FARNESE, Francesca (al secolo Isabella)
Nacque a Parma il 6 genn. 1593 dal duca Mario del ramo farnesiano di Latera e da Camilla Meli Lupi dei marchesi di Soragna. Affidata alla nonna materna Isabella Meli Lupi nata Pallavicino, la F. soggiornò nella corte parmense sino agli otto anni. La sua infanzia ebbe un decorso non propriamente felice e fu determinante nel forgiare alcuni caratteri della sua personalità umana e culturale. In sintonia con le scalpitanti aspirazioni dei genitori di accrescere il lustro familiare di un ramo minore ma in rapida ascesa, venne destinata inizialmente a un matrimonio nobile ed onorevole.
A tal fine la F. ebbe un'educazione tipicamente cortigiana nell'ambiente colto, mondano e raffinato di cui si circondava la Pallavicino. Imparò ben presto e con profitto a leggere, scrivere, suonare, ballare, recitare: in particolare manifestò una particolare predilezione per la letteratura. Romanzi cavallereschi e di corte, Torquato Tasso, soprattutto, e le Metamorfosi di Ovidio ebbero un posto privilegiato nelle sue letture.
Tuttavia i progetti familiari sulla piccola F. vennero completamente mutati dal vaiolo che ne aggredì il volto e da un incidente domestico che aggravò ulteriormente la situazione. Così, irrimediabilmente sfigurata, la nonna materna la rimandò dai genitori prima a Farnese e poi a Roma. Qui, dopo un breve periodo trascorso in famiglia dove apprese in modo irregolare alcune nozioni di botanica ed iniziò ad accostarsi alla letteratura devota, le venne probabilmente imposto dal padre di entrare nel monastero delle clarisse di S. Lorenzo in Panisperna. In questo luogo, consono alle sue condizioni nobiliari, venne affidata alle cure della zia, sorella di Mario Farnese, la temuta e severa badessa suor Francesca. Il 21 apr. 1602, a soli nove anni, vi fece il suo ingresso.
Il primo periodo fu particolarmente penoso per la F., insofferente agli aspetti più severi della regola: faticava a sottostare alle privazioni e ai patimenti a cui era sottoposta dalla zia. Solo con la morte di quest'ultima, poté godere di un clima più rilassato che, con alcuni facili e forse tollerati espedienti, le permise di coltivare amicizie adolescenziali all'interno dei monastero e soprattutto di perseverare nell'attrazione per i libri profani.
Nel maggio del 1607 la F. ritornò in famiglia e, in un clima sovreccitato per il matrimonio della sorella Giulia con il prirIcipe Giovanni Albrizzi, si dedicò alle attività mondane con convinzione. Studiò musica, imparò i rudimenti per suonare l'organo, il clavicembalo e altri strumenti, continuò a disegnare, a coltivare le lettere, a comporre con facilità poesie e commedie e a parlare il latino in forme eleganti. La morte di una persona, rimasta ignota, di cui si era probabilmente invaghita, la rese più disponibile ad un rientro il 7 dicembre dello stesso anno nel monastero di S. Lorenzo in Panisperna per cominciare l'anno del noviziato, assumendo il nome di suor Francesca. Per tredici mesi sino alla professione (8 genn. 1609) fu in balia di ripensamenti, tentazioni, malinconie e disturbi fisici che le impedirono spesso le pratiche di penitenza e di vita comune.
Da professa, comunque con un rango distinguibile e spesso arrogantemente riaffermato, la F. continuò a coltivare le discipline della sua infanzia e adolescenza aggiungendovi l'astrologia e rivelando intorno al suo spiccato e vivacissimo temperamento doti di animatrice culturale all'interno del ristretto mondo claustrale. In compagnia della sorella Vittoria, anch'essa destinata al monastero, si impose nella piccola comunità. Secondo lo stereotipo della santità eroica barocca, dopo un lungo travaglio interiore, si avviò decisamente verso un rigore devozionale crescente che non abbandonera mai più, incoraggiata in ciò dall'austerità e dall'influenza del padre confessore Giovanni Battista Bianchetti. Si sbarazzò di libri e manoscritti profani, rinunciò ai privilegi della propria condizione di monaca nobile e ricca, all'entrata annua paterna, agli abiti più ricercati, agli oggetti personali superflui, alla camera "adornata di quadri di valuta" per una più sobria "per tenere staccato l'affetto dalla robba". Seguendo i dettami di una diffusa cultura mistica, si diede a praticare l'orazione mentale e ad incrudelire le mortificazioni fisiche trascurando il sonno con veglie defatiganti, battendosi 'rigorosamente "in particolare ne' giorni di venerdì", portando continuamente "il cilitio fatto di catenelle di ferroc questo modo di vivere troppo rigido e "non praticato" provocò notevoli dissapori sui criteri di conduzione della vita claustrale tra le sue stesse consorelle che vedevano i rischi di snaturamento delle consuetudini, in verità più duttili, che caratterizzavano i monasteri romani. Diffidenze nei confronti del padre confessore (che fu allontanato), aperte insofferenze sulla durezza del regime spirituale da lei prescelto e ricercato che aveva il suo centro in un crescente e parossistico desiderio di solitudine, plasmato sulla delicatissima "unione con Dio", furono determinanti nel farle maturare la convinzione di trasferirsi altrove per poter liberamente seguire uno stile di vita più severo e di assoluta spiritualità.
Desiderosa di estrinsecare le sue capacità interiori ed esteriori di fondatrice e riformatrice, dopo una fitta corrispondenza con il padre Mario, del resto non alieno dal considerare il prestigio familiare che sarebbe derivato dall'inaugurare ex novo un'istituzione religiosa così significativa nelle sue terre, la F. riuscì a convincerlo a cederle il convento dei frati minori e l'annessa chiesa di S. Rocco in Farnese per destinarli a lei e alle clarisse disposte a seguirla. Tormentata dall'idropisia, si trasferì il 9 maggio 1618 con l'incarico di maestra delle novizie nel convento che ebbe il nome di S. Maria delle Grazie e che venne posto sotto la guida di suor Violante Farnese, altra sorella di Mario, e di suor Virginia degli Atti (provenienti dal monastero di S. Elisabetta di Amelia) per avviare con una matura direzione la nuova fondazione.
La sua ostinata ricerca di una via originale di spiritualità interiore, fondata sempre più sulla povertà assoluta, sull'anacoresi primitiva e contemporaneamente sulla volontà di una "stretta riforma" e sull'inasprimento delle mortificazioni (tali da provocare, peraltro, seri danni alla salute delle novizie), si esplicò più tardi in una conflittualità con il padre e, alla sua morte, con il fratello Diofebo circa l'organizzazione della vita religiosa, giudicata dalla F. non sufficientemente penitenziale.
Privata dell'incarico di maestra delle novizie per la sua avversione alla badessa e al confessore, quando si pose la questione della compilazione delle costituzioni per il "reggimento" del monastero la F. contrastò però con successo le diverse versioni proposte, affermando il suo forte ascendente sino a modificare addirittura le volontà familiari propense all'approvazione di una regola meno dura. Dopo tre redazioni delle costituzioni rimaste senza seguito, l'avvento al vescovato di Castro di Alessandro Carissimi fu decisivo per l'attività riformatrice della Farnese. Questi infatti, colto e amante delle lettere latine, cresciuto anch'egli in Parma, venne affascinato dalla personalità della F. e stabilì con lei un rapporto privilegiato di fiducia. Il 12 maggio 1625 affidò alla F., divenuta vicaria del monastero, con una procedura davvero inusuale trattandosi di una donna, il compito di redigere le costituzioni che, , fondate sulla regola di s. Chiara approvata da Urbano IV, videro inasprire le penitenze, l'esercizio del silenzio e diradarsi quasi completamente le possibilità di contatto con l'esterno, giustificando così il soprannome di "sepolte vive" che caratterizzerà da quel momento le clarisse farnesiane. Convinte altre due sorelle a monacarsi, venne eletta badessa e l'organizzazione del monastero fu definitivamente approvata da un breve del 13 luglio 1638 di Urbano VIII.
Nel frattempo la fama e il favore che le sue pratiche religiose incontravano in un certo sentire devozionale barocco che prediligeva i modelli morbosi di raggiungimento della perfezione cristiana, stimolarono ancor più il forte temperamento della Farnese. Venne chiamata dalla principessa di Albano, Caterina Savelli, che desiderava la fondazione di un convento di clausura nella sua città. Incontrò Giacinta Marescotti, fu attivissima presso le nobildonne del patriziato romano, si garantì la protezione di Francesco Barberini per tutti i monasteri delle clarisse da lei fondati e riformati. Il 18 marzo 1631 fondò il monastero della Concezione di Albano e, non lontano, favorì la costruzione di una casa comunitaria maschile dove preparare i confessori destinati alla guida spirituale delle monache. Nel 1638 riformò il monastero di S. Chiara a Palestrina ponendovi come badessa l'anno successivo la sorella suor Isabella, appositamente fatta venire da Farnese, e ottenendo dal principe Taddeo Barberini una nuova e più adatta sede. La F. coronò la sua opera con la fondazione di un monastero a Roma al rione Monti: infatti, grazie all'intervento finanziario dei Barberini, della principessa Felice Zacchia Rondanini e della principessa Maria Peretti fu possibile giungere ben presto all'edificazione del monastero della Ss. Concezione (scomparso in seguito agli sventramenti urbanistici postunitari), inaugurato ufficialmente con un breve apostolico il 2 giugno 1643.
In questo monastero la F. rimase sino alla morte, avvenuta in concetto di santità, il 17 ott. 1651, circondata oltre che dalle consorelle, da Camilla Savelli, Olimpia Aldobrandini e altre nobildonne romane: il funerale venne celebrato dal cardinale Francesco Barberini.
Insieme con la carmelitana Vittoria Colonna (Chiara della Passione) la F. costituisce una delle personalità più rilevanti dell'ambiente religioso e monacale romano in epoca prequietista. Ci si trova effettivamente di fronte ad una complessa e contraddittoria personalità che si colloca nel filone della mistica seicentesca influenzata da s. Teresa d'Avila e s. Giovanni della Croce: tuttavia, accanto ad uno spiritualismo rigorista, si sviluppò un abile attivismo sostenuto da una cultura aristocratica di buon livello e da doti carismatiche non indifferenti.
Inoltre, la F. mutò il suo destino di giovane nobildonna sfortunata e di monaca subiecta in una devozionalità totale non priva di ambiguità e comportamenti inquietanti, la cui accettazione è sostanzialmente legata alla protezione barberiniana, ove realizzare il proprio temperamento leaderistico e la propria intelligenza, di cui aspetto non secondario fu la sua produzione letteraria di uno spiccato lirismo mistico e cristocentrico. Poetessa non priva di talento e di genuine ispirazioni, dopo la prima edizione (Pie e divote poesie, Roma 1654) il suo Canzoniere ebbe sette edizioni arricchite però da altre poesie sacre, non di sua mano, composte dalla sorella Isabella e da altre religiose dei suoi istituti a cui si e aggiunta recentemente la scoperta di altre liriche, pubblicate dal Baffioni, mentre le Constitutioni vennero pubblicate per la prima volta nel 1640 in Roma.
Opere: Per una esauriente e puntuale informazione bibliografica delle opere della F.: G. Baffioni, Liriche sacre inedite di F. F., estr. da Atti e mem. dell'Arcadia, s. 3, VI (1973), pp. 11 s. Qui, oltre alla produzione poetica e alle Costituzioni, sono fornite preziose indicazioni sugli editi e inediti riguardanti meditazioni sacre, lettere e brevi discorsi spirituali, esortazioni e ricordi, trattatelli comportamentali per le novizie, epistolari in gran parte conservati attualmente nei monasteri di Albano, Farnese e Palestrina. Tuttavia, la fonte più importante per la ricostruzione biografica della F. è senz'altro quella del canonico di S. Lorenzo in Damaso Andrea Nicoletti, al servizio del cardinale Francesco Barberini che gli commissionò e finanziò la stampa della Vita della venerabile madre suor F. F. detta di Gesù Maria dell'Ordine di S. Chiara, fondatrice delli monasterii di S. Maria delle Gratie di Farnese e della Ss. Concettione di Albano e di Roma e riformatrice delmonasterio di S. Maria degli Angeli di Palestrina, Roma 1660. In essa sono riportate numerose lettere e brani autobiografici superstiti alla loro distruzione ordinata dalla stessa Farnese. Di tale opera fu fatta una seconda edizione nel 1678 sempre a Roma. Inoltre una cospicua appendice alla Vita, rimasta manoscritta, riguarda soprattutto gli eventi soprannaturali e miracolosi attribuiti alla F. prima e dopo la sua morte che fanno fortemente sospettare l'intenzione di istruire un processo di beatificazione della F. presso la congregazione dei Riti, che però non ebbe alcun seguito positivo. Di essa sono reperibili due copie: Parma, Biblioteca Palatina, Ms. Farn. 3752, cc. 1-188, Bibl. ap. Vaticana, Barb. lat. 4529, cc. 1-195.
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