POLENTA, Francesca da
POLENTA, Francesca da. – Nacque verso il 1259-60 a Ravenna, figlia di Guido Minore da Polenta (morto nel 1310) e di una donna appartenente alla famiglia Fontana.
Andò sposa, probabilmente nel 1275, a Gianciotto (Giovanni o Gianni detto «il Ciotto», cioè ‘lo Zoppo’) Malatesti (morto nel 1304), figlio di Malatesta da Verucchio, e dalla loro unione nacque almeno una figlia, Concordia, mentre è dubbia la notizia di un figlio maschio, di nome Francesco, premorto alla madre. È plausibile che il matrimonio sia stato concordato per i comuni interessi politico-militari di Polentani e Malatesti, giacché questi ultimi fornirono aiuto militare a Guido Minore in occasione del colpo di mano con cui prese il potere su Ravenna proprio nel 1275; tanto più che contestualmente fra le due famiglie era stato stretto un altro patto matrimoniale, quello tra Bernardino da Polenta (fratello di Francesca) e Maddalena Malatesti (sorella minore di Giovanni e Paolo).
L’unica ulteriore notizia certa sulla vita di Francesca da Polenta è quella ben nota per cui ella intraprese una relazione adulterina con il cognato Paolo Malatesti detto ‘il Bello’, scoperta la quale Gianciotto uccise sia lei sia il proprio fratello (che lasciò vedova Orabile Beatrice Malatesti con due figli, Uberto e Margherita, capostipiti per eredità materna della linea dei Malatesti conti di Ghiaggiolo). La loro morte va situata grosso modo prima del 1286, forse l’anno in cui Gianciotto Malatesti si sarebbe nuovamente sposato con Zambrasina di Tebaldello Zambrasi. Il luogo stesso in cui si sarebbe consumata la tragedia è stato nei secoli moderni oggetto di dispute erudite e campanilistiche, riconoscendosi in Rimini e in Pesaro le sedi più probabili. Non si esclude che, oltre che da motivazioni passionali, i due fratelli fossero divisi anche da un’esplicita competizione per il ruolo preminente nella famiglia e per il titolo comitale di Ghiaggiolo.
La breve vicenda terrena di Francesca, altrimenti destinata a rimanere confinata nelle note di erudizione storica e genealogica romagnola, è stata invece trasportata su di un piano universale dalla poesia dantesca. Dante Alighieri dovette conoscere la vicenda grazie alle sue frequentazioni romagnole, visto che il fatto è ignorato dalle fonti narrative e documentarie coeve; già Corrado Ricci notò come lo stesso Guido Novello da Polenta, benevolo protettore dell’‘ultimo rifugio’ ravennate di Dante, non trovò evidentemente mai alcuna ragione di animosità personale verso il poeta per l’immagine fornita dei suoi familiari nei versi 72-142 del canto V dell’Inferno. L’Alighieri immaginò di incontrare nel secondo cerchio infernale – destinato a ospitare i lussuriosi – le anime dannate di Paolo e Francesca, uniche a volare in coppia. Quando esse si avvicinano per rispondere alla chiamata del poeta «quali colombe dal disio chiamate», l’autore fa parlare soltanto Francesca, che riassume la sua vita e la sua morte con una successione di immagini e perifrasi straordinarie: dalla nascita ravennate («Siede la terra dove nata fui / su la marina dove ’l Po discende»), al sorgere del sentimento per Paolo («Amor, ch’a nullo amato amar perdona, / mi prese del costui piacer sì forte»), alla prefigurazione della futura dannazione del loro assassino («Caina attende chi a vita ci spense»). Allorché Dante chiede «a che e come concedette amore / che conosceste i dubbiosi disiri?», Francesca rammenta come la passione li travolse durante la lettura della vicenda amorosa di Lancillotto e Ginevra di cui si fa fautore il siniscalco Galeotto: alla fulminante sintesi di «Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: / quel giorno più non vi leggemmo avante», il poeta vien meno in preda alla commozione («E caddi come corpo morto cade»).
Proprio per l’immediato successo dei versi danteschi, accompagnato dalla mancanza di altri riscontri in fonti che non siano quegli stessi versi, i commentatori della Commedia iniziarono molto presto a elaborare integrazioni destinate a entrare a far parte della mitografia. In particolare, da Giovanni Boccaccio in poi, conobbe particolare fortuna la fantasiosa leggenda per cui, data la scarsa avvenenza fisica di Gianciotto rispetto al fratello, il matrimonio sarebbe stato celebrato per procura nella persona di Paolo, ingannando inizialmente Francesca sulla reale identità del suo sposo.
La critica dantesca moderna si è mossa da un’iniziale accentuazione di epoca romantica posta sull’irresistibilità dell’amore umano, da cui pure la colpa di Francesca uscirebbe purificata, al successivo ripudio di una visione anacronistica rispetto alla morale di Dante quale uomo del suo tempo, per concentrarsi sulla pietà che egli proverebbe – più che per i due dannati in quanto tali – per la fragilità umana che accomuna tutti davanti al peccato. Poi in età compiutamente moderna l’episodio, rispondente sotto nuove chiavi di lettura a gusti ed esigenze diversi e ben lontani dall’originale, ha preso a ‘uscir fuori’ dalla Commedia dantesca per vivere di vita propria nelle numerose trasfigurazioni letterarie, pittoriche e musicali compiute dagli artisti che vi hanno trasfuso con le loro letture temi e sensibilità della propria epoca, con particolare vigore fra Romanticismo e Decadentismo intorno ai temi della libertà individuale, della lotta contro le convenzioni sociali e dell’infelicità amorosa.
Si può così dire che siano esistite due ‘Francesche’ tra loro ben distinte, il personaggio storicamente dato e quello divenuto un ‘mito’ polivalente contemporaneo. Fra le interpretazioni eminenti si ricordano: le iconografie di Dante Gabriel Rossetti, Jean-Auguste-Dominique Ingres, Alexandre Cabanel, Arnold Böcklin, Salvador Dalì e Renato Guttuso; le opere musicali di Saverio Mercadante, Pëtr Il′ič Čajkovskij, Sergej Rachmaninov e Riccardo Zandonai; le opere letterarie e teatrali di Silvio Pellico e di Gabriele D’Annunzio (la più celebre per sensualità e allucinata visionarietà di scene). Il mito di Francesca è così tuttora ben presente, plasmato ad assecondare anche le forme più caratteristiche della cultura popolare contemporanea, quella filmica e quella musicale (si pensi al film Paolo e Francesca, diretto da Raffaello Matarazzo nel 1949, e alla canzone Paolo e Francesca, incisa per l’album Ut del gruppo dei New Trolls nel 1972).
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