GHERARDI, Francesca (Checca)
Figlia del conte Marcello, nacque a Roma nel 1709.
Scarsissime sono le informazioni che permettono di delinearne un profilo biografico organico, e ciò è tanto più vero per la prima giovinezza, durante la quale sembra che le venisse impartita l'educazione presso le maestre pie Venerini, forse a Roma, dove nel 1713 era stata aperta la prima scuola, o, con maggiori probabilità, a Viterbo, luogo di nascita della fondatrice e dell'istituzione. Nel 1732, comunque, la G. sposò il giovane rampollo di una nobile famiglia viterbese, il conte Ranuccio Cherofini. La coppia visse presumibilmente a Roma, almeno fino al 1735, quando si consumò il primo episodio consegnato alla memoria della cronaca, cui molto più che a quella della storia si lega questa biografia: nel luglio di quell'anno - racconta nel suo Diario di Roma F. Valesio -, mentre nel teatro di Tordinona si rappresentava con dubbia fortuna il Nerone di E. Duni, la G. fu al centro del contrasto sorto tra il giovane Benedetto Pamphili e un coetaneo della famiglia Capizucchi. Sempre secondo il resoconto di Valesio, i due nobili ricevettero ordine di non lasciare la propria dimora e al Pamphili fu ingiunto di non approssimarsi alla casa dei Cherofini. Ai primi di agosto, la G. e il marito vennero esortati extragiudizialmente ad allontanarsi dalla città. Si trattava di una circostanza che si sarebbe comunque verificata in un breve torno di tempo, dal momento che il Cherofini, assoldata una compagnia, si prestava a raggiungere le truppe spagnole impegnate nella guerra di successione polacca. La G., tuttavia, non volle prestare ascolto all'informale ma esplicito invito, cui reagì, piuttosto, in modo provocatorio, percorrendo ostentatamente in carrozza la via del Corso. Ciò le valse l'ordine di lasciare Roma ed ella vi si dovette piegare qualche giorno più tardi, senza che sortisse alcun effetto neppure l'interessamento del cardinale protettore di Spagna, Troiano Acquaviva d'Aragona, il quale aveva ricordato all'influente nipote di Clemente XII, il cardinale Neri Corsini, come Cherofini fosse al servizio del sovrano iberico.
L'esilio da Roma dei Cherofini ebbe comunque breve durata e terminò grazie ai buoni uffici del cardinale Alessandro Albani, nipote di Clemente XI. La relazione tra la gentildonna e il cardinale - il quale, com'è noto, riveste un posto di primissimo piano nella storia della ricerca antiquaria settecentesca e del mecenatismo - riverberò del colore della fama un'esistenza piuttosto convenzionale e destinata altrimenti a un sicuro anonimato. Nondimeno, le informazioni sui rapporti intercorsi tra i due, certamente anche a causa dello stato religioso dell'Albani, non permettono con sicurezza di individuare i termini dell'interferenza del prelato nelle sorti dei Gherardi e dei Cherofini, pur dando luogo a numerosi interrogativi. Tradizionalmente si vuole che la G. fosse stata oggetto della passione del cardinale già durante la giovinezza, ma solo dal 1757, dal momento, cioè, della morte del conte e dell'ingresso della contessa nello stato vedovile, si definì in forme visibili e pubblicamente riconosciute una situazione di protezione.
Il salotto del piano nobile di palazzo della Pilotta, nell'omonima piazza romana, dove la G. risiedette dal 1757 fino alla morte, accoglieva gli ospiti del cardinale, gli abituali frequentatori, come J.J. Winckelmann e R. Mengs, o i visitatori di passaggio, che s'introducevano nelle dimore della nobiltà locale con curiosità pari a quella che li guidava tra le bellezze artistiche e naturali, come G. Casanova o A. Verri.
Costoro ci hanno lasciato un resoconto vivido, anche se appena schizzato, di quelle serate, in cui la conversazione languiva di fronte ai giochi di carte del cardinale e alla bellezza delle giovani figlie della contessa, la quale viene menzionata solo per ricordare la sua ospitalità di gusto tipicamente romano.
Il circolo del cardinale proiettò la G. nel vivo delle iniziative artistiche e archeologiche organizzate e finanziate dal prelato, il quale raccoglieva intorno a sé, in modo più o meno stabile, artisti e appassionati italiani, tedeschi e inglesi. All'inizio degli anni Sessanta il cardinale dava compimento all'opera che celebrava la sua passione per le antichità: la villa fuori porta Salaria, inaugurata nel 1765, fu progettata da C. Marchionni per ospitare come un museo le straordinarie collezioni di statue, epigrafi, monete e venne affrescata da R. Mengs, che nel Parnaso immortalava anche l'effige della maggiore delle contessine Cherofini. Ma la G. restò apparentemente estranea a questo fervore, a un tempo artistico, erudito, intellettuale e commerciale. Accolta nell'Arcadia con il nome di Eghirda Coritesia in una data imprecisata tra 1743 e 1766, non vi brillò e resta il dubbio che la sua presenza non andasse al di là della blanda adesione. Secondo la testimonianza di Winckelmann, che poco l'apprezzava, la G. dette prova di maggiori capacità nella vendita delle collezioni di disegni di Cassiano Dal Pozzo e Carlo Maratta che Albani fece a Giorgio III d'Inghilterra nel 1767, trovando il suo tornaconto nella generosità con cui il cardinale si occupò della dote della figlia Vittoria.
La protezione del cardinale assicurava alla G., e alla sua condizione vedovile, certezze non trascurabili dal punto di vista sociale ed economico: una posizione pubblica di prestigio (una visibilità, più che una identità altrimenti non conseguibile); una rete di relazioni rassicurante e gratificante; un tenore di vita probabilmente superiore a quello goduto da coniugata e, comunque, non penalizzato dalla perdita del marito (aspetto su cui si appunta l'occhio critico dei contemporanei più affezionati all'Albani e dei divulgatori successivi); infine, quale esito logico di simili circostanze, l'estensione dei vantaggi anche agli altri membri della famiglia. I due figli della G., Marcello (1733-68) e Sempronio (1738-78), intrapresero, rispettivamente, la carriera ecclesiastica e quella militare, conseguendo, il primo, il canonicato della chiesa di S. Maria in via Lata, collegiata del cardinale Albani dal 1747, il secondo, il grado di tenente delle guardie nobili del papa. Le due figlie, Vittoria (n. 1742) e Maddalena (n. 1747), pur accomunate dalla prospettiva di un ottimo matrimonio, ebbero vicende alquanto diverse. La prima, che si distingueva per la rara, elogiatissima bellezza ereditata dalla madre, sposò nel dicembre 1764 il marchese Giuseppe Lepri, ricco appaltatore generale della Camera apostolica e figlio del celebre mercante Carlo Ambrogio: i capitoli matrimoniali vennero stesi nel palazzo Albani di via Quattro Fontane. Nel giro di sei mesi, tuttavia, l'unione si trasformò in scandalo per la separazione dei coniugi e la volontà del Lepri di chiedere l'annullamento, adducendo un'imperfezione naturale della moglie che impediva la consumazione. L'opinione pubblica, invece, si scatenò in un diluvio di chiacchiere, commenti e pasquinate, irridendo la coppia a causa della presunta infatuazione di Vittoria per un cantante, ragione cui si attribuiva la presa di distanza dal marito; né dal ridicolo furono preservati la contessa e il cardinale. I Lepri, comunque, rispettando una disposizione rotale che imponeva la coabitazione, restarono uniti e spesero l'esistenza viaggiando e tornando a Roma saltuariamente. La vicenda prelude a un seguito ancora più clamoroso, dal momento che nel febbraio del 1775, nove mesi dopo la morte del marito, Vittoria - che nel 1769 aveva risolto con un intervento chirurgico il difetto lamentato da Lepri - ebbe una bambina, Anna Maria Maddalena, figlioccia del cardinale Albani ed erede intempestiva della fortuna del padre, altrimenti destinata allo zio Amanzio, il quale gliela contenderà in una causa, famosa soprattutto per lo squalificante coinvolgimento del pontefice Pio VI e del nipote Luigi Braschi Onesti. La figlia minore della G., Maddalena, forse vittima della risonanza dei trascorsi della sorella, sposò nel 1776 il conte F. Maffei e visse a Cesena.
La G. morì a Roma il 19 marzo 1778, una settimana prima del figlio Sempronio, e venne sepolta nella chiesa di S. Maria in via Lata, che qualcuno aveva soprannominato, pensando al titolo cardinalizio dell'Albani "Divae Cherufinae".
Fonti e Bibl.: Diario ordinario di Roma, 284 (10 marzo 1764), p. 10; 336 (21 marzo 1778), pp. 6 s.; 338 (28 marzo 1778), p. 7; Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, a cura di E. Greppi - A. Giulini, I, Milano 1910, pt. 1 (ottobre 1766 - luglio 1767), p. 378; P. Metastasio, Opere, a cura di G. Brunelli, IV, Milano 1954, ad indicem; J.J. Winckelmann, Briefe, a cura di W. Rehm, II-IV, Berlin 1954-56, ad indices; Id., Lettere italiane, a cura di G. Zampa, Milano 1961, ad indicem; G. Casanova, Histoire de ma vie, VII, Wiesbaden-Paris 1961, pp. 185 s., 322 s.; F. Valesio, Diario di Roma, a cura di G. Scano, V, Milano 1979, ad indicem; G. Coretini. Brevi notizie della città di Viterbo e degli uomini illustri in essa prodotti, Roma 1774, pp. 107 s.; G. Gorani, Mémoires secrets et critiques des cours, des gouvernemens et des moeurs des principaux États de l'Italie, II, Paris 1793, pp. 175-179; Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma dal sec. XI fino ai nostri giorni, a cura di V. Forcella, VIII, Roma 1876, pp. 372, n. 892; 374, n. 898; G. Cordara, De suis et suorum rebus aliisque suorum temporum usque ad occasum Societatis Iesu commentarii, a cura di G. Albergotti - A. Faggiotto, Torino 1933, ad indicem; Carletta (A. Valen), Casanova a Roma. Figurine e figuri romani del sec. XVIII, in Riv. d'Italia, II (1899), pp. 493-496; E. Landry - S. Ravasi, Un milanese a Roma. Lettere di Alfonso Longo agli amici del "Caffè" (1765-1766), in Arch. stor. lombardo, XXXVIII (1911), 2, p. 123; C. Bandini, Roma e la nobiltà romana nel tramonto del sec. XVIII, Città di Castello 1914, ad indicem; Id., La galanteria nel gran mondo di Roma nel Settecento, Roma [1930], ad indicem; P. Romani (P. Valeri), Pasquino nel Settecento, Roma 1934, p. 65; G. Brigante Colonna, Porporati e artisti nella Roma del Settecento. Albani, Winckelmann, Kaufmann, Goethe, II, Roma s.d., pp. 42-50.