BIONDI, Francesco Antonio
Nacque a Milano nel 1735. Non ci sono giunte notizie biografiche di questo profondo ritrattista e inarrivabile pittore di monocromi a finto bassorilievo, ingiustamente ignorato dalla critica: unici documenti superstiti su di lui sono una supplica datata 9 giugno 1802 al cittadino vicepresidente, dalla quale risulta che lavorò per il palazzo reale e per quello di Brera come pure per molte case patrizie di Milano, e un'altra datata 21 dicembre dello stesso anno per sollecitare un posto a Bologna (Archivio di Stato di Milano).
È priva di fondamento, per ragioni cronologiche, la notizia che il B. fosse stato alla scuola di Andrea Porta; suo maestro potrebbe nel caso esser stato Ferdinando Porta. Sposò Francesca Galbusera della quale, già vedova, è conservata (Archivio, di Stato di Milano) una supplica (senza data) per un sussidio alla due figlie.
Il B. morì a Milano nel 1805.
Opere del B., anche se non facilmente reperibili, sono certamente conservate nei palazzi patrizi di Milano (per es. Visconti Alari) e nelle ville storiche del contado. La quadreria dell'Ospedale Maggiore possiede undici suoi ritratti, databili dal 1774 al 1802, sufficienti a stabilire il valore dell'artista: cinque lustri di pittura veramente originale, via via più penetrante, asciutta, essenziale, sicura di sé, conquista della realtà sulla retorica, della vita sulla parata, del carattere individuale sulla posa. Il Canonico Muttoni (1781), il Conte Pecchio (1782), il Negoziante Rovida (1790), il Notaio Perocchio (1799) si dispongono nel tempo, espressione di singoli caratteri e specchio fedele di classi sociali, di ambienti, di costumi, in spontanea semplicità di atteggiamenti, sostenuti da un senso della linea, dello spazio, del colore eccezionali per quel tempo, composti in un ritmo e in una misura di cui meraviglia la sorvegliatissima efficacia. Culmina questa ritrattistica nel terribile ritratto della Contessa Maria Luigia Monti Melzi (1782) e in quelli del Conte Fedeli (1789), dal viso palpitante e dalle mani vive in una superba sinfonia di ori smorti, marroni e tortora aurati, e del Podestà Macchi (1797), bonario testone respirante nella nicchia dello studio. Tre capolavori uguali e diversi, ma soprattutto autonomi, liberi da influenze della più celebre ritrattistica lombarda. In queste atmosfere, talvolta secche e leggermente ironiche, in questi ambienti e pose naturali e asciutte, si potrebbe cogliere, se mai fosse possibile, l'influenza di Pietro Longhi.
Il B. si era anche specializzato in finti bassorilievi a monocromo. La Galleria d'arte moderna di Milano ne conserva due esempi: una Madonna col Bambino e due Amorini, di sfumata delicatezza, perfetta resa illusionistica e gusto prettamente neoclassico lombardo. Tanto che è da pensare, col Nicodemi, che alcuni dei monocromi delle sale teresiane della Biblioteca Nazionale Braidense e molte cimase e sovrapporte, oggi per la più parte distrutte, del palazzo reale di Milano siano opera sua.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano,Autografi-Pittori, cart. 98, fasc. 4; A. Caimi,Delle arti... e degli artisti... di Lombardia dal 1777 al 1862..., Milano 1862, pp. 40 s.; L. Malvezzi,Le glorie dell'arte lombarda, Milano 1882, pp. 278 s.; V. Bignami,La pittura lombarda del sec. XIX, Milano 1900, p. 25; G. Nicodemi,La pittura milanese dell'età neoclassica, Milano 1915, v. Indice; P. Pecchiai,I ritratti dei benefattori dell'Ospedale Maggiore di Milano, Milano 1927, nn. 130, 134-136, 138, 141-142, 148, 150-152; G. Nicodemi-M. Bezzola,La Gall. d'arte moderna del Comune di Milano. I dipinti, Milano 1935, p. 55; P. Mezzanotte-G. Bespapè,Milano nell'arte e nella storia, Milano 1958, pp. 74, 1049.