FOUCHÈ, Joseph, duca d'Otranto
Nacque a Le Pellerin (Loira Inferiore) il 21 maggio 1759. In seminario aveva preso gli ordini minori, ma non ebbe mai i maggiori. Nel settembre 1792 fu inviato alla Convenzione in rappresentanza della Loira Inferiore; vi sedette a destra coi girondini, allora prevalenti nell'assemblea. Durante il processo del re, fino alla vigilia della sentenza, si dichiarò contrario alla pena capitale; ma il giorno della votazione votò, come la maggioranza, per la morte. Da quel momento, egli che fino allora si era occupato solo di problemi tecnici nelle commissioni, si lanciò nella politica, facendosi campione del giacobinismo più avanzato, spingendosi dove il Robespierre non arrivò mai: all'ateismo e al comunismo. In diverse missioni affidategli dalla Convenzione nelle provincie applicò integralmente i metodi del Terrore; speciale celebrità hanno le orrende stragi di Lione, nelle quali il F., per quanto in seguito cercasse di buttar tutta la colpa sul suo collega Collot d'Herbois, non ebbe minore parte di questo. Richiamato a Parigi, mentre il Robespierre, che sempre gli fu avverso, praticava un estremismo sempre più violento, il F. mutò rotta e si ravvicinò ai moderati. Con un'attività talvolta palese (come quando si fece eleggere presidente del club dei giacobini), ma più spesso segreta, raccogliendo tutti i malcontenti, egli fu l'anima del complotto che produsse Termidoro. Ma dopo la vittoria si trovò abbandonato e osteggiato da tutti, e visse oscuramente e poveramente, finché il Barras gli affidò incarichi di polizia segreta e missioni in Italia e in Olanda.
Finalmente nel 1799 fu nominato ministro di polizia. Gli errori del Direttorio avendolo persuaso della necessità di un governo forte, pensò dapprima al Joubert, poi al Bonaparte. Nel colpo di stato del 18 brumaio fu un complice cauto e segreto, ma indispensabile. Rimasto ministro di polizia col Primo Console, adottò una politica d'imparzialità, reprimendo con egual fermezza giacobini e realisti. Combatté il Concordato e ostacolò i disegni assolutistici di Napoleone, il quale si vendicò sopprimendo il ministero di polizia (1802). Fu compensato col seggio senatoriale e con ricchissimi donativi. La sua disgrazia durò due anni. Nel 1804, chiamato di nuovo al ministero, aiutò Napoleone a proclamarsi Imperatore, e, mentre lavorava tenacemente a preparare il divorzio, annientò i minacciosi tentativi dei realisti nelle provincie occidentali. Nel 1808 fu creato conte, nel 1809 duca d'Otranto. Si oppose al matrimonio con Maria Luisa, prevedendo che avrebbe portato alla guerra con la Russia e al prevalere dei gruppi reazionarî nella corte imperiale. I nuovi orientamenti politici e un suo audace tentativo di trattare la pace con l'Inghilterra all'insaputa di Napoleone gli procurarono la destituzione (1810). Negli anni successivi ebbe diversi incarichi, ma sempre fuori di Francia. Nel 1814 era in Italia, dove probabilmente non fu estraneo alla defezione del Murat. Durante la prima Restaurazione cercò invano di ravvicinarsi ai Borboni. Pur non avendo preso parte attiva alla riscossa bonapartista, durante i Cento giorni fu ancora ministro di polizia, e manipolò le elezioni del maggio, facendone venir fuori una camera liberale. Dopo Waterloo, ottenuta l'abdicazione di Napoleone, seppe con la sua astuzia impedire la proclamazione a imperatore del re di Roma e provocare il richiamo di Luigi XVIII. Questa volta riuscì a farsi imporre al Borbone come ministro. Ma il suo successo fu di breve durata: dovette rinunziare alla sua carica e lasciare la Francia, donde fu bandito a vita con la legge del 1816. Dopo molte peregrinazioni, trovò a Trieste il suo ultimo rifugio; e a Trieste morì il 26 dicembre 1820.
Il F. ebbe doti di grande politico: profonda conoscenza degli uomini, eccezionale sangue freddo nei momenti critici, visione netta e valutazione esatta degli elementi essenziali in ogni più complicata situazione. Queste qualità mise a servigio di una sola passione: quella di governare; passione che in lui non fu subordinata a nessun ideale, ma sempre fine a sé stessa. La sua politica fu spesso utile alla Francia, ma del bene del paese si preoccupò solo quando esso coincideva col suo interesse personale. Nella seconda Restaurazione, salvò probabilmente la Francia da una disastrosa occupazione militare; ma soltanto per rendersi necessario ai Borboni. E questo fu in lui un errore fatale. Ad una sola idea egli era stato sempre fedele: salvare lo spirito della Rivoluzione, e salvarsi così dalla responsabilità del voto regicida.
Bibl.: Fondamentale L. Madelin, F., parigi 1900. Una "vita romanzata" è invece quella di S. Zweig, F., trad. it., Milano 1930.