FRANA (dalla rad. frag del latino frangĕre; fr. éboulement; sp. hundimiento; ted. Bergsturz; ingl. landslide)
Con questo nome s'indica una forma accelerata o catastrofica nella quale, in determinate condizioni, si esplicano i comuni processi della demolizione subaerea. Le frane consistono genericamente in movimenti di masse più o meno ingenti che, sotto la spinta della gravità, scoscendono lungo pendii ripidi di montagne o colline; in particolare poi assumono aspetti e tipi diversi per l'intervento di molteplici elementi e fattori geologici, morfologici, ecc. Il tipo più semplice consiste in scorrimenti, spesso assai estesi, ma di solito superficiali, interessanti cioè solo la coltre superiore, di materiali pervasi e spappolati dalle acque piovane; si verificano frequentemente in rocce impermeabili o poco permeabili a base argillosa (argille, scisti, marne), in seguito a piogge copiose o allo sciogliersi delle nevi; nelle regioni collinose dell'Appennino Centrale, dove sono assai comuni, si chiamano lame. L'acqua interviene qui ad aiutare l'azione della gravità, contribuendo a trascinare i materiali lungo i pendii; se essa è in gran copia, si hanno dei termini di passaggio alle cosiddette colate di fango (Mutiren delle Alpi austriache e svizzere). Se lo scorrimento non è più solamente superficiale, ma interessa zolle di terreno dello spessore di più metri o di parecchie diecine di metri, si hanno vere e proprie frane per cedimento. Accanto alla gravità, l'acqua è, anche in questo tipo di frane, l'impulso principale, perché essa, permeando i materiali, ne accresce il peso e contribuisce perciò a turbarne l'equilibrio. Nella zona di distacco della frana, la traccia dell'avvenuto scoscendimento si osserva sotto forma d'un incavo o d'una nicchia; mentre in basso, nella zona di deposito, il materiale scosceso forma una sorta di conoide appiattita e si assesta poi, talora con successivi piccoli movimenti. Nelle frane perscivolamento esiste un piano di scorrimento ben definito: lo strato superiore sdrucciola, cioè, più o meno uniformemente su uno strato inferiore, lubrificato di solito da acque di infiltrazione, che serve da letto. Le frane di questo tipo sono perciò legate, più delle altre, a determinate condizioni stratigrafiche, e alla presenza di falde e veli acquiferi, di acque percolanti, ecc. Lo strato scivolante può talvolta raggiungere lo spessore di parecchie decine di metri; allora lo scivolamento non di rado è assai lento, ma malamente frenabile, talché questi sono spesso i casi più pericolosi. Le frane per rotolio sono forme accelerate di quel processo, assai comune in montagna, che, verificandosi normalmente nella forma di rotolamento di masse disgregate e isolate, dà luogo alla formazione di falde di detrito al piede dei pendii. Ne sono teatro particolarmente i pendii molto ripidi delle alte montagne, costituiti da rocce, come ad es. il calcare e la dolomia, che l'azione delle brusche alternanze di temperatura e quella del gelo e disgelo disgregano e frantumano in superficie. Infine le frane per erosione del sottostrato o per crollo avvengono di solito lungo i corsi d'acqua, là dove una roccia resistente (arenaria, conglomerato, ecc.) è sovrapposta a una roccia facilmente erodibile (argilla) che il fiume scalza al piede asportandola a poco a poco: allora la roccia sovrastante, rimasta priva di sostegno, crolla in lembi successivi, e tanto più facilmente quanto più sia fessurata. Frane di questo genere si hanno anche sulle coste alte per l'intervento dell'abrasione marina.
Oltre a questi tipi più semplici di frane se ne hanno molti altri, misti o composti, difficilmente classificabili.
Le frane sono un fenomeno legato alla comparsa in superficie, o all'alternarsi di determinate rocce. Nella regione appenninica, dove il fenomeno è purtroppo frequente, sono interessate soprattutto le rocce del flysch eogenico (argille scagliose, argilloscisti, galestri, ecc.), le formazioni argillose del Miocene, le argille e le sabbie plioceniche; inoltre le filladi paleozoiche (Calabria), la dolomia, ecc. Favoriscono le frane la forte inclinazione dei pendii, che accresce l'azione della gravità, lo stato di fessurazione della roccia e anche le sue condizioni di giacitura.
Tra le cause provocatrici si debbono menzionare in prima linea le precipitazioni atmosferiche; inoltre i fenomeni sismici, il diboscamento, ecc. Per quanto riguarda le prime, si deve porre mente non soltanto al fatto che una pioggia molto copiosa può da sola costituire l'impulso provocatore d'una frana, ma anche al fatto che le acque d'infiltrazione, che lavorano talora lungamente e silenziosamente a preparare le condizioni favorevoli alle frane, provengono pur esse dalle precipitazioni. Queste inoltre intervengono indirettamente anche in quanto provocano piene nei corsi d'acqua dei quali accrescono la potenza erosiva, causa determinante di alcuni tipi di frane, soprattutto delle frane per crollo. Un'indagine statistica sulle frane della penisola italiana ha dimostrato la generale concordanza fra le curve indicanti la frequenza mensile delle frane in determinate regioni e la curva delle medie mensili della quantità di pioggia. Lo scioglimento delle nevi in alta montagna può avere, rispetto alle frane, effetti analoghi a quello di piogge copiose.
La relazione tra fenomeni sismici e frane è stata riconosciuta da tempo, in quanto è ben noto che i terremoti più gravi sono spesso accompagnati da frane anche grandiose; ma nel maggior numero dei casi appare probabile che queste siano state già predisposte da altri fattori. In altri termini, i movimenti sismici esercitano soprattutto la funzione di agenti provocatori immediati delle frane; e in tal senso anche sismi di lieve entità possono, più spesso di quanto forse non si creda, bastare a produrre il turbamento di equilibrio determinatore dello scoscendimento.
Quanto al diboscamento, è noto che il bosco costituisce un mantello protettore della roccia superficiale contro l'opera di degradazione e demolizione da parte degli agenti atmosferici; l'eliminazione di tale mantello lascia perciò le pendici in preda a quelle azioni che preparano le condizioni favorevoli al determinarsi o al riprodursi di frane; l'influenza dannosa del diboscamento è pertanto più diretta sulle frane per scorrimento e per cedimento, caratteristiche delle formazioni argillose.
Le cause provocatrici delle frane sono di tal natura che possono riprodursi in una stessa località: molte frane hanno perciò carattere periodico, o anche continuo nel senso che ogni anno, nella stagione delle piogge, si possono ripetere, in maggiore o minor misura, i movimenti del terreno. Ciò vale specialmente per gli scorrimenti cui si è dato il nome di lame.
Tra i paesi dove il fenomeno delle frane è più frequente si possono citare la penisola italiana, le parti centrali della Balcania, la Norvegia, alcune regioni delle Montagne Rocciose, il Giappone, la Nuova Zelanda, ecc. Le frane arrecano danni a luoghi abitati - danni che possono arrivare fino alla distruzione completa di un intero centro (p. es. Piuro presso Chiavenna distrutto il 4 settembre 1618, Roccamontepiano in provincia di Chieti distrutto il 24 giugno 1765, Elm in Svizzera distrutto l'11 settembre 1881, Campomaggiore in Basilicata distrutto il 10 febbraio 1884, S. Anna Pelago nel Modenese distrutta il 21 dicembre 1896) -; apportano anche guasti a strade, a luoghi coltivati e altresì perturbazioni nell'idrografia, ecc. Uno degli effetti assai frequenti è la formazione di piccoli bacini lacustri originati per il fatto che i materiali di frana sbarrano e ostruiscono un corso d'acqua: si hanno perciò veri e proprî laghi per frana, come il Lago d'Antrona, formato per ostruzione del torrente Avesca in Val d'Ossola (frana del 26 luglio 1642), il Lago di Alleghe, originatosi per ostruzione del Cordevole l'11 gennaio 1771 (v. alleghe), il Lago di Scapriano in provincia di Teramo, formatosi nel 1927, ecc. Questi laghi hanno il più delle volte una vita effimera: il Lago di Antrona è stato prosciugato; quello di Alleghe si calcola possa essere colmato dalle alluvioni del Cordevole fra un secolo circa.
Agli effetti dei danni arrecati, le frane hanno importanza molto diversa a seconda che cadono in regioni più o meno fittamente abitate, coltivate, percorse da strade. Sotto questo riguardo forse la penisola italiana è il paese del mondo nel quale il fenomeno assume maggior gravità e carattere di vero e proprio flagello. In alcune parti dell'Emilia, ma specialmente poi nell'Abruzzo chietino, nel Molise, in Basilicata, in Calabria, e anche in Sicilia si contano a diecine i paesi danneggiati o minacciati in modo immediato. E soltanto per la penisola italiana si posseggono finora studî sistematici su questo fenomeno.
I rimedî contro le frane sono di diversa specie e natura, ma si possono dividere in due gruppi: i provvedimenti diretti, rivolti cioè al consolidamento dell'area franosa per impedire ulteriori movimenti, e perciò mura di sostegno, argini, opere di fognatura e di scolo, ecc.; provvedimenti indiretti, come rimboschimenti, sistemazioni di corsi d'acqua con chiuse, arginature e altre opere di protezione del letto, ecc. Purtroppo non sono infrequenti casi nei quali il processo della frana è così avanzato che ogni intervento dell'uomo appare vano; in questi casi, se la frana interessa un centro abitato, si arriva perfino al provvedimento di trasferire l'intero abitato in terreno più stabile. Per la Basilicata e la Calabria leggi apposite prevedono il trasloco di numerosi abitati danneggiati o minacciati; per alcuni il trasferimento è già stato attuato.
Provvedimenti contro le frane. - Un primo studio è rivolto a individuare le condizioni geologiche della zona in pericolo e della circostante mediante pozzi o trivelle; si determinano così i piani di scorrimento basandosi o sulla stratificazione, se questa e evidente, o sulla variazione di umidità. Se ancora vi è movimento, dalle deformazioni subite da una rete di picchetti disposti nella zona potranno essere stabilite la velocità e la direzione del moto. Partendo da questi dati si studiano le opere di difesa che tuttavia a volte per le condizioni della frana sono inutili.
Si possono distinguere provvedimenti diretti e indiretti. Questi ultimi pongono un rimedio a tutto ciò che può ingrandire le cause della frana: consistono quindi in muri e scogliere, come troviamo nelle ferrovie liguri, tendenti a evitare la corrosione del mare; in rimboschimenti, in rettificazioni di corsi d'acqua e in difesa delle loro sponde con opportune opere idrauliche. I provvedimenti diretti hanno il fine di combattere le cause del moto, cioè di ristabilire l'equilibrio tra gravità, attrito e coesione. Per diminuire l'azione della gravità si possono fare sbancamenti che volta per volta si stabiliscono o parziali o totali: ma espongono molta superficie all'azione atmosferica. Si possono poi pensare opere di sostegno: in genere però da sole sono insufficienti. Vi si associano quindi opere di prosciugamento. Come sostegno si usano speroni, contrafforti, banchettoni. A volte anzi questi sono associati alle opere in muratura, come lungo la ferrovia Parma-Spezia. I banchettoni si possono costruire in terra pigiata o anche in materiale arido in modo che abbiano un'azione prosciugante, estendendoli o lungo tutto il fronte o nei punti più pericolosi. Il proporzionamento delle opere di sostegno, poiché i risultati matematici sono incerti per la relativa esattezza dei coefficienti di attrito e di coesione del materiale franato, è molto sussidiato dalla pratica.
Tra le opere di prosciugamento possono essere distinti i drenaggi, in cavo aperto, dalle fogne, in galleria. Planimetricamente si cerca di circondare a monte la frana in modo da raccogliere le acque interne, prima che giungano nella zona in movimento, e di allacciare le acque sorgive e di filtrazione che si trovano nella zona franosa. L'impiego di una o dell'altra opera è definito da coefficienti economici. Fino a circa 10 metri convengono i drenaggi, poi i pozzi collegati nel fondo da una galleria filtrante, infine le fognature poiché il loro costo decresce col crescere della profondità. In ogni caso si penetra con l'opera nel piano di scorrimento per o,50:1 m. I drenaggi convengono anche quando si trovino sovrapposti più piani di scorrimento in modo da prosciugarli contemporaneamente tutti. Con la fogna può avvenire che si costipi il piano più basso in cui è posta, riducendo così molto l'assorbimento di essa e lasciando la possibilità d'una attivazione di piani superiori.
I drenaggi si scavano partendo dalla superficie con pareti verticali sbadacchiate. Hanno il fondo rivestito con calcestruzzo e le pareti, nella zona impermeabile, con lastroni: si riempie poi il cavo con pietrame fino al livello in cui interessi l'attività prosciugante e si completa con pietrisco o calcestruzzo, colmando con terra argillosa. Le fogne si possono lavorare allo scoperto, ma dato che, come si è detto, in genere sono preferite quando si debba andare in profondità, ciò non conviene. Si attaccano allora, se è possibile, dove la falda affiora. I pozzi raccordati con galleria filtrante possono porsi fino a intervalli di dieci metri. Il cunicolo inferiore che li collega ha dimensionì tali da permettere il passaggio di un uomo. Il fondo, nello stato impermeabile, si fa in calcestruzzo e poi tutto si riempie e completa come per i drenaggi.
V. tavv. CLXXV e CLXXVI.
Bibl.: A. Heim, Über Bergstürze, Zurigo 1882; M. Neumayr, Über Bergstürze, in Zeitschr. deutsch.-österr. Alpenvereins, 1889; R . Simonetti, Consolidamento di terreni franosi, in Giornale del Genio civile, 1893 (con bibliografia tecnica); R. Almagià, Studi geografici sulle frane in Italia, voll. 2, Roma 1907-1910 (con bibliografia); A. Issel, Origine e conseguenze delle frane, in Natura, I (1910); P. Zuffardi, La foresta e le frane, in Giorn. di geol. pratica, X (1912); G. Trabucco, Sulla calssific. e sull'origine delle frane, in Riv. geogr. ital., 1913; A. Raddi, Sull'origine e sulle cause delle frane, loro classific. e carattere, in Il Politecnico, 1916; R. Almagià, Les éboulements en Italie in Matériaux pour l'étude des calamités, 1924; id., Note ad un abbozzo di carta delle frane in Italia, Roma 1930 (in Pubb. d. Commiss. italiana per lo studio delle grandi calamità, v. II).