanti, simboli di pace e di purezza; mentre la lavorazione tradisce ancora la formazione tardobarocca.
Intanto aumentavano le "società" di restauro con il Pacetti. Tra la primavera-estate del 1785 e l'autunno 1786 il F. gli affidò il ripristino integrativo di alcune statue di sua proprietà, riservando a sé l'intervento sulle figure zoomorfe, come il Mercurio sedente sull'ariete, il Ganimede rapito, il Giove in forma di Diana, la Figura nuda a cavallo con corona in testa (che per le aggiunte è divenuta un vero pastiche), ricevendo a sua volta una Diana per inserirvi una cagna. Tutte queste antichità, fatta eccezione per il Mercurio e la Diana, passata ai Borghese per l'omonimo tempietto della loro villa sul Pincio, furono cedute al museo Pio-Clementino tra il 1787 e il 1794, in un periodo in cui il F. proseguiva intensamente le vendite di figure zoomorfe e di statue.
Tra il settembre e il dicembre 1787 ricevette 1100 scudi dalla Fabbrica di S. Pietro per i travertini e la relativa esecuzione, su disegno di G. Valadier, dei triregni, posti sopra gli orologi della facciata della basilica, e dei festoni di foglie e bacche che ne ornavano i lati, nonché delle stelle dei gigli dei Braschi.
L'8 giugno 1788 entrò a far parte della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon come "ornatista in marmo". Il 5 agosto successivo compare in una lista di artisti operanti nel rinnovamento di palazzo Altieri: qui intervenne sulle colonne in porfido della sala degli Specchi; intagliò le mostre in marmo - di cui fu fornitore - delle porte e delle finestre del gabinetto nobile; lavorò col Pacetti al camino detto "dei giochi dei putti", rifinendo lo zoccolo e le mensole con il classico motivo delle aquile, circoscritte da corone di alloro e con le foglie d'acanto; nelle volute diede risalto alle stelle dell'emblema Altieri.
Autore di copie in marmo, collaborò nello stesso tempo con l'amico Francesco Righetti, fonditore e vicino di studio, forse alla realizzazione di repliche bronzee degli animali del Museo Pio-Clementino: comunque si occupò della loro vendita (licenza di estrazione del 27 febbr. 1789). Fu un intagliatore di camini molto apprezzato da Pio VI, che per una di queste produzioni in marmo bianco intarsiato (in verde antico) e con metalli dorati secondo il gusto neoclassico, gli donò una tabacchiera d'oro durante una delle sue numerose visite alla bottega (25 ott. 1789); mentre un altro camino dello stesso stile venne valutato ben 500 scudi (licenza di estrazione del 22 luglio 1794).
La scultura più significativa del F. relativamente a questo periodo rimane il grande trumeau, oggi disperso, ma noto da una foto dell'Ottocento e da un delizioso bozzetto in terracotta comparso nel 1992 sul mercato antiquario di Londra, che sormontava un camino con i fondi riportati di verde di Corsica ed era situato a palazzo Braschi.
L'opera, particolarmente ammirata da Pio VI e dall'erudito G.A. Guattani, consisteva in un unico blocco di marmo, raffigurante trofei sacri, militari e civili che alludevano al legame tra il duca Luigi Onesti Braschi e il pontefice suo zio, celebrando con vari simboli (leone, parazonio, nave, ecc.) le virtù e le imprese del duca. Il trumeau, che pone dei quesiti non ancora risolti sull'autonomia progettuale del F., risente dell'influsso piranesiano, ma anche dell'approccio all'antico di G. Valadier, che impiegò spesso il motivo dei trofei nelle sue realizzazioni.
Nel 1795 Pio VI, per favorirlo in un momento in cui le condizioni economiche della città erano peggiorate, gli concesse un botteghino del gioco del lotto di Toscana. Nel frattempo il F. lavorò a un altro camino di palazzo Braschi con finissimi bassorilievi allusivi a Bacco (visita pontificia del 13 ott. 1795) e all'arme di famiglia, sistemata poi all'esterno sulla cantonata di Pasquino (1796); mentre solo all'inizio del secolo, forse nel 1804, intagliò i capitelli del salone e tornò a restaurare la collezione del duca (1810). Nel 1796 si occupò, anche, dei lavori di restauro, sotto la direzione del Valadier, della facciata del duomo di Orvieto.
All'inizio del nuovo secolo nella sua bottega si trovava una notevole raccolta di statue antiche che il F. e il fratello Giuseppe, con il peggiorare delle condizioni di salute dell'artista e della crisi economica, nel maggio del 1804 vendettero in blocco alla Camera apostolica per 8.500 scudi.
Si tratta di un corposo lotto di sculture antiche - per lo più restaurate, come egli stesso specifica in un elenco - comprendente pezzi di una certa importanza, come il Lisia Giustiniani, i dieci fregi con eroti a caccia, già cornice del ninfeo della "piazza d'oro" di villa Adriana, due imperatrici, provenienti dagli scavi di Ostia (1800) e il Mercurio rinvenuto nelle esplorazioni del Monte di pietà (Museo Chiaramonti).
Il 18 luglio 1804 il Canova scelse una tazza di alabastro del F., copia di quella Braschi, e altri suoi due vasi di alabastro fiorito, modellati su esemplari etruschi, come doni pontifici da recare a Parigi, insieme con altri regali, per l'incoronazione di Napoleone Bonaparte. Dall'autunno del 1804 alla fine del 1805 il F. eseguì i restauri dell'"arme" dei Borghese sulla facciata di S. Pietro e di quelle dei Chigi, con i relativi triregni, poste sopra il colonnato della basilica.
Tra il 1806 e il 1808 restaurò, forse in collaborazione con il fratello e sul modello del Giove di Otricoli, la testa del Giove colossale sedente (3 febbr. 1806), una statua (oggi all'Ermitage di San Pietroburgo) acquistata nel 1798 in società col Pacetti e col Valadier. Restaurò inoltre l'AchilleBristol e il Germanico sedente della Gliptoteca di Monaco di Baviera su modelli in gesso del Pacetti, che gliel'aveva affidata (7 genn. 1808) dopo un preciso accordo.
Nell'autunno del 1807, con la mediazione del Pacetti, vendette un'altra sua collezione di antichità, da lui stesso raccolta e restaurata nell'aprile del medesimo anno, al conte Luigi Marconi per il salone del palazzo che il nobile aveva a Frascati. I busti e le statue di tale raccolta - illustrati accuratamente, insieme con gli interventi franzoniani, dall'erudito G.A. Guattani - sono andati dispersi, salvo il Marte, l'Euterpe e l'Asclepio oggi ai Musei Vaticani.
Il 25 genn. 1808 il F. ricevette la patente di scalpellino della Fabbrica di S. Pietro. Da una lettera del 21 maggio 1813, scritta dal Righetti a un funzionario del Regno di Napoli, si viene a sapere che il F. avrebbe dovuto trasferirsi in quella città, dov'era appunto l'amico, per aprire una scuola di intaglio in marmo e di scultura di animali. Il 10 febbr. 1817 inviò le ultime due statue ai Musei Vaticani, dopo che la Commissione generale consultiva di antichità e belle arti, che aveva visitato il suo studio il 3 sett. 1816, aveva scartato gli altri pezzi: per lo più vasi, frammenti e figure zoomorfe. Il 13 luglio 1817 fece testamento lasciando alla figliastra l'usufrutto della casa, acquistata nel 1794, e la bottega con ciò che conteneva; nominò erede universale il nipote Antonio Cucchiari carrarese, figlio di sua sorella Bartolomea. Attraverso un codicillo del 24 febbr. 1818 donò il botteghino del lotto di Toscana al fratello Giuseppe, cui andarono anche due statue già citate nel testamento.
Morì a Roma il 3 marzo 1818 e venne sepolto, secondo la sua volontà, nella chiesa di S. Maria della Concezione.
Per la sua opera decorativa - basata su studi dal vero e sulla realizzazione di modelli in cera e in terracotta - il F. fu tra gli artisti capaci di accordare l'educazione tardo-barocca coll'emergente severità neoclassica, riuscendo a interpretarle con raro virtuosismo tecnico e classica compostezza. Nel campo del restauro le sue integrazioni, pur nei limiti della loro funzione storica, archeologica e decorativa, denunciano lo sforzo di seguire un nuovo rigore.
Nel corso della sua carriera il F. eseguì una quantità di piccoli interventi per le collezioni dell'aristocrazia romana: nel 1781 realizzò i "panni di stucco" per le statue della collezione Colonna, forse su richiesta del Pacetti che vi lavorava, e l'anno seguente intagliò la palma nella figura dell'Atleta di villa Borghese. Fece anche diverse perizie, spesso insieme con il fratello, di statue o raccolte al centro di controversie, per esempio quelle riguardanti le statue della collezione Braschi (1812) insieme con lo scalpellino Alessandro dell'Oste. Si dedicò attivamente al commercio antiquario di sculture, pitture, marmi antichi, come mostrano le licenze di estrazione, le vendite a personaggi eccellenti, quali Gioacchino Murat (1802, 1809), o le visite nel suo atelier, come quella di Luciano Bonaparte con il cardinale J. Fesch (9 luglio 1804). Come fornitore di marmi fu incaricato dall'architetto A. Asprucci di ordinare a Carrara il materiale necessario per le due Ninfe dell'omonima fontana di villa Borghese (gennaio 1788), quindi per una gran tazza e per la balaustra della Fontana dei cavalli marini (giugno 1790), al cui modello il Pacetti lavorava dal maggio precedente. Gli sono attribuiti un camino di palazzo Braschi, con girali di rose (Pietrangeli, 1967, p. 56), e due candelabri realizzati con Lorenzo Cardelli, su disegno del Piranesi, già in Inghilterra nel 1777 (N. Penny, Catalogue of European sculpture in the Ashmolean Museum, I, Oxford 1992, pp. 108-116, nn. 77-78). Nel corso della sua vita accumulò ingenti capitali, in gran parte persi per il prestito fatto a Pio VI al tempo della prima occupazione francese e a causa della crisi che subito dopo si abbatté sulla città. L'inventario post mortem rivela parecchie centinaia fra antichi pezzi restaurati, frammenti, copie, gessi, modelli, marmi antichi e moderni, rari e usuali; vi compaiono anche 177 dipinti comprendenti dieci paesaggi del Fidanza, forse Gregorio, una Maddalena di F. Trevisani, due battaglie di F. Graziani, due disegni di D. De Angelis, autore anche di un Ritratto di F.A. Franzoni conservato all'Accademia di belle arti di Carrara.
Giuseppe, fratello minore del F., nacque a Carrara nel 1752. Restauratore di antichità, si introdusse tra i lavoranti del Museo Pio-Clementino (1776), divenendo uno degli aiuti di G. Pierantoni (1782), che sovraintendeva ai ripristini delle statue antiche. Negli anni Ottanta sposò Teresa Cecola, originaria di Velletri, e andò a vivere a via del Babuino (1784), nella parrocchia di S. Maria del Popolo, dove rimarrà sostanzialmente sino alla morte, insieme con la famiglia. Intorno al 1797 nacque Luigi, uno dei suoi sette figli, che lavorò insieme con il padre nella bottega dello zio (anch'egli scultore di animali, alla morte del F. Luigi chiese di prenderne il posto nei Musei Vaticani, ma ottenne solo di rifare, nell'agosto 1822, l'"arme" sopra l'ingresso di palazzo del colonnato di S. Pietro). Alla fine del secolo XVIII Giuseppe intervenne sulla Pallade di Velletri, oggi al Louvre, su richiesta di V. Pacetti che per un certo periodo ne fu proprietario. Nel 1805 ricevette dal principe Luigi di Baviera, tramite il pittore Friedrich Müller, agente del futuro sovrano, l'incarico di restaurare il bassorilievo, acquistato a Palestrina, con il Ritrovamento di Arianna da parte di Dioniso, oggi ai Musei Vaticani. Grazie al Canova, nello stesso anno venne incaricato di eseguire restauri di modesta entità su diciassette sculture della "galleria Capitolina" comprendenti, tra l'altro, i sarcofagi di Diana e Endimione e della Vita umana, il Coccodrillo (oggi in Vaticano, al Museo Gregoriano Egizio) e nove statute, tra cui il Fauno di rosso antico, i CentauriFurietti, l'Agrippina sedente. Nel 1809 fu in trattativa col Müller per la cessione di una partita di antichità di pregio, tra cui figurava la grande statuta del Germanicosedente venduta in Germania per 1650 scudi romani (oggi nella Gliptoteca di Monaco di Baviera). Secondo Hartmann (1973) è da identificarsi con Giuseppe il "Franzoni" che nel 1809 eseguì il restauro del cosiddetto pozzo di S. Callisto (Schloss Tegel, presso Berlino) - lavoro commissionato da Caroline von Humboldt, consorte dell'ex ministro prussiano a Roma - e anche delle statue ritrovate dal pittore e mercante inglese Robert Fagan a Ostia, nonché degli interventi sui marmi di Egina (1817-18) realizzati con il Pulini, il Pinciani e P. Kauffmann, sotto la direzione di Bertel Thorvaldsen.
Giuseppe morì a Roma il 25 febbr. 1837.
Si conosce anche un Alessio, scultore, di cui non è chiara la parentela con il F. (Carloni, 1993, p. 161 n. 2).
Fonti e Bibl.: A. Canova, Scritti, I, a cura di H. Honour, Roma 1994, p. 128; G.A. Guattani, Catalogo degli artisti… in Roma, in Memorie enciclopediche romane sulle belle arti, IV (1809), p. 152; O. Raggi, Monumenti sepolcrali eretti in Roma agli uomini celebri…, III, Roma 1846, pp. 15 s.; Statuto dell'insigne artistica Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, Roma 1861, p. 63; G. Campori, Memorie biografiche degli scultori… di Carrara, Modena 1873, pp. 111-113; F. Noack, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XII, Leipzig 1916, p. 391; C. Pietrangeli, Palazzo Braschi, Roma 1958, pp. 32, 37, 44, 52, 55; C. Hubert, La sculpture dans l'Italie napoléonienne, Paris 1964, ad Indicem; A. Schiavo, Palazzo Altieri, Roma 1964, pp. 106, 113, 117 s., 151; C. Pietrangeli, in Palazzo Braschi…, Roma 1967, pp. 51, 55 s.; C. Faccioli, Due note nel "Fondo Garampi" dell'Archivio Vaticano, in L'Urbe, XXXIV (1971), pp. 21 s.; A.M. Corbo, Campane, orologi della Basilica Vaticana, in Commentari, XXIX (1978), pp. 237-240; J.B. Hartmann, Thorvaldsen nel regno delle ninfe, in Studi offerti a G. Incisa della Rocchetta, Roma 1973, pp. 204 s.; R. Carloni, F.A. F. restauratore e "antiquario" al tempo di Pio VI, in Alma Roma, XXI (1981), 3-4, pp. 32-44; V.H. Minor, References to artists and works of art in Chracas' Diario ordinario - 1760-1785, in Storia dell'arte, XIV (1982), 46, p. 242; G. Borghini, S. Caterina dei Senesi a via Giulia (1766-1776)…, ibid., XVI (1984), 52, p. 206; A. Gonzáles-Palacios, Il tempio del gusto, I, Roma 1984, ad Indicem; C. Pietrangeli, I Musei Vaticani. Cinque secoli di storia, Roma 1985, pp. 52, 56, 60, 64, 74, 76, 99, 101, 119, 136; R. Carloni, I restauri delle statue e delle "armi", in Le statue berniniane del colonnato di S. Pietro, a cura di V. Martinelli, Roma 1987, pp. 261-263, 283-285 (app. documentaria); Id., F.A. F. tra virtuosismo tecnico e restauro integrativo, in Labyrinthos, X (1991), pp. 155-225; A. Gonzáles-Palacios, Ristudiando i Righetti, in Antologia di belle arti, n.s., III (1992), pp. 3 s.; R. Carloni, F.A. F. nel "Giornale" di V. Pacetti, in Labyrinthos, XI-XII (1992-93), pp. 361-392; I. Sattel Bernardini, Friedrich Müller detto Maler Müller ed il commercio romano d'antichità all'inizio dell'Ottocento, in Bollettino dei monumenti, musei e gallerie pontificie, XIII (1993), pp. 157 s.; R. Carloni, I fratelli Franzoni e le vendite antiquarie del primo Ottocento al Museo Vaticano, ibid., pp. 161-226; Id., F.A. F.: il camino Braschi, in Antologia di belle arti, n.s., V (1994), pp. 67-70; Id., L'inventario del 1818 di F.A. F., in Labyrinthos, XIII (1994), pp. 231-250; A. Gonzáles-Palacios, Per F.A. F., intagliatore di Pio VI, in Antologia di belle arti, n.s., V (1994), pp. 107-128; R. Carloni, I restauri di G. F., Michele Ilari e Domenico Piggiani nel Museo Capitolino, in Bollettino dei Musei comunali di Roma, n.s., IX (1995), pp. 63-82; L. Paardekooper, The monument to M.F. Chigi Odescalchi, 1771-72, in Labyrinthos, XV (1996-97), pp. 261-315; M. Nocca, Dalla vigna al Louvre: la Pallade di Velletri, Roma 1997, pp. 39, 41, 130; R. Carloni, Un collezionista di epoca napoleonica: il conte L. Marconi e la sua residenza di Frascati, in Bollettino d'arte, in corso di stampa.