FRANCAVILLA di Sicilia
Centro in provincia di Messina, situato nella valle dell'Alcantara. Nell'area urbana, il rinvenimento fortuito di materiali ceramici in un cantiere edilizio in Via Don Nino Russotti, al centro del paese, ha consentito, nel 1979, l'indagine di ricchi depositi votivi che hanno rivelato un importante complesso cultuale di un ancor anonimo centro; la nascita (o, forse ellenizzazione?) di questo è legata alla penetrazione dei Calcidesi di Naxos all'interno della valle dell'Alcantara. All'insediamento antico si sovrappose, in buona parte, l'abitato medievale e moderno.
Nella superstite porzione di area sacra spiccano due edifici, il più orientale dei quali (edificio A) è costituito da un ambiente rettangolare lungo e stretto cui sono adiacenti, sul lato E, altri due vani, purtroppo danneggiati. Eretto, senza arrecarvi danno, sull'area di precedenti deposizioni votive databili, per la maggior parte, al terzo e all'ultimo quarto del VI sec., l'edificio A ospitava una gran massa di materiale votivo (si tratta di deposizioni secondarie) datato fra lo scorcio del VI e il terzo quarto del V sec. a.C. A circa 20 m a O del primo sorgeva un altro edificio (B), dalle fondazioni in pietre e blocchi lavici appena sbozzati, costituito da un unico vano rettangolare con ingresso sul lato lungo orientale; l'esito dei numerosi saggi aperti all'interno e nell'ampio spazio compreso fra i due edifici, privi di strutture e di altri manufatti (eccettuate labili porzioni di un piano di calpestio), consente di ipotizzare che l'edificio, forse anch'esso destinato a ospitare depositi votivi, sia stato in uso per un assai limitato lasso di tempo, contemporaneamente forse all'ultima fase di utilizzazione dell'edificio A.
È ormai nota l'importanza rivestita dai depositi votivi di F. per l'approfondimento di alcuni importanti aspetti della coroplastica siceliota e italiota del tardo arcaismo e del periodo severo: fra le molte protomi femminili di varia grandezza (probabili anathèmata di Demetra o Kore nella maggior parte dei casi) e le statuette di dee in trono e stanti, pure numerose, figurano alcuni tipi che trovano stretti confronti nella coroplastica arcaica di Naxos, mentre un altro gruppo offre una testimonianza della rispondenza di partiti tecnici ed espressivi nell'elaborazione di modelli ionici (e, per alcuni tipi, attici) intercorrente fra alcuni filoni della coroplastica tardoarcaica dei centri greci della Sicilia ionica e della Calabria meridionale, con particolare riferimento all'area calcidese. Soprattutto nel deposito più recente, all'interno dell'edificio A, emerge in primo piano proprio la presenza di opere o direttamente importate dai centri greci dell'Italia meridionale o, nella maggior parte dei casi, strettamente collegate all'artigianato italiota. Rientra in questo gruppo la serie dei pìnakes fittili (rinvenuti per lo più nello stesso strato di giacitura) figurati a rilievo di tipo locrese. La loro appartenenza a officina locrese è poco probabile, anche per la qualità e tonalità dell'argilla, di colore giallo chiaro, in diversi casi con chiazze e sfumature rosate più o meno estese, diversa quindi da quella solitamente rosa-beige dei pìnakes rinvenuti a Locri e sicuramente di fabbrica locale (fra i quali non mancano però alcuni esemplari in terracotta gialla); rinviando gli accertamenti sul luogo di fabbrica a un'auspicabile analisi comparata delle argille, è però indubbio che i manufatti, pur se plasmati altrove, sono in molti casi ricavati da matrici stilisticamente e iconograficamente assai vicine a quelle dei pìnakes realizzati nella colonia italiota. I pìnakes di F. costituiscono un complesso cronologicamente piuttosto omogeneo, databile nell'ambito del secondo quarto del V sec. a.C. (in particolare nel decennio 470-460), con poche eccezioni, come quello con Persefone e Hades su quadriga, in argilla uniformemente rosso scura e ascrivibile al primo ventennio del V sec. a.C.
Alcuni dei principali tipi trovano riscontri iconografici in ambito locrese: aparchài di divinità, nella fattispecie Hermes erioforo e Dioniso col kàntharos colmo di vino, Persefone sola o in coppia con Hades; l'«offerta della palla» a una figura femminile in trono (Persefone o una sacerdotessa?) da parte di una fanciulla; l'apertura della «cista mistica» col fanciullo divino (Iakchos? Ploutos? Dioniso? Adone?) da parte di Persefone da sola o alla presenza di una donna stante che pone una ghirlanda sul capo del fanciullo, in un caso con una porta alle sue spalle. Questi pìnakes con la «cista mistica» presenti a F. in una decina di esemplari e coevi a quelli locresi con analoga figurazione, datati da Arias intorno al 470-460, mostrano una particolare accezione del culto di Persefone.
Poco rappresentato a F. è invece il ratto di Persefone, assai frequente a Locri: in particolare un frammento sembrerebbe proprio ascrivibile a fabbrica locrese per la tonalità dell'argilla più decisamente rosa-beige. Rimane incerta l'interpretazione di una scena su un pìnax lacunoso nella parte destra, con due cavalli in movimento verso sinistra e in alto a destra, in volo, una figura femminile alata non dissimile a quella rappresentata in un pìnax locrese con corteo nuziale, uno fra i tipi più antichi dove al carro è però aggiogata una coppia di muli.
Altri tipi, databili tutti intorno al 470-460 a.C., non trovano invece riscontro in ambiente locrese e, anzi, costituiscono sinora un unicum: di particolare rilievo una scena riferibile probabilmente al ratto di Elena; una scena d'offerta; una figura femminile recante una fiaccola nella mano destra e una patera nella sinistra. Notevoli valori formali sono espressi dai tre noti pìnakes con le sole teste di profilo di divinità: due, presenti anche a Locri (però con due esigui frammenti), raffiguranti rispettivamente la ierogamia di Persefone e Hades e Persefone e, forse, Zeus Euboulèus, il terzo, infine, con la sola testa di profilo di una dea velata (Demetra? Kore?). Connessioni stilistiche con le officine di Locri e della sua subcolonia Medina si colgono in diverse altre opere coroplastiche, fra cui una statuetta di peplophòros con melagrana (intorno al 470 a.C.), uno splendido busto femminile (460 a.C. circa), alcune dee in trono, in stato assai frammentario.
La presenza a F. di numerose opere strettamente imparentate con modelli stilistici e iconografici italioti (se non quando di fabbrica magnogreca) in un momento in cui, dopo la conquista di Naxos da parte di Ierone I (476 a.C.), anche questo anonimo centro greco rientrava presumibilmente nell'orbita del potere siracusano, potrebbe leggersi alla luce dei rapporti amichevoli da sempre intercorrenti fra Locri e Siracusa e ulteriormente suggellati, nel terzo decennio del V sec. a.C., in favore della colonia italiota, minacciata da Anassila, tiranno di Reggio e successivamente da Leofrone, figlio dello stesso Anassila (Pind., Pyth., II, 34-38; Schol. Pind. Pyth., I, 99 A; II, 36 B-C; II, 38; lust., XXI, 3, 2). Ma, per non correre il rischio di un'interpretazione unilaterale, tenendo anche conto che alcuni dei materiali in questione, pur databili entro il decennio 470-460 a.C., potrebbero ascriversi agli anni immediatamente successivi alla caduta dei Dinomenidi, il problema andrà affrontato con un'indagine volta ad approfondire tutte le molteplici e complesse concause storiche, religiose, commerciali alla base delle interrelazioni fra le varie correnti artistiche siceliote e italiote.
Per quanto riguarda più specificatamente i pìnakes, è stato proposto (Guzzo, 1987) un rapporto puramente tipologico con quelli locresi, escludendo decisamente la possibilità di una circolazione «extracalabrese» di matrici, che allo stato attuale non è ancora del tutto da scartare, mentre un'altra ipotesi (Torelli, 1987), tutt'altro che priva di fondamenti storici ma certo suscettibile di maggiori verifiche, ravvisa negli stessi pìnakes di F. una testimonianza del trasferimento, da parte di Ierone, di popolazione locrese a Naxos in occasione della sua ricostruzione. Ci si chiede invece (Sabbione, 1987) se, sulla base dei rinvenimenti di F., non possa ascriversi «ad ambienti siciliani», sotto il governo dei Dinomenidi, un «ruolo importante nell'elaborazione e diffusione dei temi e delle cadenze dei pìnakes», ma, anche in questo caso, risposte certe presuppongono approfondite analisi oltre che l'acquisizione di nuovi dati, pur essendosi già da tempo riconosciute pregnanti connessioni di iconografie dei pìnakes locresi con il mondo cultuale siceliota.
Decisamente più ordinari e improntati a una considerevole uniformità tipologica si presentano i numerosissimi manufatti vascolari acromi e a vernice nera, sia dalle deposizioni della prima fase sia dalla stipe più recente; fra essi abbondano le piccole òlpai da libagione insieme ai kraterìskoi del tipo c.d. calcidese, presente anche a Naxos, Messina e Reggio.
Riguardo alle divinità venerate nel santuario si può ipotizzare, soprattutto in base alla tipologia dei reperti coroplastici e al repertorio iconografico dei pìnakes, che il culto di Persefone vi ricoprisse un ruolo primario, in particolare, e assai significativamente, in concomitanza col periodo dinomenidico, pur non escludendo, fra l'altro, la presenza rilevante di Afrodite il cui culto era privilegiato a Naxos; peraltro a questa divinità potrebbe riportare l'abbondanza dei kraterìskoi (per offerte di vino?), anche sulla scorta delle osservazioni fatte per l’Aphrodìsion di Lavinio (Torelli), dove tali manufatti vascolari compaiono in gran numero.
In base ai reperti vascolari più recenti la frequentazione del santuario sembra fortemente diradarsi nella seconda metà del V sec. a.C., per poi cessare verso la fine dello stesso secolo; a un momento successivo al suo abbandono riporterebbe quindi un soprastante riempimento (sottofondo stradale?) con materiali databili fra gli ultimi decenni del IV e l'avanzato III sec. a.C. (fra cui due monete in bronzo siracusane, una di Agatocle, l'altra di Ierone II).
Le indagini effettuate nel 1989 e nel 1990 in un terreno di Via Asiago, ai piedi del Castello, hanno permesso di identificare almeno due fasi dell'abitato greco, di cui sono state rinvenute alcune strutture (in particolare di una piccola fornace) databili al pieno VI sec. a.C. e vani di abitazione, con fondazioni in pietrame lavico, databili, in base al primo esame dei materiali raccolti, nel corso del V sec. a.C. Sono inoltre stati identificati livelli di frequentazione (anche con resti di strutture) databili fra la seconda metà del IV e gli inizi del III sec. a.C.
In base al rilevante salto di quota riscontrato, in diversi punti dell'area di scavo, fra strutture presumibilmente ascrivibili a una stessa fase, sarebbe accertata, per questo settore dell'abitato greco, una disposizione a terrazze legata all'originaria morfologia del sito. Nell'area pianeggiante della contrada Fantarilli, nella zona di espansione dell'abitato moderno, è stata messa in luce, nel 1991, insieme ad altri resti, una notevole struttura muraria in pietrame lavico, databile probabilmente al V sec. a.C., la cui funzione è ancora da chiarire (un grande muro di delimitazione?).
A seguito di uno sbancamento edilizio effettuato nel 1990 in Via Regina Margherita, a brevissima distanza dall'area del santuario di Via don Nino Russotti, è stato individuato un limitato settore di necropoli del quale si è potuto esplorare regolarmente una sepoltura infantile in tomba a fossa con cospicuo corredo, della seconda metà del V sec. a.C. Al di sotto dell'impianto di età greca sono stati individuati livelli preistorici dell'Età del Bronzo, con, nello scavo di Via Asiago, una fase riferibile all'Ausonio I.
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