FOTOSINTESI (XV, p. 817; App. II, 1, p. 968; III, 1, p. 667)
Generalità. - La f. è il più imponente processo biosintetico naturale, e consiste nella conversione dell'energia di radiazioni elettromagnetiche della luce in energia di legami chimici. Tutte le piante verdi, dalle alghe unicellulari alle piante superiori, sono capaci di f., e questo processo fisiologico le rende autotrofe per il carbonio, cioè capaci di formare sostanze organiche dall'anidride carbonica e dall'acqua, a spese dell'energia della luce. Il processo può essere schematicamente riassunto dall'equazione:
(dove CnH2nOn rappresenta gl'idrati di carbonio).
Come appare chiaramente dall'equazione (1), il processo comporta un netto aumento di energia libera dei suoi componenti chimici e dal punto di vista termodinamico rappresenta una diminuzione dell'entropia nell'atmosfera terrestre, realizzata a spese dell'energia delle radiazioni provenienti dal sole. Da questo punto di vista, gli organismi fotosintetici sono unici nella biosfera, e sono essenziali alla vita di tutti gli altri organismi.
La f. adempie alla funzione essenziale di "riciclare" il carbonio, ossidato a CO2 dalla respirazione di animali, microrganismi e piante oltre che dagli altri processi di combustione delle sostanze organiche riconvertendolo in glicidi e acidi organici e da questi in tutte le strutture della cellula. Inoltre, come appare dall'equazione (1), la f. produce O2: è noto che essa è essenziale per mantenere costante la tensione di O2 nell'atmosfera terrestre e quindi per consentire la vita degli organismi aerobi. A questo proposito, è opinione oggi generalmente accettata che l'ossigeno sia comparso nell'atmosfera terrestre per l'attività dei primi organismi fotosintetici, tra i 2,5 ed i 3 miliardi di anni or sono. Questo evento, d'importanza fondamentale nella storia della vita, ha permesso l'evoluzione degli organismi aerobi.
La f. riassunta dall'equazione (1) è propria delle piante verdi (eucarioti) e delle alghe azzurre (cianoficee, procarioti). Altri procarioti, i batteri fotosintetici, utilizzano la luce per assimilare il CO2, ma sono incapaci di utilizzare l'acqua come donatore di elettroni, e utilizzano invece altri donatori a potenziale di ossido-riduzione più negativo, secondo l'equazione
in cui AH2 indica riducenti presenti nel mezzo minerale ambiente (solfuri, ecc.) oppure sostanze organiche (acido succinico, acido malico, ecc.) prodotte dal metabolismo stesso dei microorganismi. La f. batterica, oggi limitata a particolari habitat ecologici, rappresenta dal punto di vista della conversione dell'energia solare in energia di legami chimici un processo molto più limitato, nella misura in cui il donatore di elettroni AH2 (vedi equazione (2)) ha potenziale redox più negativo di quello dell'H2O (pari a 800 millivolts, a pH 7,0 e a 25 °C).
Meccanismo della fotosintesi. - Nelle piante verdi, tutto il processo fotosintetico si svolge nei cloroplasti delle cellule fotosintetiche. In questi organelli, separati dal citoplasma da una doppia membrana, tutti gli enzimi che catalizzano l'assimilazione della CO2 sono contenuti in una fase solubile, detta "stroma", mentre i pigmenti adibiti all'assorbimento della luce e gli enzimi e cofattori del trasporto di elettroni che ne consegue sono legati a membrane, le "lamelle" (o "tilacoidi"). Nello spessore di queste lamelle, che delimitano spazi chiusi e pertanto separati dallo stroma, i pigmenti e i trasportatori di elettroni sono disposti in ordinata geometria, indispensabile all'efficiente conversione dell'energia della luce in energia chimica sotto la forma del potenziale elettrochimico del nicotinamideadenindinucleotide fosfato ridotto (NADPH) e dell'adenosintrifosfato (ATP). Questi composti, stabili, della conversione della luce in energia di legami chimici, sono utilizzati dagli enzimi contenuti nello stroma per l'assimilazione del CO2.
Gli eventi fotochimici primari. - La conversione della radiazione elettromagnetica in energia di legame chimico richiede l'interazione della luce con molecole capaci di "assorbirla"; in altre parole, molecole con struttura tale da poter "incorporare" sotto forma di eccitazione elettronica l'energia del quanto di luce che le colpisca. Nelle piante verdi, la più importanti di queste molecole sono la clorofilla a e la clorofilla b. Altri pigmenti sono anche presenti nelle lamelle dei cloroplasti: i carotenoidi, e in diverse classi di organismi fotosintetici le ficobiline.
Nelle lamelle, le clorofille sono organizzate in modo tale da aversi un insieme di molecole (circa 400 ÷ 500 o più, ma il numero può variare notevolmente) associate tra loro e collegate a una particolare molecola di clorofilla a, forse dimerizzata o polimerizzata, detta "centro di reazione".
Questa è strettamente associata a un accettore di elettroni A, e a un donatore di elettroni, D. Le molecole che costituiscono l'insieme sono capaci (grazie alla loro prossimità di pochi ångström di distanza una dall'altra), di trasferirsi l'un l'altra l'energia di eccitazione acquista per assorbimento di un quanto di luce da parte di una di esse. Questo trasferimento di energia avviene per risonanza indotta, ed è possibile anche tra molecole diverse tra loro, purché vi sia parziale sovrapposizione tra i rispettivi spettri di assorbimento e di emissione. In tal modo, un gran numero di molecole (di clorofilla a o b, o di altri pigmenti capaci di trasferire l'energia di eccitazione alla clorofilla a) costituisce un'ampia superficie che capta le radiazioni, e convoglia l'energia di queste al "centro di reazione", sempre costituito da clorofilla a. Questa molecola, come si è detto a stretto contatto con un donatore e un accettore di elettrone, passa così a uno stato eccitato, acquisendo in tal modo il potenziale elettrochimico necessario a ridurre l'accettore di elettroni. L'evento successivo è il trasferimento di un elettrone dalla clorofilla a eccitata all'accettore, che viene ridotto. La clorofilla a acquista così una carica positiva, capace di ossidare il donatore: questo viene ossidato e la clorofilla torna allo stato iniziale, ed è di nuovo disponibile ad accettare energia di eccitazione. Questi eventi sono riassunti nello schema:
dove:
D = donatore di elettroni;
A = accettore di elettroni;
Chl = clorofilla a
Chl* = clorofilla allo stato eccitato.
Come si vede, l'assorbimento di luce porta all'ossidazione di D e alla riduzione di A, la clorofilla a del "centro di reazione" funzionando cataliticamente nel processo, che "consuma" quanti di luce assorbiti dal centro di reazione o dalla altre molecole dell'insieme che trasferisce ad esso energia. Il processo può continuare se A- viene continuamente riossidato, e D+ continuamente ridotto. A- viene riossidato da una catena di trasportatori di elettroni, il cui accettore finale è il NADP. All'altro polo di questa fotopila, D+ è ridotto, attraverso una serie di reazioni, dagli elettroni forniti dall'acqua, che viene così ossidata con liberazione di ossigeno molecolare. Questo modo di vedere rende ragione del fatto, stabilito sperimentalmente nel 1940, che l'O2 prodotto dalla fotosintesi proviene dall'acqua. In realtà, già alcuni anni prima R. Hill aveva ottenuto la reazione fotochimica fondamentale, la produzione di O2 accoppiata alla riduzione di un accettore non fisiologico di elettroni (quale, per es., un sale ferrico), in cloroplasti estratti dalle foglie, in condizioni in cui non si aveva alcuna assimilazione di CO2. È evidente che in queste condizioni l'O2 prodotto non poteva provenire che dall'acqua.
Il trasporto degli elettroni della fotosintesi. - Lo studio della via di trasporto degli elettroni nella f. ha fatto fondamentali progressi da quando (1937) il lavoro già ricordato di R. Hill ha consentito di utilizzare come oggetto sperimentale cloroplasti o frammenti di cloroplasti isolati dalle cellule verdi. Numerosi fattori e cofattori del trasporto di elettroni sono stati da allora isolati e caratterizzati, e il loro ruolo nel processo fotosintetico è stato confermato da studi cinetici in cloroplasti e cellule intatte, grazie all'impiego delle moderne tecniche di spettrofotometria e fluorimetria.
Benché si sia oggi ancora lontani dall'avere una conoscenza completa della catena di trasporto degli elettroni nella f., disponiamo di uno schema degli eventi dall'assorbimento dei quanti di luce da parte dei pigmenti fotosintetici, alla riduzione della CO2 e ossidazione dell'H2O.
Lo schema del trasporto degli elettroni, proposto da Hill e Bendall nel 1959, ha ricevuto nei tre lustri successivi un'imponente mole di conferme sperimentali, e si è arricchito di particolari mentre la sua fondamentale struttura è ritenuta tuttora valida. Lo schema propone l'ossidazione dell'acqua, con liberazione di O2, da parte di una reazione fotochimica (che si svolge secondo le tappe sopradescritte) in cui l'accettore di elettroni, Q, ha potenziale redox di circa 0,0 volt.
Questa reazione fotochimica è attivata dal "fotosistema 2" (PS2), un insieme di molecole di clorofilla a e b (nelle piante verdi; in certi gruppi sistematici di alghe, le ficocianine e le ficoeritrine fanno parte del PS2) che convoglia l'energia di eccitazione a un "centro di reazione" costituito sempre da clorofilla a (clorofilla a2). Il PS2 è quindi direttamente collegato al sistema enzimatico, tuttora pressoché sconosciuto, che ossida l'H2O. L'accettore del PS2, Q, è probabilmente un chinone che viene ridotto a semichinone: la sua natura chimica non è stata determinata. Q- viene riossidato da una catena di trasportatori, di cui fanno parte, in ordine di potenziale redox, il citocromo b559 (E0 = ≈ 0,06 volt), il plastochinone (E0 = ≈ 0,110 volt), il citocromo f (E0 = ≈ 0,380 volt) e una proteina contenente rame, la plastocianina (PC, E0 = ≈ 0,370 volt). La plastocianina viene ossidata da un'altra reazione fotochimica, attivata da un distinto sistema di molecole di clorofilla, il "fotosistema 1" (PS1). Il fotosistema 1 ha come accettore una proteina contenente ferro non eminico, saldamente legata alle membrane fotosintetiche, a potenziale redox molto negativo (E0 = ≈ − 0,55 volt). Questo accettore primario viene ossidato da una seconda molecola proteica contenente ferro non eminico, la ferredossina (Fd, E0 = − 0,43 volt). A differenza degli altri trasportatori di elettroni sin qui ricordati, la ferredossina è facilmente distaccabile dalle membrane, probabilmente è anzi solubile nello stroma dei cloroplasti. Il successivo trasportatore è una flavoproteina contenente flavinadenindinucleotide (FAD), con potenziale E0 = − o,35 volt. La flavoproteina è indispensabile mediatore del trasporto di elettroni tra la Fd ridotta e l'NADP.
L'NADPH prodotto dal sistema fotochimico delle lamelle è quindi utilizzato nello stroma dei cloroplasti per la riduzione dell'acido 3-fosfoglicerico (vedi oltre). Una versione dello schema di Hill e Bendall aggiornata al 1976 è rappresentata nella fig. 1
La stechiometria del sistema è espressa dall'equazione:
Lo schema non è definitivo: è ovvio che non tutti i trasportatori di elettroni sono stati identificati, e il ruolo di alcuni di quelli noti è tuttora incerto. Così, la funzione del cit. b559 è assai incerta: alcuni autori non lo considerano appartenere alla catena lineare tra i due fotosistemi.
La collocazione dei trasportatori tra i due fotosistemi è basata essenzialmente su osservazioni spettroscopiche, rese possibili dal fatto che tutti i trasportatori hanno spettro di assorbimento diverso nella forma ossidata e nella forma ridotta. I componenti della catena tra i due fotosistemi sono ossidati dalla luce assorbita dal PS1 e ridotti dalla luce assorbita dal PS2. La ferredossina e la flavoproteina sono ridotte dal PS1, e riossidate, anche in assenza di ossigeno, dal NADP.
Utilizzando "flashes" di luce molto brevi (di pochi microsecondi) e d'intensità saturante, tali da consentire un solo ciclo catalitico del PS2 a ogni flash, Witt e collaboratori hanno dimostrato che per ogni molecola di O2 prodotta (equivalente all'asportazione di 4 elettroni a 2 molecole d'acqua) i 4 elettroni vengono trasferiti al plastochinone con t =⃓ di circa 0,6 millisecondi. Per ogni catena di trasporto di elettroni, collegata a un PS2 e a un PS1, il plastochinone (PQ) presente ha la capacita d accettare 10 elettroni. Vi sono cioè ben 5 molecole di PQ in ogni catena, mentre Q, cit. b5559, cit. f. e PC sono presenti in una sola copia. Il tratto più lento del trasporto di elettroni sembra essere la riossidazione di PQH2 da parte di cit. f, che richiede circa 10 ÷ 20 millisecondi.
La riduzione di Q è una reazione velocissima, e indipendente dalla temperatura: è osservabile infatti a temperature inferiori a 100 °K, come pure la riduzione del ferro non eminico da parte del PS1. È questa la miglior prova che si tratta di accettori primari nelle rispettive reazioni fotochimiche.
Lo schema precedentemente illustrato degli eventi fotochimici primari consente di spiegare una serie di osservazioni sperimentali sui rapporti quantitativi tra trasporto fotosintetico di elettroni e fluorescenza. È infatti ovvio che la clorofilla in uno degli stati eccitati a cui arriva per assorbimento di luce può permanere tempi brevissimi: il primo singoletto ha vita media di circa 10-14 secondi, mentre il secondo singoletto di circa 10-10 secondi, e il tripletto di circa 10-4 secondi. Se quindi la clorofilla allo stato eccitato, Chl* (uno qualsiasi degli stati eccitati) non trova disponibile un accettore di elettroni, decade allo stato fondamentale in due possibili modi: a), per emissione di luce (fluorescenza, o fosforescenza se decade dallo stato di tripletto), b), per decadimento non-radiativo (decadimento termico). Gli stati eccitati della clorofilla possono cioè utilizzare l'energia di eccitazione nei tre modi:
Nel caso di PS1, la fluorescenza è molto bassa, per ragioni non note e l'unica alternativa all'utilizzazione fotochimica è la dispersione termica.
Il PS2 è invece fluorescente: quando Q è ridotto, e questo avviene molto velocemente, una frazione non trascurabile dell'energia non assorbita viene riemessa per fluorescenza. Di fatto, poiché la foto-riduzione di Q è molto più veloce della sua riossidazione, la fluorescenza aumenta appena le cellule verdi (o cloroplasti isolati) vengono illuminati, finché raggiunge uno stato stazionario. La curva d'induzione di fluorescenza illustrata dalla fig. 2 può essere interpretata come il tempo necessario a portare Q e PQ allo stato stazionario redox determinato dalle velocità di riduzione e di riossidazione, all'intensità di luce dell'esperimento. Inibendo la riossidazione di Q con un inibitore specifico, l'area sopra la curva d'induzione si riduce di circa 10 volte, il che costituisce un'ulteriore prova del rapporto di 1 a 10 tra Q e PQ nella catena di trasporto degli elettroni. Inoltre, lo studio delle curve d'induzione di fluorescenza ha permesso di stabilire il potenziale redox di Q pur senza conoscerne la natura chimica: se si equilibrano i cloroplasti, al buio, con un sistema redox esterno a potenziale E0 = 0,0 volt, l'area sopra la curva d'induzione dovuta a Q si dimezza. Questo significa che quando E = 0,0 volt Q è per il 50% ridotto.
Oltre al trasporto lineare di elettroni descritto, è stato dimostrato che funziona un trasporto ciclico intorno al PS1, accoppiato alla sintesi di ATP. In questo sistema, che richiede il solo PS1, gli elettroni dall'accettore primario tornano al "centro di reazione" ossidato del PS1, il P700 (vedi fig. 1), per una catena di trasportatori che comprende ferredossina, flavoproteina, citocromo f e plastocianina. La partecipazione di un citocromo b, il cit. b563 è anche probabile.
La fotofosforilazione. - Il trasporto di elettroni dall'H2O al NADP è accoppiato alla sintesi di adenosintrifosfato (ATP) da adenosindifosfato (ADP) e ortofosfato (Pi). Questa reazione rappresenta un netto guadagno di energia libera, e una forma di conservazione dell'energia libera del potenziale elettrochimico generato dalla luce.
L'ATP prodotto dalla fotofosforilazione, insieme con l'NADPH, sono quindi i prodotti finali della catena di trasporto di elettroni dei cloroplasti, indispensabili all'assimilazione della CO2 (vedere oltre). Il meccanismo della fotofosforilazione, come il meccanismo della fosforilazione ossidativa nei mitocondri, sono stati a lungo oggetto di discussione: un'ipotesi dapprima proposta suppone la formazione di un composto "ricco di energia" accoppiata alla perdita di potenziale elettrochimico durante il trasporto degli elettroni verso potenziali via via più positivi. Questo composto "ricco di energia" verrebbe poi utilizzato per la sintesi di ATP, in una sequenza di reazioni accoppiate.
L'ipotesi chemiosmotica, formulata da P. Mitchell nel 1961 e successivamente modificata e precisata dallo stesso, ha avuto proprio dagli studi sulla fotofosforilazione una larga quantità di conferme sperimentali. La sequenza degli eventi osservati, interpretabili secondo l'ipotesi di Mitchell, può essere riassunta nel modo seguente. Le reazioni fotochimiche primarie, sia del PS2 che del PS1, portano a una separazione di cariche elettriche attraverso la membrana dei tilacoidi, con carica negativa all'esterno (verso lo stroma dei cloroplasti) e positiva all'interno, verso lo spazio interno al tilacoide, che costituisce un sistema completamente chiuso. Questa separazione di cariche è dovuta al fatto che gli accettori di elettroni, Q per il PS2 e il ferro non eminico per il PS1, sono situati verso l'esterno della membrana, mentre i donatori primari sono situati all'interno. Witt e i suoi collaboratori hanno messo a punto un metodo spettroscopico per la misura quantitativa della differenza di potenziale transmembrana, che arriva a valori di 100 ÷ 150 millivolt (equivalenti a circa 100.000 ÷ 150.000 volt/cm). Hanno anche osservato che la creazione del potenziale di membrana è l'evento più rapido tra quelli provocati dall'assorbimento di luce da parte della clorofilla: è completo in circa 10 nanosecondi. Alla creazione del potenziale di membrana (Δϕ) segue il trasporto di elettroni lungo la catena di trasportatori, e il trasporto di protoni dallo stroma nello spazio interno dei tilacoidi. Quest'ultimo fenomeno è dovuto alla particolare disposizione spaziale dei trasportatori: alcuni a contatto con la superficie esterna, altri sulla superficie interna della membrana. Così, per es., il PQ viene ridotto dagli elettroni provenienti da Q, e "preleva" due elettroni dall'esterno (dallo stroma), secondo lo schema:
Come si è detto, il PQ di ogni catena di trasporto ha capacità di 10 elettroni, ed è ovvio che le diverse molecole di PQ possono scambiarsi elettroni, e sono inoltre per la loro natura chimica, molto mobili nella membrana lipo-proteica. Il PQ H2 viene riossidato dal citocromo f sulla superficie interna dei tilacoidi, e, poiché il cit. f. riceve gli elettroni ma non lega i protoni, i due protoni vengono liberati nello spazio interno dei tilacoidi, secondo lo schema:
La membrana dei tilacoidi è intrinsecamente molto poco permeabile ai protoni, come in genere alle sostanze ionizzate, quindi i protoni "trasportati" all'interno non possono diffondere fuori che con estrema lentezza. Questo porta a un gradiente di protoni tra l'esterno e l'interno dei tilacoidi, generato dal trasporto di elettroni foto-attivato. Il gradiente di protoni può raggiungere il valore di Δ pH = ~ 3,5. Anche l'ossidazione dell'acqua sembra avvenire all'interno dei tilacoidi, e "scarica" quindi protoni nello spazio interno. La stechiometria del trasporto di protoni, a lungo oggetto di controversie, è oggi chiaramente stabilita in 2H+/elettrone.
Potenziale di membrana (Δϕ) e Δ pH sono la fonte di energia per la sintesi di ATP nella fotofosforilazione; Witt e collaboratori hanno dimostrato che Δϕ e Δ pH sono in larga misura interconvertibili. Una complessa ATP-asi di membrana, costituita da 5 subunità peptidiche, e immersa nello spessore della membrana, è il catalizzatore della fosforilazione, secondo la reazione
(è noto che un protone è impiegato nella formazione di ATP da ADP + Pi, a causa del numero di gruppi acidi presenti, e delle loro costanti di dissociazione). La sintesi di ATP procede cioè da sinistra a destra utilizzando la differenza di concentrazione di protoni tra l'interno e l'esterno della membrana, e il fatto che al sito di sintesi, nella membrana, la concentrazione dell'H2O è molto piccola.
L'illuminazione dei cloroplasti provoca quindi un continuo flusso di elettroni dall'acqua all'NADP, e un continuo flusso di protoni dallo stroma all'interno dei tilacoidi, e dai tilacoidi allo stroma attraverso la ATP-asi di membrana (detta anche "fattore di accoppiamento"), quest'ultimo accoppiato alla sintesi dell'ATP. Il Δ pH che viene mantenuto in stato stazionario dipende quindi dalla velocità di trasporto degli elettroni, e dalla velocità di sintesi di ATP, che si regolano a vicenda, ed entrambi dipendono dall'intensità della luce, al disotto dell'intensità saturante.
L'assimilazione della CO2. - La sequenza di reazioni enzimatiche che utilizzano la CO2 e l'ATP e NADPH per la sintesi di glicidi è stata chiarita da Calvin, Benson e i loro collaboratori in alghe unicellulari. Più recenti studi hanno dimostrato che tutta la sequenza, nota col nome di ciclo riduttivo dei pentoso-fosfati (o ciclo di Calvin-Benson), si svolge alla luce in cloroplasti intatti isolati dalle foglie. In alcune famiglie di piante, le cellule del mesofillo assimilano la CO2 con una sequenza di reazioni diversa, mentre le cellule della guaina vascolare utilizzano il ciclo riduttivo dei pentoso-fosfati.
Il ciclo è rappresentato nella fig. 3. La CO2 reagisce con il ribulosiodifosfato (RuDP) nella reazione catalizzata dall'enzima RuDP-carbossilasi:
(dove 3-PGA sta per acido 3-fosfoglicerico).
Il 3-PGA viene successivamente attivato da una cinasi specifica che utilizza l'ATP prodotto a spese della luce nella fotofosforilazione, e l'1,3-difosfoglicerato viene ridotto dalla 3-fosfogliceraldeide-deidrogenasi dei cloroplasti, che utilizza specificamente l'NADPH prodotto dalla catena di trasporto degli elettroni.
Tutti gli enzimi necessari al funzionamento del ciclo sono contenuti nei cloroplasti.
Ogni tre molecole di CO2 fissata dal ciclo, si accumula una molecola di triosofosfato; questo richiede anche l'utilizzazione di una molecola di ortofosfato. I cloroplasti (anche isolati) sono tuttavia capaci di sintetizzare esosofosfati, e dal glucosio-1-fosfato formano l'adenosindifosfoglucosio, e da questo la catena a sei atomi di carbonio del glucosio viene incorporata nell'amido. In questo processo, il fosfato ritorna nella forma inorganica.
Come si è detto, la f. utilizza per la fissazione di CO2 l'ATP e il NADPH prodotti a spese della luce. Tuttavia, anche se ATP e NADPH vengono forniti ai cloroplasti, sperimentalmente, con mezzi diversi dall'illuminazione, l'assimilazione di CO2 non procede che per pochi minuti, e a bassa velocità. La luce infatti, e i fenomeni di trasporto di elettroni e di H+ sopra descritti hanno un'influenza diretta regolatrice sull'attività degli enzimi del ciclo di Calvin-Benson. È stato dimostrato, per es., che il trasferimento di H+ dallo stroma all'interno dei tilacoidi e la conseguente alcalinizzazione dello stroma ha un'importanza primaria nell'attivazione dell'enzima che fissa la CO2, la RuDP-carbossilasi. Questo enzima s'inattiva rapidamente al buio, e si riattiva alla luce. Fenomeni di attivazione alla luce sono stati dimostrati anche per la ribulosio-5-fosfato cinasi, che catalizza la formazione del RuDP dal Ru5-P e dall'ATP. Oltre che lo ione H+, altri ioni come il Mg++ e l'NH4+ hanno importanza nell'attivazione della RuDP- carbossilasi e di altri enzimi del ciclo di Calvin-Benson.
La doppia membrana che delimita i cloroplasti ha un'importanza fondamentale nella regolazione della fotosintesi; essa è la struttura a cui sono fissati i fattori specifici di trasporto dal citoplasma al cloroplasto delle materie prime della fotosintesi, CO2 e H2O e del fosfato e altri cofattori. In questa membrana sono anche localizzati i trasportatori dal cloroplasto al citoplasma dei prodotti della fotosintesi. Alcuni di questi trasportatori sono conosciuti nei particolari del loro funzionamento. Tra questi, un trasportatore trasporta l'ortofosfato, il PGA, la 3-GAP ed il diossiacetonfosfato (DOAP), nei due versi.
Questo trasportatore funziona trasportando solo per scambio: una delle molecole ricordate viene importata nel cloroplasto in scambio di un'altra esportata nel citoplasma. Il fosfato, per es., viene introdotto nel cloroplasto se DOAP o 3-GAP o 3-PGA viene esportato nel citoplasma. Questo meccanismo ha un'importanza fondamentale per la regolazione della concentrazione dei metaboliti. Un secondo trasportatore, a larga specificità per tutti gli acidi dicarbossilici, inclusi gli aminoacidi dicarbossilici, ha importanza per l'esportazione indiretta di potere riducente dal cloroplasto. Infatti, importando acido ossalacetico che viene ridotto dalla malicodeidrogenasi NADPH- specifica dei cloroplasti, ed esportando nel citoplasma l'acido malico prodotto dalla reazione, viene di fatto esportato il potere riducente generato dalla luce.
Altre vie di assimilazione della CO2 nella fotosintesi. - Il ciclo di Calvin, originariamente scoperto nelle alghe verdi unicellulari, è stato dimostrato essere la via di fissazione del CO2 anche nella maggior parte delle piante superiori. Esistono tuttavia certe famiglie di piante dove le cose vanno altrimenti. Si tratta soprattutto di piante tropicali o di origine tropicale, alcune delle quali di grande interesse agricolo, come il sorgo e il mais. In queste piante, mentre alcune cellule che fanno da guaina ai fasci vascolari assimilano la CO2 secondo il ciclo di Calvin, le cellule del mesofillo (cioè la maggior parte delle cellule fotosintetiche) utilizzano una diversa via. In queste cellule, l'accettore primario di CO2 è il fosfoenolpiruvato (PEP), e il primo prodotto della fissazione è l'acido ossalacetico (OAA), secondo la reazione catalizzata dalla PEP-carbossilasi:
Questo enzima, già noto sia nelle piante che negli animali, è accompagnato dalla malico-deidrogenasi, il noto enzima del ciclo di Krebs che riduce l'OAA ad acido malico. Nella f., la malico-deidrogenasi interessata è specifica per il NADPH, e la reazione seguente ha luogo:
L'NADPH necessario alla riduzione viene fornito dall'apparato fotochimico dei cloroplasti. I primi prodotti della f. in queste piante non sono dunque glicidi fosforilati, bensì acidi organici da cui si formano poi gli aminoacidi. Poiché la CO2 viene anzitutto fissata in acidi a 4 atomi di carbonio, queste piante vengono familiarmente chiamate piante "C4". Per la formazione fotosintetica dei glicidi, sembra sia essenziale la collaborazione delle cellule del mesofillo in cui avviene la fissazione di CO2 nell'acido malico, con le cellule della guaina vascolare in cui opera il ciclo di Calvin. I due tipi di cellule sono a stretto contatto, e comunicano tra di loro attraverso pori nella parete cellulare con numerosi plasmodesmi (filamenti di citoplasma della cellula che penetrano nelle cellule vicine). L'acido malico passerebbe quindi dalle cellule del mesofillo nelle cellule della guaina vascolare, e in queste viene trasformato dall'enzima malico, quivi particolarmente abbondante, in piruvato e CO2:
L'acido piruvico trasferito alle cellule del mesofillo, viene riconvertito in PEP. La CO2 viene così riliberata all'interno delle cellule della guaina vascolare, che lo fissano con il ciclo di Calvin per produrre 3-PGA. Il 3-PGA così prodotto verrebbe in parte trasformato in glicidi secondo la sequenza già descritta, e in parte trasferito alle cellule del mesofillo che lo avviano alla gluconeogenesi utilizzando l'ATP e il NADPH prodotti dal cloroplasto, e l'impiegano per rigenerare il PEP secondo la classica sequenza glicolitica:
La fig. 4 riassume gli eventi descritti, che costituiscono un'interessante ipotesi. Importa notare che con il trasferimento dell'acido malico da cellula a cellula, si trasferisce di fatto potere riducente: il risultato dell'operazione è infatti che il NADPH prodotto dai cloroplasti delle cellule del mesofillo, e utilizzato in queste per ridurre l'OAA ad ac. Malico, viene indirettamente trasferito nelle cellule della guaina vascolare dove l'acido malico riduce l'NADP ad opera dell'enzima malico.
È stato dimostrato, almeno nel caso di alcune di queste piante, che circa l'85% della CO2 atmosferica viene fissata dalle cellule del mesofillo e solo il 15% delle cellule della guaina vascolare direttamente.
Il significato fisiologico ed evolutivo di questa cooperazione tra cellule diverse, e tra vie metaboliche diverse, è probabilmente collegato al fatto che le piante quali mais, sorgo e altre che hanno questo tipo di f. sono in grado di mantenere, alla luce, la concentrazione della CO2 nell'atmosfera circostante a valori pressoché nulli: hanno cioè un'elevatissima efficienza fotosintetica, a bassa concentrazione di CO2 purché l'intensità luminosa sia elevata. Quest'ultima condizione è d'altronde quella prevalente nelle zone dove questo tipo di piante vive e si è evoluto.
L'apparente "maggior affinità" per la CO2 di queste piante è dovuta al fatto che esse, non utilizzando (se non nelle cellule della guaina vascolare) la RuDP carbossilasi, non presentano il fenomeno della "fotorespirazione". Questo processo infatti, basato sulla attività ossigenasica della RuDP-carbossilasi, e sulla conseguente ossidazione dell'acido glicolico, riduce l'efficienza fotosintetica, in quanto l'attività ossigenasica della RuDP carbossilasi è in competizione con l'attività carbossilasica.
La fotosintesi batterica. - Come si è detto, la f. batterica differisce sostanzialmente da quella delle piante verdi in quanto il donatore di elettroni utilizzato non è l'acqua bensì una molecola, organica o inorganica, a potenziale redox notevolmente più negativo. Il lavoro compiuto a spese dell'energia della luce è quindi assai minore nei batteri rispetto alle piante verdi.
Diverse famiglie di batteri sono capaci di fotosintetizzare, e i donatori di elettroni utilizzati sono diversi nelle diverse famiglie. Nelle Tiorodacee (Tiobatteri purpurei) i donatori di elettroni sono composti del Solfo ridotti, come solfuri e tiosolfati, presenti nell'ambiente in cui questi batteri vivono. Esempio di questo tipo di organismi è il genere Chromatium, un organismo fotoanaerobico, che vive cioè in ambiente anaerobico, ma solo alla luce. La f. in questo organismo può essere rappresentata dalla seguente equazione:
Altri batteri fotosintetici, come il Rhodospirillum rubrum, possono invece vivere eterotroficamente al buio in presenza di ossigeno, oppure anaerobicamente alla luce: sono cioè dei fotoanaerobi facoltativi. In questi organismi è presente un sistema respiratorio capace di trasportare gli elettroni dai substrati organici alla batterioclorofilla ossidata in seguito alla reasione fotochimica. Caratteristica comune della fotosintesi di tutti i batteri fotosintetici è la presenza di una sola reazione fotochimica.
Il sistema di trasporto di elettroni (citocromi, ubichinoni) è comune per la f. e per la respirazione nei batteri aerobi. Nei batteri fotoanaerobi la batterioclorofilla ossidata alla luce è l'unico accettore di elettroni utilizzabile; per questo, il metabolismo energetico di questi microorganismi richiede la luce come fattore essenziale. Il trasporto di elettroni dal riducente prodotto fotochimicamente alla batterioclorofilla ossidata così come il trasporto di elettroni dai substrati respiratori all'ossigeno, sono accoppiati alla sintesi di ATP dall'ADP + fosfato. L'ATP cosi prodotto viene utilizzato per l'assimilazione della CO2.
L'assimilazione fotosintetica della CO2 avviene con meccanismi diversi nei diversi tipi di batteri fotosintetici a cui si è accennato. I batteri fotosintetici fotoanaerobi facoltativi, quali i rodospirilli e varie specie di Rhodopseudomonas, utilizzano il ciclo di Calvin, con la differenza rispetto alle piante verdi, che la riduzione dell'acido 1,3-difosfoglicerico a 3-fosfogliceraldeide è catalizzata da una deidrogenasi identica a quella glicolitica, che utilizza il NADH come riducente (si ricorderà che l'analogo enzima delle piante verdi utilizza il NADPH). II meccanismo della fotofosforilazione nei batteri fotosintetici è del tutto analogo a quello delle piante verdi, tenuto conto della diversità dei trasportatori di elettroni.
Bibl.: J. A. Bassham, Regulation of photosyntetic carbon metabolism, in Proceedings of the IInd International Congress on photosynthesis, a cura di G. Forti, M. Avron e B. A. Melandri, vol. III, L'Aia 1972; C. C. Black, G. E. Edwards, R. Kanai, H. H. Mollenhauer, Bioenergetics of photosynthesis, a cura di Govindjee, New York 1975.